Il gran gelo di Pinter

Il gran gelo di Pinter Un'occasione per rileggere il suo teatro Il gran gelo di Pinter Harold Pinter: «Teatro», Ed. Einaudi, pag. 410, lire 4500. Tra gli autori del nuovo teatro inglese, che nel 1956 spazzò via il vecchiume dei Rattigan e dei Coward con la prima rappresentazione di Ricordo con rabbia, il portabandiera Osborne è ancora oggi il più « arrabbiato », Wesker il più impegnato e Bond, citando per tutti l'ultimo fangoso fiore di una ricchissima fioritura, il più violento. Ma Harold Pinter, che al tempo dei furori di Jimmy Porter aveva sedici anni e ancora non aveva cominciato a recitare (è entrato in teatro come attore), sembra non conoscere la rabbia e l'impegno, o se li ha li tiene dentro, e nemmeno quasi la violenza giacché questa non divampa in lui come fiamma ma soffia, quando soffia, come una ventata, improvvisa ed effimera, di aria gelida. Un entomologo non potrebbe descrivere con maggiore distacco e rigore il comportamento di insetti dei quali conosce soltanto ciò che gli rivela il microscopio di qiumto Pinter spacchi e sezioni la vita di esseri umani dei quali, quasi ignorandone lui stesso la provenienza e l'indole, mostra le azioni ma ne nasconde, ammesso che ci siano, i moventi. Chi ascolta i suoi dialoghi ha spesso l'impressione di essere capitato per sbaglio in una conversazione di cui non conosce né gli interlocutori né l'argomento (ma, affascinato, rimane ugualmente ad ascoltarla! o di entrare all'improvviso in una stanza dove si svolgono avvenimenti, o si celebrano riti, dei quali non afferra le origini e i nessi. Già, una stanza: il primo dramma di Pinter s'intitola, appunto. The Room. Come quasi tutti gli altri dieci riuniti in questa raccolta einuudiana che abbraccia oltre un decennio di attività (195H1969), si svolge, per usure una espressione dell'autore, « nella scatola chiusa di una stanza sola ». Oggi Pinter se no dichiara statico, sente di doverne uscire — « se fuori o altrove non so » — e tuttavia ancora ne è prigioniero. In questo unico, soffocante ambiente i suoi personaggi cercano riparo da un perico¬ lo, oscuro o addirittura ignoto, dal quale si sentono incalzati: «Teatro di minaccia» è infatti una delle formule, ormai logora, usata per il teatro di Pinter. Teatro dell'assurdo, si è detto anche, abbastanza sbrigativamente, nei primi tempi. Ma nonostante l'humour, che però nei suoi personaggi non capisci mai se è volontario o involontario, Pinter non ha molto da spartire con Ionesco (lo ha conosciuto, del resto, dopo avere scritto i primi lavori), se mai con Kafka, e le angosce realistiche di questi, ma soprattutto con Beckett che lo stesso Pinter si riconosce per maestro. Ma se Beckett parla, per così dire, con il silenzio, Pinter si esprime con una parola di cui continuamente sottolinea la relatività e l'ambiguità: Pinter non crede all'incomunicabilità, ma piuttosto che, istintivo o deliberato, « vi sia in ciascuno di noi un moto interno per evitare di comunicare ». Nutrendosi, o meglio rifugiandosi nelle piattezze, incoerenze e ripetizioni della conversazione quotidiana, il linguaggio di Pinter diventa cosi non un veicolo ma una difesa da minacce e pericoli e un espediente per non eretrare nella vita degli altri. Plebeo o a volte raffinato, è un linguaggio rigorosamente anche se ingannevolmente realìstico, inutile cercarvi o attribuirgli simboli, un'ideo¬ logia, una morale: se il dramma ha un significato, questo è il dramma stesso. Il che non toglie nulla all'ambiguità di un teatro che ha addirittura introdotto un nuovo aggettivo nella lingua inglese: pinteresque, per indicare appunto qualcosa di sfuggente, di sconcertante, di equivoco. Del mondo e del linguaggio « pinteriano » il volume offre una esauriente e quasi completa illustrazione. Oltre a cose minori e al recente Old Times, inedito da noi anche sulla scena (ne annuncia una traduzione la rivista Sipario), mancano i testi scritti per la televisione. C'è però L'amante, dove predomina l'influsso di Genet, che vinse un Premio Italia nel '63: ma la nostra pudibonda tv non osò trasmetterlo, lo mise in scena il regista Celi per Terzetti. Anche Una notte fuori venne data in Inghilterra prima alla radio e alla tv libera che in teatro. Einaudi promette ora un volume di commedie televisive, ma si dovrebbero raccogliere anche le più significative sceneggiature cinematografiche: quelle per Losey ad esempio (Il servo, L'incidente, Messaggero d'amore) offrirebbero, con la splendida allusività, il sapiente « parlar d'altro » e la calcolata casualità dei loro'dialoghi, più di un grimaldello per scassinare la serratura della stanzafortezza di Pinter. Alberto Blandì

Luoghi citati: Inghilterra, Italia