Il comizio più lungo di Alberto Ronchey
Il comizio più lungo NELLA CAMPAGNA ELETTORALE Il comizio più lungo Il congresso de) pei ha obbedito con dedizione opaca unii solo alla regola (capitolo vii, paragrafo in dello statuto) elio tuli ora'vinili il ((frazionismo», ossia l'organizzazione del dissenso e la pluralità di correnti d'opinione, ma alla necessità di far blocco in campagna elettorale. E' stato un comizio prolungato, malgrado le sfumature interpretative recitale da Ingrao e Trentin. Infine, la novità già sconl al a: Berlinguer al posto cli Longo, un tatticismo più sonile e articolalo, il pei candidalo ni governo. Ma l'autocandidatura si l'onda su previsioni politico-elettorali tuttora dubbie; anche se i comunisti oggi hanno di fronte una de investita da quellVonda nera» del nisi, che può ridurne la forza e la resistenza. Sulla questione essenziale, quella dei rapporti con l'Urss e il blocco sovietico, Berlinguer ha rivendicalo insieme la piena autonomia dei comunisti italiani e la loro fedeltà al «campo socialista» gestito dall'Urss (con qualche sospiro per la Cina). Si sa quanto le dichiarazioni di fedeltà al «campo socialista», il sozialisliceskij lager, siano pregiate dai sovietici; non si vede come sia possibile appartenere a quel « campo » e insieme proclamarsi indipendenti. Né il sistema sovietico accenna a mutare, come la sua politica di potenza; e il gigante e vicinissimo a noi, sempre più vicino considerando le crisi dei Balcani e del Me cli terraneo. Con tali formule di politica estera e una qualche dui tilità in politica interna (che non vuol chiamarsi riformismo o neo-riformismo, ma è qualcosa di simile), il pei di Berlinguer .tende e preme verso l'area della maggioranza governativa. La scella, piuttosto che per l'autonomia, è per l'anomalia: un parlilo apparentalo al potere sovietico ma con licenze verbali, d'origine e matrice leninista ma con aspirazioni riformistiche sia pure contraddittorie in materia economica. Si può concedere che alcuni dirigenti e intellettuali (sicuramente non tutti) siano sinceri neh' immaginare uno sviluppo indipendente del pei. Ma sembrano voler ignorare non pochi dati vincolami della «continuila di partito», della sua struttura e del contesto mediterraneo. Essi tendono a sottostimare i riflessi condizionati della «macchina storica », il nucleo pesante del pei; trascurano forse i pregiudizi di massa e il « bigottismo di basi.'», alimentato dalla loro stessa predicazione di decenni. E con il termine «bigottismo» non si vuole intendere nulla di spregevole in sé, ma constatare dati oggettivi. Se per ini verso in tutti i partiti il bigottismo è ingombrante, per altri versi è la forza e il l'ondo denso che conserva e salda ogni formazione politica; meni re i movimenti troppo fluidi e intellettuali sono politicamente labili, come insegnò il caso del parlilo d'azione (agglomerato intellettuale e non-bigotto per eccellenza). Ma il fondo denso del pei rimane il più fideistico fra tutti, affonda le sue radici nello stalinismo storico e in quello « di ritorno »; è una religione secolare militante, in cui tuttora si crede alla potenza salvatrice e ai miti dell'Urss piti di quanto dirigenti e osservatori vogliano ammettere (e assai più ih quanto si creda nell'ispirazione gramsciana, nella più originalo e spregiudicala letteratura del pei). 11 gruppo dirigente deve farne conto, anello se in qualche misura minima tende a occidentalizzarsi; e s'aflida alle astuzie della doppiezza. A (|iieslo punto ha ragione Saragal, quando critica lo «strano partito», la «giraffa comunista» (come scrisse una volta Togliatti), arrivando a concludere: « Una giraffa alla quale però si allunga sempre più il collo. Mcnlrc la testa cera di entrare nella stanzu dei boi''» ni. il corpo s. ne allontana ». E ha ragione il socialista Clio imi, quando sottolinea che le contraddizioni del pei rendono « poco credibile la sua autonomia e non coerente ia snerdu« nm«dttosntampDdflnctdgmrp«rlscn sua linea di politica estera ». La novità di Berlinguer non è una svolta effettiva e coerente, ma una bravura tattica notevole in più direzioni, fino a proporre un'immagine del pei quale « partito d'ordine » della sinistra. Da un lato ha ammonito il psi, qualilicando «non realistica» la formula degli « equilibri piti avanzati » inlesi come « spostamento indolore del Centro Sinistra verso sinistra »: i comunisti di Berlinguer, più pratici di non pochi socialisti, avvertono la vanità delle l'ormule che promettono troppo e non ottengono nulla. D'altra parte Berlinguer ha descritto esattamente l'infantilismo dei « gruppuscoli » estremisti, che confondono la rivolta o il disordine con la rivoluzione: « C'erte teorie libertarie — ha ben detto — le consideriamo droga pseudo-culturale ». Dopo alcuni anni cli calamitosa retorica rivoluzionaria, nessuno vorrà negare al pei, forse consapevole che « non si può frustare la storia come si frusta il cavallo», un realismo tattico persino virtuoso. Ma sul concetto medesimo cli rivoluzione, tanto abusato, sarà leci¬ to ricordare anche una riflessione celebre ancorché amara di Engels: « Coloro che s'immaginano d'aver fatto una rivoluzione s'accorgono sempre all' indomani che non sapevano ciò che volevano e che la rivoluzione fatta non ha nulla in comune con quella che volevano fare ». E sul termine, su quella magica parola, si sa quanto sia spesso applicabile anche alla politica la definizione tecnica extra-politica del rinomato dizionario enciclopedico Larousse: « Rivoluzione, movimento cli un mobile che percorrendo una curva chiusa ripassa successivamente per gli stessi punti ». Non si vorrà dire che questi siano argomenti da conservatori (è diflicile che si trovi molto da conservare in Italia); sono piuttosto motivi critici. Con il pei bisognerà forse fare i conti un giorno, ma farli bene al momento migliore, se e quando potrà chiaramente offrire sicure garanzie; cosi ragiona ehi non veda soluzioni politiche nell'equivoco, ma in pari tempo respinga la prepotenza contro chiunque, comunisti compresi. Alberto Ronchey
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