Pellegrinaggio verso il "peyotl" di Stefano Reggiani

Pellegrinaggio verso il "peyotl"Un etnologo prova la magica droga degli indios Pellegrinaggio verso il "peyotl" a i n o a i n a è ao ai n è e, Fernando Bcnitez: « Peyoteros», Ed. Il Saggiatore, pag. 304, lire 3000. Benitez. etnologo messicano, ha partecipato al pellegrinaggio degli indios huicholes verso la terra della droga, il Mezzo Mondo dove fiorisce il peyotl, il Divino Luminoso, capace di mettere in contatto il neofita con le radici misteriose del suo popolo. Questi pellegrinaggi erano noti agH studiosi, ma nessuno li aveva controllati « sul campo ». Benitez s'è mischiato agli ultimi indios che ancora seguono le antiche usanze e s'è fatto pellegrino. Un viaggio curioso: da una parte gli huicholes, la tribù fedele ai padri, dall'altra l'etnologo e la sua piccola troupe, e le intrusioni del progresso, gli autobus che abbreviano il cammino, la macchina fotografica che rapisce l'intimità iniziatica. Il santuario del peyotl ha due aspetti: un'arida terra quasi lunare agli occhi del profano, un volto sacro (ogni luogo è legato a una ripetizione rituale) per il peyotero. Il pellegrinaggio è una progressiva sacralizzazione di paesaggi desertici; e per Benitez una graduale scoperta: dall'interesse dello studioso alla partecipazione dell'iniziato. L'etnologo è partito anche per una rivincita scientifica, convinto che tocchi ai messicani riscattare il loro patrimonio culturale, polemico verso gli stranieri e un poco insofferente delle sudditanze (parendogli anche il metodo strutturalista una forma di imperialismo occidentale). La sua esperienza di pellegrino è unica; non quella di drogato, bastando i nomi di Michaux e di Leary per indicare le varie forme, dalla letteraria alla mistica, con cui la scienza ha sacrificato alla droga. Giunti all' altipiano dove fiorisce il cactus magico i pellegrini s'abbandonano ad una caccia rituale. Scoprono l'umile pianta abbarbicata al terreno, la trafiggono con le frecce, la raccolgono, la consumano. La pianta che racchiude l'allucinogeno sta al centro di un sistema mistico nel quale trovano posto gli animali (il daino) e le piante alimentari (il mais). C'è un lungo lavoro da compiere per indagare e recuperare i miti degli indios mesoamericani, pensa Benitez con una punta di nazionalismo. Per suo conto s'appresta a raccogliere tutte le testimonianze che può. La prima è di carattere personale, la consumazione del peyotl sul luogo delle celebrazioni huicholes. Ma lo sperimentatore è ormai irrimediabilmente « impuro ». il suo incontro con la droga è singolare. Al culmine dell' invasamento provocato dal peyotl. Benitez si accorge di essere uno spinozista. Combattendo contro le «scintille verdi e rosse», contro le « sfere, triangoli e rombi » che irraggiano da lui, s'ag¬ fiestsnmgiscctufgtbgctlg grappa ai suoi ricordi filoso- \ fici. « Non ho mai cessato di essere uno spinozista. Io stes. so sono la prova del suo panteismo (di Spinoza). La sostanza infinita... è percepibile nel fondo degli abissi ». Poi, mentre un paravento di foglie di rovere « si trasforma in un lampadario, in un festone d'oro di una magnificenza e di uno splendore inconcepibili », ansioso di ritrovare il suo mondo chiama un compagno di viaggio, un fotografo italiano, e lo prega dì recitargli Dante. E udito il passo che comincia « La bocca sollevò dal fiero pasto » geme e ride, e trova quel cannibalismo infernale grottesco. Chiede allora di udire la parola di Lorenzo il Magnìfico: « Quant'é bella giovi¬ nezza... », ma quella « buffoneria » lo ferisce, poiché evoca « satiretti, innamorati e boschetti » a lui che trova in « una foglia secca di rovere... tutta la gloria del paradiso ». .Esce dal vortice della droga « sconcertato e furioso ». Questo duro atterraggio di Benitez, dopo un itinerario trapunto di allucinazioni e di rincorse letterarie, non ha solo il pregio della curiosità e della stranezza, ma ci offre una interpretazione del « problema della droga ». Possiamo riassumerla in questo modo: gli effetti degli allucinogeni sono relativi alla cultura nella quale si realizzano. Lo straniamento da sé e la ricerca dei limiti irrazionali servono, di volta in volta, ad esigenze diverse. Gli indios huicholes hanno sacralizzato la droga e l'hanno inserita nel loro sistema; la civiltà occidentale teme la droga e ne è attratta perché è « altra da sé ». Questa trasfigurazione del problema della droga è adombrata, con qualche enfasi, da Benitez, quando si chiede, a conclusione del suo lavoro, se sia opportuno « abbandonare le interpretazioni degli etnologi ». La droga impone una rigenerazione filosofica dell'uomo; che Benitez interpreta, da buon eclettico, con le inquiete aperture del romanticismo tedesco. « Probabilmente l'uso delle droghe allucinogene, la rivolta di milioni di giovani, la creazione di un nuovo mito, sono destinati al fallimento, dal momento che si è perso il modo di utilizzare le forze occulte del nostro cervello, la scoperta che implica l'annullamento delle barriere fra il subcosciente e la coscienza ». Per Benitez, toccato dalla vista dei pellegrini huicholes e dalla segreta perfusione del peyotl, l'impegno degli studiosi è di « romanticizzare il mondo ». Un impegno che si spiega meglio con queste parole: « dobbiamo tornare al | selvaggio, al primitivo ». Non è un invito nuovo, né privo di seduzioni. Peccato che il « ritorno » sia un prodotto culturale e che il primitivo abbia perso del tutto la possibilità di essere genuino: anche nei raptus allucinati si chiama in battaglia la nostra civiltà e le ragioni per cui | siamo così tentati di essere selvaggi. Stefano Reggiani Una divinità della cosmogonia messicana