"Lulu,, grande (e lunga)

"Lulu,, grande (e lunga) L'opera di Wedekind al Carignano "Lulu,, grande (e lunga) Lo spettacolo presentato dal Piccolo Teatro di Milano con la regìa di Chéreau - Un'importante interpretazione di Valentina Cortese, protagonista, con Renzo Ricci e Alida Valli Non parliamo per i teatromani come noi che se ne starebbero in poltrona per otto ore filate. Parliamo per il pubblico che l'altra sera, entrato compatto al Carignano (salvo gli inguaribili ritardatari) alle nove in punto, ne è uscito all'una e un quarto passata: Lulu di Frank Wedekind. nella messinscena di Patrice Chéreau per il «Piccolo» milanese proposta dal nostro Stabile ai suoi abbonati, è uno spettacolo ancora troppo lungo per essere pienamente apprezzato come merita, e vi assicuriamo che lo merita ampiamente, sia nel testo sia nella sua regia. Detto questo, si può poi chiedere agli spettatori un pochino più di pazienza e di attenzione. Sappiamo anzitutto che, sia pure ridotto così come ha voluto la figlia dell'autore, il dramma che essi ascoltano nell'eccellente traduzione di Emilio Castellani (ora edita da Adelphi) fonde due lavori composti in diversi periodi: Lo spirito della terra, che venne rappresentato per la prima volta, ma in forma privata, ancora nel secolo scorso (1898), e II vaso di Pandora, che andò in scena nel 1904. Anche se spesso è accostato a Strindberg ed è considerato al pari dello svedese, uno dei padri dell'espressionismo teatrale o del teatro moderno tout court. Wedekind non ha avuto sinora molta fortuna da noi (nemmeno con Risveglio di primavera, forse il suo capolavoro), dove Lulu non c mai stata rappresentata nella sua integrità. Soltanto la Melato ne portò in scena, nel '22, la prima parte per di più raccogliendo le disapprovazioni del pubblico e di gran parte dei critici. E si capisce: Wedekind era lontano dallo psicologismo allora imperante, i suoi sembravano fantocci, non personaggi. Ma chi è veramente Lulu? Agli spettatori dell'età guglielmina andava -benissimo che fosse la Femmina divoratrice la quale, rovinati, spinti al suicidio o uccisi lei stessa i suoi amanti, scendeva, prima nvbocs| | n| s] j è| j I à n a à i m a e » a !) i oa l riao S. di a Parigi poi a Londra, tutti i i tgradini dell'abiezione sino a sfinire, giustamente, sotto il coltello di Jack lo sventrato- \ qre. Ma per un loro finissimo i ucontemporaneo, Karl Kraus, sè già «la donna che per ognu- d7ìo e un altra, a ognuno mostra un altro volto e perciò più raramente tradisce, ed è ben più verginale delle barnbole.tte. domestiche». E se Lulu e un vaso di Pandora, cioè la fonte di tutti i mali, lo è perché così la vuole e la rende la società che poi la condanna. Ma Wedekind no, non la condanna: anzi spezza una lancia per la sua emancipazione. Fino a qual punto anche Chéreau tenga per la sua eroina e in quale misura consideri la tragica fine di lei come un meritato castigo non è agevole dirlo, tanto più che il regista francese imbroglia le carte affidando allo stesso attore sia il personaggio del dottor Schòn, che Tino Carfaro splendidamente disegna con tratti degni della matita di Grosz, sia quello del giustiziere Jack: da una parte cioè il solo uomo che Lulu, forse, ha amato ma anche ha fatto soffrire più di ogni altro, dall'altra il maniaco sessuale che sembrerebbe avere il compito di vendicare tutte le vittime più della Donna in genere che di una donna in I particolare. Ma non c'è dubbio che, pur insinuando nel dramma un'ironia demistificatrice dei suoi furori da mèlo e di certe cadute nel feuilleton tsi badi all'uso di fragorose musiche a grande effetto tratte, o che sembrano esserlo, dalle colonne sonore dei «colossi» cinematografici), Chéreau indirizzi i suoi strali più alla società borghese, che del resto è l'immutabile bersaglio preferito di questo enfant terrible, che alla sciagurata protagonista. E questa è una Valentina Cortese che confessiamo di non ricordare così brava tanto riesce a passare, talvolta fulmineamente, dai toni e dagli atteggiamenti della ragazza di strada a quelli della puttana di alto bordo, dai palpiti di una giovane e sensualissima creatura ai sussulti di uno stanco e spento relitto. Come abbiamo già avuto occasione di dire dopo la prima milanese, lo spettacolo è uno dei più interessanti della stagione e forse il più sensazionale di un regista che. anche quando sbaglia, sbalordisce per il modo stesso con cui lo fa, strafacendo e baroccheggiando a tutto spiano, ma che qui al contrario è attento a non straripare, a togliere piuttosto che aggiungere, a non sopraffare il testo o a travisarne il senso. A tenerlo a freno giova anche la massiccia e compatta scenografia di Richard Peduzzi ( i costumi, molto belli, sono di Jacques Schmid!,) che a Chéreau, voluttuosamente propenso a fare del teatro nel teatro su un palcoscenico nudo, impone una precisa organizzazione dello spazio teatrale. Dal prologo, che raddoppia il domatore-Wedekind (un gelido e beffardo Fortebraccio) con un sinistro nano, alla presentazione di Lulu in una fumigante teca di vetro dentro una tomba o mausoleo, ma anche acquario con i personaggi che guardano e vengono osservati come belve in gabbia attraverso grandi lasire trasparenti, dall'atto parigino del Vaso dì Pandora • tanghi e I love Paris: l'azione è spostata negli Anni Veti-ti, la borghesia sia per gettarsi tra le braccia del nazismo)in cui ritorna affollata come un formicaio la grande scalinata dello Spirito della terrafino all'atroce epilogo nella soffitta londinese, il registaprocede più con sobri e magistrali i occhi che con l'accumulazione degli effetti, anche se talvolta, e specialmente alla line, cede ad antiche pasticcia, non attori. Ma Chéreau stavolta non ne abusa e la distribuzione, ancorché diseguale, offre con la Cortese e gli altri citati un Renzo Ricci deliziosamente abietto, un'Alida Val| li che castiga la sua bellezza | nei tormenti di un'omoses| suale, e ancora Gigi Pistilli e ] Graziano Giusti, anche se uno j è un poco sotto e l'altro un poco sopra le righe, Mario Piave, l'atletico John Lej, il Verdiani, il Granata, la Di Bernardo. Tutti applauditissi| mi da un pubblico che ha j resistito coraggiosamente olI tre gli ultimi tram. Alberto Blandi i tentazioni, indugia si compiace, e' un vezzo aci esempio \ quello di ricorrere a interprei u fisicamente o vocalmente sgradevoli, magari ripescati dal music-hall e, in ogni caso

Luoghi citati: Adelphi, Londra, Milano, Parigi