Nel palazzo dello Scià di Ferdinando Vegas

Nel palazzo dello Scià ANALISI Nel palazzo dello Scià (Due temi per l'incontro di Nixon con il sovrano: il petrolio e la difesa) La visita di Nixon a Teheran cade in un momento difficile della vita interna dell'Iran: pochi giorni fa, il 25 maggio, altre cinque persone, condannate a morte dai tribunali militari, sono state passate per le armi. Continua così lo stillicidio, cominciato in gennaio, di processi, condanne a morte, all'ergastolo o a lunghi periodi di reclusione, nonché di esecuzioni capitali, contro quelli che ufficialmente vengono chiamati «gruppi sovversivi». Ai componenti di questi gruppi sono addebitati sabotaggi, atti terroristici, assalti a mano armata contro banche, spionaggio; le accuse sono indubbiamente, almeno in parte, fondate, ma bisogna tener conto del movente degli imputati, d'ordine eminentemente politico. In una situazione nella quale, come è stato detto, «l'opposizione politica organizzata è uno sport negato agli iraniani», è fatale che l'opposizione cerchi altre vie per esprimersi ed arrivi così ad atti di sovversione contro l'«ordine costituito». Che è un ordine non solo imposto con la forza, ma anche di mera apparenza: sotto la superficie tranquilla dell'Iran si agita, infatti, un vivace fermento di protesta, diretto sostanzialmente contro il regime paternalistico ma fortemente autoritario dello Scià. Superata, vent'anni fa, la bufera scatenata dal nazionalismo di Mossadeq, che per un momento ne aveva travolto il trono (fuga a Roma, con l'imperatrice Sor&ya), Reza Pahlavi è riuscito a riprendere saldamente in mano il potere e a consolidarlo sempre più. Non potendo reggersi in permanenza soltanto sulla repressione, dal 1963 ha inaugurato la cosiddetta «rivoluzione bianca»: una rivoluzione dall'alto, ossia un vasto programma riformistico, intesa a modernizzare l'Iran, sfruttando i proventi dell'immensa ricchezza del Paese, il petrolio. L'Iran, che possiede il 14 per cento delle riserve petrolifere mondiali, nel 1971, ha prodotto 227 milioni di tonnellate di petrolio, collocandosi al primo posto tra i paesi produttori del Medio Oriente. Particolare significativo, sul piano politico internazionale, l'Iran è l'unica fonte non araba del prezioso liquido nel Medio Oriente. L'80 per cento dei redditi derivanti dal petrolio viene investito nell'industria e nell'agricoltura, donde un vistoso progresso economico (9 per cento annuo di incremento del prodotto nazionale) e il salto, sul piano sociale, dal vecchio ordinamento feudale all'era delle riforme. Politicamente, invece, la situazione rimane bloccata, con la conseguenza, come si è visto, della protesta violenta e della spietata repressione: le torture sono pratica corrente nelle prigioni di Teheran. Se lo Scià è riuscito a mantenersi sul trono, lo deve anche alle circostanze internazionali e all'abile politica estera con cui è riuscito a sfruttarle. Al tempo della crisi Mossadeq, infieriva la «guerra fredda» e l'Iran era una delle zone critiche; non meraviglia quindi che i servizi segreti americani, come è ormai apertamente ammesso, abbiano favorito la «controrivoluzione» che restituì il potere allo Scià. Schierandosi così decisamente nel campo occidentale, il sovrano non dimenticò tuttavia la collocazione geografica obbligata dell'Iran, confinante con l'Unione Sovietica; curò quindi anche i rapporti con Mosca, che sono migliorati al punto di essere oggi molto solidi. Ultimamente, nell'agosto '71, sono state anche allacciate le relazioni diplomatiche con la Cina. La sfera propria di azione dell'Iran, però, rimane sempre sul piano locale, in quel Golfo Persico dove Teheran intende chiaramente assumere un ruolo egemonico, offrendosi agli occidentali come garante della via del petrolio, ora che la Gran Bretagna si è ritirata dal settore mondiale «a Est di Suez». La visita di Nixon non può quindi che rafforzare la «relazione speciale» da oltre un ventennio esistente tra Stati Uniti e Iran/ Ferdinando Vegas —dgvd

Persone citate: Nixon, Reza Pahlavi