Sculture nate nell'officina di Marziano Bernardi

Sculture nate nell'officina ALLA GALLERIA CIVICA Sculture nate nell'officina La mostra di Melotti pone in rilievo un talento moderno, tra la matematica e la musica Il nome e il lavoro di Fausto Melotti non sono certo Novità per Torino. Di questo roveretano «spirito bizzarro» trapiantato a Firenze, poi a Torino ed a Milano negli Anni Venti, s'ebbe una bellissima mostra nella galleria «Galatea» nel marzo dell'anno scorso (e allora ne parlammo) contemporaneamente a un'altra nella galleria «Martano», la quale gli ha dedicato un volumetto, Progetti di Melotti, 1932 - 1936, a cura di Maurizio Fagiole dell'Arco, nella collana editoriale «Martano». Di più, nel libro di Paolo Fossati, L'immagine sospesa, pubblicato anch'esso l'anno scorso dall'editore torinese Einaudi, un capitolo è dedicato a Melotti. Infine, nel numero d'aprile 1972 d'una rivista d'arte che si stampa a Torino, il ben noto Bolaffiartc, di Bolaffi e Mondadori, il direttore Umberto Allemandi ed il Fagiolo hanno inserito sei grandi pagine illustrate d'intervista col Melotti per annunziare la sua mostra che si apre oggi alle 18 nella Galleria civica d'arte moderna di Torino. Quasi una cittadinanza onoraria, dunque. Ed inoltre da quell'intervista si apprende un episodio curioso. Il giovane Fausto studiava al Politecnico («Ho fatto ingegneria perché dovevo portarea casa una laurea: non è che mi sia dispiaciuto, perché la matematica mi attirava, e ho anche avuto buoni voti»), ma vagheggiava pittura e scultura. E poiché aveva «uno zio scultore che faceva il "negro" di Canonica», se ne venne a Torino. Melotti non lo dice, ma se la memoria non c'inganna questo «negro», cioè aiutante, era Carlo Fait, brav'uomo sordo come una campana, autore del monumento all'Alpino di Rovereto, che Pietro Canonica, scultore famoso oberato di commissioni nel suo studio di via Napione, trattava rudemente; e ricordiamo certe sue sfuriate. Fait, di nascosto, diede al nipote da copiare un bassorilievo: «e così, destino, sono finito a fare lo scultore». In seguito, a Milano, con Lucio Fontana, fu allievo di Adolfo Wiltìt, dimenticato maestro .simbolista ch'egli sempre difese. *» i.* r 4v id .. Canonica (sia pure di riflesso), Wildt... Chi considera l'opera di Melotti dal 1934, data della scultura più antica di questa mostra che ne comprende una novantina con altrettanti disegni ed incisioni, trasecola pensando a quali possano essere i punti di partenza e i punti di arrivo d'un artista. Una palpebra Può anche meditare sul fatto che in questo momento l'accorata attenzione della cultura artistica internazionale ò rivolta sul modo con cui si potrà restaurare una palpebra (dico «una palpebra») abbassata da Michelangelo sullo sguardo della Vergine affissato sul Figlio; e che analogo angoscioso problema non si porrebbe probabilmente se un vandalo avesse asportato un pezzetto del filo di ferro, o magari anche il dischetto di metallo, di cui si compone La leonessa c il suonatore di flauto, una delle tante «sculture» di Melotti cosi congegnate. Ma il concetto di scultura (e di pittura), il rapporto tra sensibilità umana ed arte poetica, di quegli antichi e di noi moderni fino a ieri, erano un po' diversi dagli attuali; e se volessimo addentrarci nell'esame di codeste diversità il discorso sarebbe lungo, difficoltoso e deludente. A qualcuno il silenzio sembrerà caritatevole. Del resto, che ha detto Melotti stesso? «In questo momento siamo evidentemente al declino di tuia civiltà e viviamo tutti nella terra di nessuno». Però ha aggiunto: «Non è detto che si debba essere pessimisti: perché non sempre la fine di una civiltà deve corrispondere a una tragedia». II fatto è che Melotti a Milano, verso il 1935, s'entusiasmò delle prime esperienze astrattistiche lombarde, polarizzate dalla galleria del «Milione». Amico di Fontana, lo fu anche di Carlo Belli, Io scrittore del Kn, vangelo di quei pionieri dell'Astrattismo italiano. Entrambi appassionati della musica, Belli sonava il violino, Melotti il pianoforte: tra la musica e l'Astrattismo plastico scorgevano un legame inscindibile. Si sa che Melotti fu per alcuni anni insegnante alla scuola professionale di Cantù, tutti conoscono la sua attività di ceramista, il mestiere che gli diede da vivere mentre continuava a creare oggetti plastici, in prevalenza metallici, ch'è difficile includere nell'idea tradizionale della scultura La lama, che continua a crescere, gli è venuta in anni recenti, dopo il '66, e coincide con la riscoperta, della critica e del pubblico, dei valori dell'Astrattismo. La lettura delle pagine, sul catalogo, di Aldo Passoni e di ZBasncsmNct«vrgrdcnqcdgmmcf Zeno Birolli, come quelle di Bruno Barilli per la mostra alla «Galatea» dell'anno scorso, aiuteranno la comprensione del «fare» di un artista che intende essere pittore e scultore, ingegnere e matematico, poeta e musicista? Ne dubitiamo. Passoni lo dichiara il più moderno ed attuale degli scultori italiani «proprio per come ha reinventato o fatto proprio liberamente ogni possibile linguaggio della scultura»; Birolli lo definisce «cittadino della Repubblica di Platone». che è una suggestiva cittadinanza, ma non sappiamo quanto conveniente a un creatore di opere fatte di fili d'acciaio, palline, forme ritagliate nel metallo, finissime reti saldate con bruciature, il tutto disposto «in una serialità ritmica, in simmetria dinamica, quindi sonora, concrezioni di astratte entità geometriche, quindi sculture». Statici rapporti Sculture: ecco la parola cho ci pare arduo applicare ai lavori di Melotti. I quali ci sembrano piuttosto il risultato di ricerche di aeree forme librate con rigoroso calcolo nello spazio, oppure di statici rapporti tra pieni e vuoti, con larvati tentativi, talvolta, di «racconto», quando su un telaio architettonico di rugosa ceramica è strutturata un'immagine vagamente «figurativa», come nelle opere Meditazione familiare. Incendio bianco. La vita a pezzi, Angoscia, Teatrino per Scheiwiller, Gli stracci, Marcel Duchamp e il Mediterraneo, Paesaggio, 1959 1970, che ci richiamano al Fontana pre-astrattista e prespazialista. Nelle altre «sculture» in fili vibratili che intendono visualizzare un fenomeno sonoro, o in quelle di fili tesi e rigidi come minuscole gabbiette racchiudenti reticelle e foglie d'oro, è lo spirito matematico, il senso della calibratura geometrica che affiora dalla lirica melottiana sempre intrisa di musicalità; e allora ha ragione Birolli a sottolineare che «ta risonanza può essere quella di una cantata bachiana alla quale segue un silenzio- sospeso». Cantata che si cristallizza nello spazio coti straordinaria purezza, anzi depurazione, stilistica, con esiti spesso mirabili di armoniosa astrazione. Ma un giorno Melotti ha affermato: « Non la modellazione ha importanza ma la modulazione », con ciò decretando, senz'accorgersene, la morte della scultura. La quale è sempre stata e sempre sarà finché artisti e critici la lasceranno vivere, modellazione di forme e non profilo d'immagini campite sopra superfici immaginarie. Di conseguenza, a parer nostro, Melotti più che uno « scultore » va considerato un ingegnoso teorico doppiato con uno squisito poeta. Marziano Bernardi