Cannes, tutto per l'Italia

Cannes, tutto per l'Italia Rosi e Petri si dividono il Gran Premio del Festival Cannes, tutto per l'Italia Hanno vinto « Il caso Mattei » e « La classe operaia va in paradiso » - La giuria ha messo in rilievo l'apporto essenziale dato ai due film dall'interpretazione di Gian Maria Volontè - I commenti del pubblico appuntati sulla sconfitta del cinema francese - Un magistrale «giallo» di Hitchcock fuori concorso ha chiuso la manifestazione L'elenco dei premi Cannes, 19 maggio. Gran Premio del Festival cinematografico di Cannes ex aequo a « La classe operaia va in paradiso » di Elio Petri e « Il caso Mattei » di Francesco Rosi; la giuria ha sottolineato In bravura dell'attore Gian Maria Volonté interprete dei due film. Premio per il miglior attore al francese Jean Yanne per « Non invecchieremo insieme », e per la migliore attrice all'inglese Susannah York per « Immagini » di Robert Altman. Premio speciale della giuria al film sovietico « Solaris » diretto da Andrei Tarkovski. Premio per la regìa a « Mcg Ker a Nep » (« Salmo rosso») dell'ungherese Miklos Jancsó. Premio della giuria al film americano :Slaughter House live » di George Roy Hill. Menzione speciale al film « Roma » di Federico Fcllini. (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 19 maggio. Così il nostro cinema, secondo giustizia, ha trionfato quest'anno sulla Croisctte.e non soltanto perché la concorrenza era debole. 1 film di Rosi e di Petri sono, in sé considerati, due opere vive e l'orli, e l'ima compie l'altra (donde l'«ex aequo») nel rappresentare lo spirito «civile», sensibile ai problemi presenti, del miglior cinema italiano. Dopodiché, approvati i riconoscimenti al film ungherese e all'attrice inglese, non staremo a sofisticare sugli altri premi garbatamente accomodati per dare qualche contentino ai meno abbienti. Del resto i premi cinematografici in generale hanno un interesse meramente sportivo; e ormai sembrano essere in crisi nella stessa Cannes, che fu la loro roccaforte, se o per umiltà o per orgoglio, ma più certamente per sfiducia, registi come Huston (col suo notevole Fat City), come Fellini, Polanski, Hitchcock e Lelouch hanno preferito evitare i rischi della competizione. Circa il bilancio, che cosa dire che non si Sia già detto gli anni scorsi? Nel suo insieme il Festival di Cannes resta una gran cosa: per quantità di film, intreccio di manifestazioni, affluenza di folla (quest'anno specialmente) e volume di affari. Come rassegna artistica lascia invece a desiderare, e così ha fatto soprattutto nella presente edizione, che ha segnato l'esordio, tutt'altro che brillante, del nuovo commissario generale: se non era dei due registi italiani e di pochissimi altri, saremmo naufragati nella mediocrità o addirittura nel disdoro del cinema di tutti i giorni e persino delle giornate nere. Sarà che nei festival i film si vedono come pigiati alla predica, senza il necessario spazio tra l'uno e l'altro, ma l'impressione che ha lasciato questa rassegna è d'un sogno confuso, dove anche i pochi pezzi di valore stentano a risorgere nella memoria. Ricordiamo il film di Tarkovski, un fumoso enigma con lampi di bellezza; ricordiamo la purezza iìguraliva di Jancsó, la stregata psicanalisi di Altman, la pregnante ambientazione del tedesco Trotta, qualcuna delle stravaganze dell'inglese La classe dominante, il nudo mestiere di Kazan e poco altro. Pochi anche tra i migliori hanno sollevato il manto della noia: uno soltanto, come diremo sotto, lo ha sicuramente squarciato in extremis, rivelando le belle forme della psiche cinematografica. 11 vinto, come dicono gli stessi giornali di qui, è stato il cinema francese, che digradando da Lelouch a Pialat, a De Broca, a Korber, è andato dal benino al male e da questo al peggio, involgendo nel ruzzolone due delle sue attrici più famose. Non molto più in gamba il cinema americano, con tutto il rispetto per il robusto naturismo di feremiah lolmson e gli estri del fantascientifico Mattatoio 5, e pur tenendo conto delle bombolette d'ossigeno somministrategli dal fratello canadese, specie col lunatico Diario d'un tifoso. Dopo l'italiana, la selezione germanica è quella che ha fatto più cuneo nella compagine (Le campane della Slesia, Trotta); scialbo il ritorno del Giappone (Silenzio); meschina l'apparizione della Cecoslovacchia, appena decorosa quella della Polonia. Il resto se ne è andato in commediole o «quizzes» o scherzi di dubbio gusto, sicché si è avuto ragione di lamentare le tante assenze di quest'anno (Svezia Spagna Brusite ecc.), strane in un festival solitamente aperto, prensile e geopolitico come questo. L'ultimo film. Hitchcock non ha fatto cilecca; anzi, rispetto alle ultime prove, sembra tocca¬ toPizyadnyfelestchnol'acoqucaglstpotochapspaldene Gdodspil ti codgncocce nmcnrailildgcleslolaucpocrsgpmfdnmdrsgis to da una seconda giovinezza. Più «mago» che mai. Con Frenzy («Frenesia», da un giallo adattato allo schermo da Anthony Shaffcr) ha portato in questo festival agonizzante un senso di levitazione c di gioia; ha dimostrato, da quel maestro che e, che anche nel cinema il segreto non è più nell'inventare ma ncll'applicarsi. Per esempio: c'è un commissario di Scotland Yard, quintessenza di civiltà britannica, oppresso da una buona moglie che segue un corso di gastronomia continentale e ne impone gl'imparaticci al disgraziato consorte. E' un motivo vecchissimo. Ma Hitchcock vi s'è applicato per modo ch'esso risplende. Inglese, anzi londinese fino alle unghie, Frenzy è un thriller dei più consuetudinari. Un maniaco sessuale, grossista di frutta e verdura al mercato di Covent Garden, fa strage di giovani donne che strangola con le sue deliziose cravatte. E' il più insospettabile degli assassini, come il più sospettabile degli innocenti è invece l'ex marito della seconda vittima, Blancy, ex pilota della Raf, ora alla deriva. Sfugge per un po' alla polizia, finché non chiede asilo proprio al sadico che perfidamente lo denuncia. Processo e condanna. Ma il commissario ha qualche dubbio, e contemporaneamente a Blaney, frattanto evaso dall'infermeria del carcere, piomba sul colpevole cogliendolo con le mani nel sacco. Tutto qui; ma il racconto non fa una grinza, ed il sapersi fin da principio chi è il colpevole rivela la maestria di Hitchcock nel condurre i gialli allo scoperto. Da antologia la sequenza in cui il sadico, che ha lasciato nelle mani della terza vittima una spilla che lo potrebbe tradire, lotta col rigor mortis per riaverla; e il cadavere è nascosto in uno dei sacchi di patate che un camion trasporta, e a un certo punto ne scivola giù, sotto gli occhi esterrefatti della polizia che insegue. Ma ci sarà tempo a riguardare, ammirando, nelle viscere di questo perfetto orologio, dal quale il festival ha imparato (tardi) a divertirsi in termini schiettamente cinematografici. )on Finch (il protagonista di Macbetli) e Barry Fostcr sono gli interpreti principali in mezzo a una scelta galleria di donne e di caratteristi. Leo Pestelli