Scesi agl'inferi

Scesi agl'inferi ERRORE E COLPA NELL'URSS Scesi agl'inferi « Una riflessione storico-politica sul socialismo europeo di ceppo sovietico tcizintemazionaiisla c sulla sua attutile crisi» e il libro Gli accusati di Lucio Lombardo Radice (De Donato editore). L'autore è un matematico molto noto, capace anche di acute analisi letterarie. La sua riflessione è condotta mediante la lettura critica dei testi di quattro scrittori, Kafka, Bulgakov, Solzcnicyn, Kundera, che nei paesi socialisti furono messi sotto accusa. Lombardo Radice non lascia equivoci nel lettore. E' un uomo di partito, un comunista militante ed un credente che non cambicrà mai bandiera. Per luì il giudizio storico è già pronunciato. La superiorità storica del socialismo sul capitalismo rimane. Ma se il comunista ha ragione di confermare la sua fede, ha ragione anche di sentirsi angosciato. Nel socialismo possono riprodursi l'alienazione, l'incertezza, l'errore. Anche i paesi socialisti possono entrare in crisi. Di fatto, questo sta accadendo. Imporre, puntellandola sulla censura e sul silenzio della critica, l'immagine trionfalistica di un socialismo incorruttibile, vuol dire appunto condannarlo a corrompersi. Prova ne sia che nei paesi socialisti europei la crisi esiste, è grave e richiede rimedi urgenti. E' la « dura, amara, spesso sconvolgente esperienza di malgoverni comunisti »; è, in Cecoslovacchia, «il socialismo trionfili istico, autocratico, persecutorio, restaurato con lu forza delle armi da una potenza straniera ». « Il socialismo è in crisi, viva il socialismo »; da quella parte è ancora quanto abbiamo di meglio. Ma la crisi c'è c occorre vincerla. La richiesta della libertà, nella società sovietica, non è astratta, non è un problema di coscienza o di « pura » libertà del pensiero, ma è un'esigenza organica, funzionale. Un « nuovo corso », come quello soffocato in Cecoslovacchia, è necessario contro l'inaridimento teorico e anche pratico. Oltreché necessario, è tuttora possibile, ma il tempo stringe e bisogna affrettarsi. In mancanza del « nuovo corso », il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Ecco ora che cosa accomuna i quattro scrittori di cui ho fatto il nome poco fa. Metto per un momento da parte Kafka. Tutti gli altri sono « scesi agli inferi » della società socialista, testimoni, perseguitati e portatori di messaggi, con spirito religioso e critico. Poco conta in quale misura si discostano dottrinalmente dal comunismo. Appartengono nel profondo, certo più dei loro censori, al travaglio di una società in cui versano i lieviti più vitali: coraggio, conoscenza e immaginazione. Non parlo di Kundera, cecoslovacco, perché non lo conosco; mi soffermo sugli altri tre. Cominciamo dai due sovietici, entrambi ma diversamente cristiani. In prima fila Bulgakov. Il grande romanziere ucraino, che era anche un commediografo, potè stampare poco finché rimase in vita, c le sue commedie furono o vietate o sospese, malgrado qualche benevolenza di Stalin. La guardia bianca, opera degli esordi, racconta la sconfitta della guardia bianca e l'avvento dei bolscevichi a Kiev. Ma Bulgakov rifiuta di avvilire i Turbili, i protagonisti sconfitti. Da anzi a questi borghesi, ex nemici della rivoluzione, gentilezza, calore umano, generosità, buona lede. Attaccato, risponde che questa era la verità. Oppone la conoscenza alla propaganda, la cultura all'ideologia, è combattuto ma non cede. C'è in lui, con la vena satirica, un forte impeto mistico e una forte immaginazione profetica. Per Lombardo Radice, essa rivela la sua vera natura nel Maestro e Margherita. L'aldilà, il trascendente di Bulgakov è il futuro della storia; il giudizio'di Dio è il giudizio dei posteri, che sarà diverso da quello angusto del presente; la posterità è il paradiso nel quale i nemici di oggi potranno essere riconciliati. Molte cose esistono in terra di là dalla storia immediata, dalla rivoluzione, dal potere sovietico, dalla filosofia mmtianfiundtoSreseaLre«roroctrccsm«ctcvcdpsrrvamrtgmgldcdrtplicldtelsllctc marxista. Onesto è cristianesimo certo, ma storico-immanentistico, portato in chiave laica, anche se conserva il fuoco, perfino il repertorio figurativo, di una visione religiosa che non nega la rivoluzione, anzi le dà prospettive quasi infinite. Bulgakov è un grande morto oggi accettato nell'Unione Sovietica; ma tocca al maggiore dei vivi, Solzenicyn, di essere perseguitato per motivi abbastanza simili. Uscito dai Lager di Stalin, questo scrittore volle essere prima di tutto «testimone» di orrori: il terrore e la corruzione che il terrore diffonde (Il primo cerchio). Solzenicyn non è contro la rivoluzione, anche perché la politica l'interessa poco, ni a solo l'individuo e la sua coscienza. Rispetto al comunismo, senza dubbio è un «diverso»: un cristiano, il cui cristianesimo è meno compatibile di quello di Bulgakov con la fede di un comunista vero. Benché vi siano in lui alcune figure di «eroi» su basi di morale collettivistica (Reparto C), la figura centrale, salvatrice della società, per lui rimane « il giusto», anima pura e coraggiosa, testimone di verità, martire, porta-croce ed agnello sacrificale; avendo come slondo il tempo metastorico della saggezza e dell'umiltà contadina. Alla salvezza si giunge attraverso la croce. * * In questo panorama di remissione a Dio entrano la preghiera, la vicinanza ai morti, la fede in una vita assoluta dell'aldilà. Ma, appunto perché la sua tavola di valori è diversa dall'ufficiale in maniera così marcata, questo scrittore bistrattato pone in modo più netto il problema dell'abolizione di qualsiasi censura ed ingerenza burocratica. Solzenicyn mantiene vivo nel socialismo il problema dell'individuo, ricorda che il contrasto tra individuo e storia, dolore ed armonia, morte del singolo e vita del tutto non potrà scomparire mai; questa e l'utilità, anche rivoluzionaria, della sua «discesa all'inferno». Su Kafka, il più grande e complesso degli scrittori nomi nati, oggetto di un'analisi molto notevole, non si può che saltare alle conclusioni. Di lui si volle dare un'interpretazione politica (rifletteva il disfacimento dell'impero austro-ungarico e presentiva Hitler), sociologica (l'alienazione burocratico-capitalistica), etnica (la situazione ebraica), teologica, psicanalitica, tutte insufficienti ed insieme tutte di una relativa validità. Più che politica e sociale, la crisi a fondamento della sua opera fu esistenziale, personale e non collettiva, anche se il mondo tragico che venne dopo la sua morte rispecchiava in lui i propri incubi. Questo grande infelice, in cui altri scorsero un campione di nichilismo decadente, secondo Lombardo Radice fu invece pieno di amor vitae, anzi uno spirito faustiano, « teso, desideroso di vivere, combattivo, mai rassegnato, anche se in definitiva senza speranza ». Era religioso, ma in quanto sentiva il naturale e l'umano rome un mistero. Una sua idea fondamentale era che nel percorso d'una vita umana vi e sempre qualche cosa che s'inclina, devia, come l'atomo di Lucrezio, rompendone il determinismo; è tuia ragione, insieme, di libertà e d'angoscia. Tutto può )ierciù capitare, quando lo sorprende Io scatto di quella deviazione, all'uomo, quest'essere solo, nudo, privo di appoggio, esposto alla rovina. Però in Kafka, più che disperazione, v'e consapevolezza lucida. Insegna a combattere sempre, senza certezze e garanzie, non cercando consolazioni né puntelli rassicuranti, accettando l'angoscia. E, nonostante tutto, nel fondo dell'angoscia, vi è la fiducia che, nell'uomo sempre al margine del fallimento, qualche cosa sia indistruttibile. Kafka è uno dei grandi umanisti del nostro tempo, agli antipodi dei trionfalisti dogmatici che vogliono radiarlo dal mondo socialista e ignorare la sua lezione. Oggi che « è entrato drammaticamente in crisi itti certo modello di socialismo », si comprende che la coscienza del rischio, la mancanza di garanzie, insomma l'angoscia di Kafka, anche nel mondo socialista possono essere salutari. Fin qui ho riassunto, spesso parafrasandola, questa analisi che potrebbe diventare uno dei documenti classici sulla coscienza del contrasto tra ideologia e cultura nel comunismo occidentale. E' una difesa appassionata dell'umanismo, anche il più amaro, e della sua forza rivoluzionaria, contro le false ortodossie e i trionfalismi codardi. Vorrei aggiungere solo un'osservazione ru Kafka. E' per me più radicalmente pessimista di come Lombardo Radice lo vede. Il paragone con Lucrezio mi sembra giusto, e così lo scorgere in Kafka l'idea che arriva sempre un attimo della vita in cui uno scatto sordo la devia dal suo corso e inizia una nuova serie di eventi. Ma questa deviazione, a mio parere, in Kafka non è libertà. Significa èssere espulsi dalla propria vita, estraniati, piombati in un groviglio fatale di piste da cui non si esce più. Non si dà mai il contrario, ciuci piccolo « tac » soffocato è sempre il segnale del fallimento. Scorgo in Kafka generosità di cuore, tensione religiosa, sofferenza calda, desiderio deluso di comunione umana, ma non speranza, tanto meno fiducia. Supponendo che sia così, Kafka sarebbe forse meno prezioso, in qualsiasi paese ed in qualsiasi società? Il grande pessimismo, anche se radicale, non ha bisogno di nessuna giustificazione. Non occorre nemmeno cercargli correttivi. Per quanto estremo, magari condotto all'eccesso, è sempre una sostanza tonificante. In ogni società è un elemento necessario, ed è bene che esista chi lo porla allo stato puro. Guido Pìovene (A pag. 11 una corrispon| denza da Mosca: Dure criI fiche all'ultimo libro di Sol| zenicynj.

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Kiev, Maestro, Mosca, Unione Sovietica