Il barone raspante di Lietta Tornabuoni

Il barone raspante Brevi incontri Il barone raspante « Sa questa storia l'avesse scritta mìo /rateilo ». dice il professor Floriano Calvino, « sarebbe intitolata "il barone raspante "». Suo fratello è Italo Calvino, ma la storia non somiglia per niente a un apologo fiabesco: e invece un episodio della nera cronaca giudiziaria dell'università senza riforme. Non priva, però, di un suo lato comico: « E' cominciata con quattro lenti », rievoca il protagonista. Quarantacinque anni, straordinario di geologia applicata, appena nominalo direttore dell'Istituto di geologia della facoltà di scienze nell'Università di Genova, il professor Calvino rimane perplesso di Ironie a una curiosa iattura: « Richiedeva il pagamento di quattro lenti acriliche, diametro 7 cm, graduate a campione. E cosa sono? mi chiesi. Erano, semplicemente, due paia di occhiali per signora ». E perché avrebbe dovuto pagarli l'Istituto? Il neodirettorc indaga, scopre molte altre inesplicabili faccende: le fatture dubbie arrivano a circa 10 milioni; mancano dalla biblioteca 500 volumi «tra i quali 24 dizionari, il Libro del cane e le Satire di Orazio »; mancano un aspirapolvere, tre lucidatrici, due ventilatori, cinque stufe elettriche; risulta che l'Istituto ha pagato «ingiustificate quantità di generi d'uso domestico e persino alimentare, addirittura le bomboniere per due matrimoni ». Il professore denuncia le proprie scoperte al rettore, le denuncia alla magistratura, dà le dimissioni. « So benissimo che in altre università capita di peggio », dice. Ma raramente, secondo lui, s'è veduto un esempio così groitcscamente eloquente delle conseguenze cui può portare l'autorità assoluta, la mancanza di direzione collegiale o di controlli democratici: nessuno dei ricercatori e laureati che vi lavoravano conosceva neppure quale fosse il bilancio dell'Istituto. « Così un'istituzione universitaria diventa personale, casa e bottega si confondono, l'ufficio sovviene alle esigenze domestiche e si trasforma in una dépendance della famiglia, persino per spedire un pacco o comperare le lamette da barba si adoperano i quattrini dello Stato ». E cosa' succede quando uno decide di lavare in pubblico i panni sporchi? « Non succede niente ». Al Consiglio della Facoltà non se ne discute: « Mi hanno impedito d'illustrare i motivi delle mie dimissioni ». La lettera al ministro rimane senza risposta. La denuncia alla magistratura farà il suo corso: lento, si sa. « So benissimo che battaglie come questa servono a poco». riconosce il professor Calvino: non per niente è staio superperito al processo del Vajont. Ma non si pente di averla dichiarata: « Le cose che non vanno bisogna dirle e ripeterle: se perdiamo la capacità d'indignarci, allora è davvero finita ». Pagina bianca Da simbolo dell'irrisolto tormento creativo, ceco la pagina bianca mutarsi in concreto sistema editoriale: sfogliando certi romanzi concorrenti ai piemi letterari dell'estate, pare addirittura più frequente della pagina stampata. All'inizio del volume se ne contano almeno una decina, appena violate da litoIo, litoletto, rititolo, indicazione della collana c sottocollana, epigrafe, dedica, avvertenza, rirititolo. Alla fine, lo stesso. Nel corpo del volume, ogni capitolo e capitoletto merita almeno quattro pagine bianche: molte pagine ospitano poi una riga sola, al massimo tre. E non è che l'editore si preoccupi di creare pause di riposo all'interno di volumi ponderosi: anzi le opere sono spesso smilze, stampate in grossi caratteri da libro per bambini e con numerosissimi « a capo ». Si tratta di creazioni nella cui brevità si condensano nobile semplicità, intuizioni balenanti, sintetica genialità? Non sempre, non sempre: sovente si tratta invece di articoli già pubblicati, di pensierini editi, di corrispondenza pubblica e privata. Oppure di vecchio materiale esumato dai cassetti nella speranza che, col passare degli anni, i tentativi malriusciti, le stesure scartale, i racconti sbagliati, gli appunti e i brogliacci siano diventati romanzo. Diventano soltanto volumi, oggetti di commercio per cui il lettore spende le sue tre-quattromila lire giurando di non cascarci mai più. Testimonianze dell'odio per lo scrivete di scriitori che preferiscono ormai esprimersi a voce in interviste, convegni, sentenze radiofoniche, dibattiti televisivi: e che al duro lavoro di tavolino hanno sostituito con sollievo la tavola rotonda. L'essenziale Esplosioni di petardi. Un'imperiosa mascherina che è poi un travestito. Un Che Guevara suonatore di maracas, che strepita « La guerra està caliente, no quiero verta ». Una biondina malata di leucemia che è naturalmente il primo e unico amore del protagonista. Un Robinson Crusoe, coperto soltanto da una ben collocala ma insuflicie/ite farfalla, clic insegna al selvaggio Venerdì « le due parole-chiave della civiltà occidentale: grazie, padrone». Coriandoli, strilli, clowns bianchi, sassofono patetico, giochi di parole, d'acqua e di luci, stelle filanti, cenci, lacrime e canzoni: nello spettacolo teatrale che Jerome Savary ha presentato al Premio Roma. Gli ultimi giorni di solitudine di Robinson Crusoe. c'è tutta la contemporanca sofisticazione-mistificazione del cattivo gusto, che diventa buon gusto con risultati di squisito pessimo gusto. C'è anche una battuta divertente. La pronuncia un capitano sul campo di battaglia: « Alla guerra, soldati'. ». arringa. « e ricordate che, come diceva il barone Pierre De Couberlin, creatore delle moderne Olimpiadi, l'essenziale non è vincere, ma partecipare ». Lietta Tornabuoni

Persone citate: Calvino, Floriano Calvino, Guevara, Italo Calvino, Jerome Savary, Pierre De Couberlin, Robinson Crusoe

Luoghi citati: Genova, Roma, Vajont