Le elezioni e l'Europa di Arrigo Levi

Le elezioni e l'Europa UN TEMA DA DISCUTERE Le elezioni e l'Europa Nella campagna elettorale italiana, la grande assente è l'Europa. In Francia Pompidou ha scelto il tema europeo, ossia la nascita d'una confederazione europea di dieci Paesi entro il 1980, quale terreno per un'importante prova di forza con l'opposizione. In Inghilterra, come negli altri tre Paesi nuovi membri, il problema europeo domina il dibattito politico. Di riflesso, curiosamente, anche le nostre elezioni hanno un fortissimo risalto sui giornali britannici, che si chiedono: a quale Europa stiamo per aderire? (Il direttore del Times, mi dicono, ordina ai suoi corrispondenti e inviati in Italia: «Trattate le elezioni italiane come un'elezione inglese»). In Germania, senza la scelta europeista che fa da contrappeso alla Ostpolitik Brandt non avrebbe la minima possibilità di fare approvare dal Parlamento i trattati orientali. In Italia c'è un'elezione che deciderà lo sviluppo del Paese negli Anni Settanta ed oltre; ma fra i temi in discussione qupllo europeo ha un rilievo del tutto marginale. In autunno si terrà un vertice dei capi di governo dei dieci Paesi della grande Comunità. In vista di quell'incontro, gli uffici della Cee stanno mettendo a punto documenti di grande importanza, che costituiscono in pratica un programma generale di sviluppo economico, sociale, civile per tutte ed ognuna delle dieci nazioni nel prossimo decennio. La costruzione della confederazione europea o, sé vogliamo usare un termine più concreto ma virtualmente identico, di un'unione economica e monetaria, non significa soltanto una scelta poli tica, fondamentale ma generica; diventerà presto un I piano d'attività legislativa j concreto e dettagliato che | condizionerà le decisioni e guiderà l'azione autonoma d'ognuno dei dieci governi e parlamenti nazionali. Ma i partiti politici italiani, anche quelli europeisti, hanno spiegato solo in termini approssimativi, o a colpi di slogan, i contenuti concreti di questo piano europeo. Unificare le monete e ridurre intanto i margini di fluttuazione significa legare le scelte economiche nazionali a un programma di sviluppo equilibrato nel quale ogni Paese dovrà concedere qualcosa, ma potrà anche chiedere molto ai propri soci. Ciò che la nuova collaborazione economico-monetaria potrà dare ai Paesi più deboli, e quindi all'Italia, è moltissimo. Per esempio, una politica che agevoli e acceleri l'ammodernamento dell'agricoltura; piani di sviluppo regionale finanziati in tutto o in parte dalla Comunità; piani di aiuto economico e sociale per la ristrutturazione di industrie obsolete o in difficoltà, come fu fatto per il carbone della Ruhr. L'importanza di tali iniziative è potenzialmente immensa: è stato detto che l'Inghilterra non avrebbe avuto il rovinoso sciopero dei minatori del 1972, se quindici anni prima avesse aderito alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Ma è ancora di più ciò che la « regione naziona le » Italia può avere dall'Europa: può mutuarne un modello di Stato moderno programmato. Nella discussione sulla no stra crisi economica, tutta via, di questi aspetti non si tiene quasi conto. L'ignoran za generale è vasta: si discute, per esempio, su come arrestare la « fuga di capitali » italiani all'estero, ma non si capisce che il vero problema è quello opposto, e cioè di creare condizioni politiche e istituzionali tali che consentano l'afflusso programmato e spontaneo di capitali europei per lo sviluppo economico dell'Italia. Nel corso degli Anni Settanta, mentre la confederazione europea diverrà realtà, si compiranno trasformazioni istituzionali straordinarie. zorrdlotetlpcdi stFGtlFdidssdmmllècocGtmcdnlcsscurldmcNon potrà esserci un'emor-raRia di poteri dai parlamen-,. 1 . ,- ti e governi nazionali versoquell'embrione di governoeuropeo che è il Consigliotisi ministri della Cee, sen- I za che si sviluppino nuovi organi popolari su scala europea: da un parlamento europeo direttamente eletto e dotato di poteri di controllo e deliberanti, a una struttura sindacale europea che elabori, per esempio, contratti di lavoro collettivi validi in tutto il continente, per i metalmeccanici italiani come per quelli inglesi o tedeschi o francesi. Ma anche i problemi istituzionali, che suscitano appassionate controversie in Inghilterra o In Francia, in Norvegia o in Germania, sono virtualmente assenti dal dibattito politico ed elettorale italiano. Forse siamo troppo presi da dubbi esistenziali sul nostro immediato domani per guardare a un futuro che pure, se il « sistema » non salterà, sarà il nostro. Se l'Italia nelle elezioni del 1972 facesse scelte estremiste, fasciste o anche comuniste, si escluderebbe dall'Europa. Non è in Europa la Jugoslavia (anche se ne è protetta). La Spagna franchista non riesce ad andare oltre un modesto trattato commerciale con la Cee. La Grecia, che aveva un trattato d'associazione inteso come premessa a un'adesione completa, è stata bloccata, dal colpo di Stato dei colonnelli e dall'antifascismo della Cee, nella scomoda anticamera degli esclusi. Una scelta europea promette vasti programmi di sviluppo civile: ma essa deriva da una precedente, e necessaria, scelta ideologica e politica. Anche questo stanno decidendo gli elettori italiani, ma senza quasi rendersene conto, e non per colpa loro. Che tacciano i partiti antieuropeisli, è comprensibile. Ma perché tacciono gli altri? . . Arrigo Levi

Persone citate: Brandt, Francia Pompidou