I Lager della follia

I Lager della follia Un dossier sulla repressione in Urss I Lager della follia A. Artemova, L. Rar, M. Sia- vinskij: « Condannati alla follia », Ed. Garzanti, pag. 324, lire 3000. Come già avvenne, a partire dal 1962, per i Lager di Stalin, così ora si vengono man mano accumulando i dati sull'internamento coatto di individui sani nei manicomi sovietici. Mentre nel primo caso si trattava di ricostruire e conoscere un passato recente, la situazione attuale è diversa, poiché questa forma di repressione non solo è tuttora largamente usata, ma appare addirittura in fase di sviluppo. Se tale circostanza non consente una valutazione complessiva, attraverso i documenti ormai disponibili in russo o tradotti (diari, lettere, testimonianze degli internati, appelli dei loro parenti o amici, referti medici, articoli del samizdat i e talvolta della stessa stampa sovietica, come I falsi benefattori nella palude della calunnia di K. Brjancev, nell'Izvestija del 24 ottobre) si cisi. Reca un valido contri delineano alcuni aspetti pre- ] buto in tale senso il dossier curato dagli specialisti Artemova, Rar e Slavinskij, che hanno integrato il materiale noto con nuovi, interessanti apporti. Benché come per altri fenomeni della realtà sovietica, anche l'origine dell'internamento coatto nei manicomi si possa far risalire ad una epoca anteriore (in questo caso al regno di Nicola I), dai singoli pochi esempi di allora si arriva, nel periodo staliniano e fino alle riabilitazioni di massa del 1956, alle centinaia di persone, ricoverate in base a perizie speciali, emesse dall'istituto di medicina legale Serbskij di Mosca. I « malati » venivano poi dimessi dagli « ospedali psichiatrici carcerari », adibiti a tale uso da Vyscinskij ed Ezov, in base alla «riabilitazione », sicché non sussistevano dubbi sulla natura politica del loro male. Riservato da Stalin alle sole personalità, questo trattamento assunse un carattere più democratico per opera di Kruscev, il quale si era vantato, nel fervore della lot ta contro il culto della personalità, che nellTJrss non vi fossero detenuti politici. Ma dopo la tregua durata dal 1956 al 1959 la situazione mutò in un modo di cui alcune cifre bastano a rivelare il carattere drammatico. Oltre ai due ospedali psichiatrici carcerari, esistenti prima della guerra, vi è ora una decina d'istituti del genere a Mosca e nei dintorni, e altri si trovano -a Sycevka (Striolensk), a Cernjakhovsk (Kaliningrad), a Minsk, a Dnepropetrovsk e a Kiev. Taluni osservatori distinguono questi istituti in tre categorie: una per i condannati a un trattamento coattivo; un'altra in cui le persone vengono mandate, spesso senza alcuna perizia, direttamente dal Kgb; e una terza, che contiene sezioni di isolamento, come il famoso Belyje Stolby, vero campo di concentramento a una cin- a a * e e a , a quantina di chilometri da Mosca, cinto da alte mura e da filo spinato, attraverso al quale passa la corrente elettrica. Nell'ospedale Kascenko di Mosca i ricoverati sono circa seimila, di cui un migliaio appena sono malati autentici. Nel reparto isolamento di Belyje Stolby sono rinchiuse dalle venti alle venticinquemila persone. A Kazan', i tre quarti degli internati in certi periodi erano costituiti da persone sane e il resto da malati gravi, per altro non curati, che servivano, passan- f do per detenuti politici, a' camuffare le finalità effettive dell'istituto. Oltre a rivelare l'estensione del fenomeno, l'imponenza numerica di tali cifre implica un dato essenziale: l'inevitabile coinvolgimento non solo di un'elite intellettuale e scientifica, ma di persone dalla provenienza sociale assai varia, operai, ufficiali, membri del pcus. Fatto agghiacciante, i giovani, poco più che ventenni, autori di proteste nelle università o nelle riunioni del Komsomol, costituirebbero circa il settanta per cento dei ricoverati nei manicomi. I motivi considerati politici si riducono alla partecipazione a manifestazioni di protesta in occasioni quali il processo di Sinjavskij e Daniel', o l'occupazione della Cecoslovacchia, alla firma di petizioni e appelli, al possesso di « letteratura antisovietica », cioè di qualunque libro di filosofia o di storia edito all'estero, di pubblicazioni religiose o del samizdat. o ancora, come nel caso di V. L. Sevruk, militare e comunista, alla «mania di marxismo e ricerca della verità ». L'applicazione arbitraria dei rispettivi articoli del Codice penale sovietico (articoli 58-60 suH'internamento coatto, 70 sulle attività antisovietiche, 190 sulla diffusione di invenzioni tendenziose) agevolata dalla loro formulazione generica, è spesso addirittura superflua. Tutte le testimonianze dirette delle persone internate, dal matematico R. I. Pimenov (nel 1949) all'attivista del partito S. P. Pisarev (nel 1953) al biologo Jaurès Medvedev (nel 1970) concordano nel porre in rilievo lo stato indifeso e l'impossibilità di qualsiasi iniziativa della vittima. Il motivo per il quale la prassi dell'internamento coatto si è talmente diffusa negli ultimi anni sembra dipendere dalla difficoltà d'imba stire processi e di provare accuse contro persone che in sostanza non hanno violato nessuna legge, o, come dice J. Medvedev, « dalla contraddizione tra la Costituzione, relativamente democratica, e il sistema di governo, che non lo è affatto ». Dall'epoca di Kruscev in poi è diventata così sempre più frequente una forma di repressione particolarmente odiosa in sé, raccapricciante nella sua applicazione pratica, per giunta derisoria per Velile colpita, posta in condizioni assai peggiori dei delinquenti comuni. Nella situazione creatasi, la durissima condanna (dodici anni tra prigione e Lager) inflitta a Bukovskij, prima minacciato di internamento in manicomio, è da considerarsi dunque un risultato positivo. Lia Wainsteìn