Spadini, umano e familiare di Lionello Venturi

Spadini, umano e familiare Una rara mostra del pittore toscano a Torino Spadini, umano e familiare r« dodetilctai mLtccctcdèdafisrQuelli della collezione di Riccardo Gualino, esposti nel 1928 da Lionello Venturi nella Galleria Sabauda con altri capolavori antichi e moderni della insigne raccolta privata, furono tra i primi quadri di Armando Spadini visti dai torinesi nella loro città. Già tutti e sei pubblicati nel librocatalogo di Adolfo Venturi ed Emilio Cecchi sull'opera spadiniana (Mondadori, 1927), due di essi. Ritratto della fidanzata, del 1907, e Nudi (o Maternità), del 1918, passarono poi nella Galleria civica d'arte moderna di Torino, e vi splendono come fulgidi esempi di pittura « altra » (si badi alle loro date) nel tempo in cui Cubismo e Futurismo, Astrattismo e Dadaismo, con movimenti diversi ma affini, sconvolgevano l'arte europea: esempi di pittura, se è lecito dire, ancora dal volto umano. Per questo « i critici formalisti, gli eterni sperimentatori c alchimisti di esperienze altrui» — ricordò Leonardo Borgcsc — disprezzavano Spadini, lo chiamavano « pittore da pollaio ». A Torino da allora le riapparizioni di suoi dipinti furono rare e sporadiche. E' perciò allettante l'invito della galleria « Narciso » ( piazza Carlo Felice 18) a riaccostarsi a lui, collocato con 13 quadri e un'acquaforte su zinco tirata da Luigi De Tullio in cinquanta esemplari controfirmati dal figlio dell'artista, Andrea, al centro di una rassegna di 77 pitture dell'Ottocento italiano, quasi tutte di notevole livello, sulle quali sovrasta La strada dei campi di Antonio Fontanesi. Quando alla Galleria Sabauda s'ammirarono quei quadri, Spadini da tre anni era sparito, varcata di poco la quarantina (era nato a Firenze, Poggio a Caiano, nel 1883), ucciso dalla nefrite che l'aveva fatto crudelmente soffrire, con lenta agonia, tra la pena degli amici Baldini. Cecchi, Cardarelli, Papini, Oppo, lo strazio della famosa Pasqualina, l'inseparabile moglie-modella che compare in tanti dipinti del marito; nemmeno il vedersi intorno i 4 figli così « visceralmente » amati e anch'essi inevitabili soggetti di ritratti e composizioni, riusciva a sollevarlo dalle sofferenze, dalla disperazione cosciente della morte precoce. L'anno prima la consolazione, finalmente, della sala alla Biennale di Venezia, pur turbata dalla malattia e da ansie, dubbi, timori d'un riconoscimento non pieno. Molto tempo era passato dall'atroce umiliazione del giovane Spadini ancora a Fi-renze (si sarebbe trasferito a Roma nel 1910 avendo vinto il Pensionato di pittura, di lì non movendosi più nemmeno per il solito viaggio a Parigi di tanti artisti italiani), allievo e aiuto — per guadagnar qualche soldo dopo una breve attività di pittore di ceramiche — del De Carolis, che detestava: quel giorno che dando di colore a certi nudi « michelangioleschi » disegnati a muscolo a muscolo dal suo maestro su un muro d'un villino, da un gruppetto di muratori ed imbianchini si sentì interpellare: « O icché v'è costassù, la fabbrica dell? patate? »; ed alle « patate » accademiche avrebbe rinunziato tutta la vita per imbevere di tenera, trepida luce i suoi casti, sensuali nudi familiari la cui unità pittorica Irispondeva all'unità del sen- jtimento, gli alberi ed i fo- gliami delle scene ariose del Pincio e di Villa Borghese. Impressionismo? Lo si è detto e ripetuto, così come impropriamente si è parlato del « Renoir italiano »: quando tra il pittore italiano ed il francese la collimazione poetica ed esecutiva è incerta; quando si sapeva i per confessione sua) che gl'Impressionisti egli non li amava, li conosceva poco e male, per lo più di seconda mano, da riproduzioni. Se mai, in certi casi, fu un Impressionismo (ritardato) puramente e personalmente istintivo, venutogli dal plein air, dalla scomposizione dei toni, ed anche dalla miopia che gli sfumava e sfocava ciò che dipingeva.Nessuno dei principi scientifici, nessuna delle limitazioni di contenuto, nessuna delle regole proprie del vero Inipressionismo si riscontra in lui, ha scritto giustamente Leonardo Borgese nel piùcompleto e approfondito sag-gio (Spadini, Milano, Gian Ferrari. 19-161 che si abbia sull'artista. Spadini, pittore moderno al di fuori del modernismo programmatico, si formò sul Museo: dai maes:ri veneziani del Cinquecento a Van Dyck, dai maestri secentisti napoletani a Velàzquez e a Goya; ed anche su gli oggi vituperati spagnuoli più recenti, Zuloaga, Anglada, Sorolla, « che turilo entusiasmavano i giovani audaci del primo Novecento 11. Al suo studio, al suo mirabile disegno « fiorentino ». aggiunse il fremito della sua sensibilità colma di affetti. Perché questo è il punto da occare guardando, o riguardando, adesso a Torino questi quadri, e specialmente il gigantesco Mose ritrovato ch'è la prima elaborazione (1012, già della collezione Bastianelli) della grande scena biblica, travestitaal modo degli antichi pino La sua arte è una cosa sola col suo carattere affettuoso e violento, e con la difficile vita domestica da cui traeva la più felice ispirazione ri. da personaggi e costumi « moderni »; la quale, fino e dopo l'altra edizione del 1920, oggi alla Galleria d'arte moderna di Milano (la seconda edizione fu distrutta dall'autore), fu il rovello artistico, il culmine delle aspirazioni compositive di Spadini, tanto che ne lasciò incompiute alcune parti; e specialmente i quadri in cui ritornano, modelli, Pasqualina e i figli. La sua pittura — tenuto conto della filiazione dalla "macchia" toscana, dal Museo, dai citati maestri — è cosa sola col suo temperamento affettuoso e violento, mutevole come un cielo di primavera dalla fiducia allo sconforto; è cosa sola col caldo nido d'una vita domestica che lo angosciava per le ambasce finanziarie ma dalla quale sempre traeva felicità e ispirazione poetica. Spadini — e ci riferiamo ancora al Borgese — «è il pittore di un ideale affetto sensuale fedele, infantile, puro », e in tutta la sua pittura, nel costante dipingere la propria donna, i propri figli, la propria stanza, il proprio guscio geloso, c'è anzitutto se stesso, « il suo autoritratto più intimo e libero e affettuoso ». Nei suoi quadri, anche di argomenti diversi, si sente la semplice letizia delle immancabili riunioni domenicali all'osteria campestre o nella modesta casa ai Parioli: la Pasqualina in zoccoli che esce dalla cucina per servire agli ospiti sempre numerosi poveri cibi, i bimbi che giocano e strillano, gl'invitati di riguardo, nomi famosi della letteratura e dell'arte, chiamati a riordinare e ripulire con la scopa in mano. Così un giorno capitò al Ludwig. Quanto ai soldi, « pochi, maledetti e subito » soleva dire Spadini sempre in strettezze fin quasi al termine della vita. Ecco il "pittore da pollaio" secondo i severi inventori di formule estetiche, che lo giudicavano troppo facile, libero dai « problemi ». Ed in proposito, non è vero niente che perché abbiamo in casa gli indispensabili odiosi elettrodomestici, e perché si va nella Luna, e perché si vive in una società convulsa, permissiva, opulenta (si dice), ossessionata dalla tecnologia e dal sesso, contestatrice e dissacrante, problematica e teorizzante, la pittura di Spadini ci sia estranea, « inutile ». Proprio al contrario, ci è indispensabile per combattere con la sua umanità tanta disumanità. Marziano Bernardi