Un "rilancio,, per il Cnel di Arturo Barone

 Un "rilancio,, per il Cnel Nello spirito della Costituzione Un "rilancio,, per il Cnel E' una delle istituzioni più importanti della Repubblica, ma i suoi poteri si sono di fatto molto ridotti - E' ormai necessaria una riforma E' di qualche giorno fa l'annuncio dell'on. Andreotti di avere chiesto al Cnel un rapporto completo sulle conseguenze dell'Iva in fatto di prezzi, «che possa offrire adeguati e tempestivi consigli operativi» (specie per quanto riguarda prodotti alimentari, canoni d'affitto e alcuni servizi essenziali), tenendo conto sia dell'esperienza di altri paesi comunitari in fatto di Iva. sia della prospettiva di allargamento del Mec a quattro nuovi paesi. Alcuni osservatori ricordano ancora dichiarazioni dell'estate scorsa del neopresidente del Consiglio, incondizionatamente favorevoli al Cnel; qualche spulciatore di documenti d'archivio ha ripescato un documento del giugno 1971, a firma Andreotti e Zanibelli (rispettivamente presidente e vicepresidente del gruppo de della" Camera), nel quale i due qualificati rappresentanti dei deputati democristiani interpellavano l'allora presidente del Consiglio Colombo «per conoscere se il governo, nel quadro dei problemi istituzionali relativi al tema elei rapporti tre governo e sindacati, intenda informare la Camera sui motivi che hanno sin qui impedito la rinnovazione del Cnel e sulle iniziative che s'intendono prendere per la necessaria normalizzazione di questo strumento costituzionale di organico contatto con le forze lavorative che non esclude, in momenti particolari, anche un diretto rapporto fra il governo e le singole componenti del Cnel stesso». In quel periodo erano ancora frequenti gl'incontri diretti fra governo e sindacati, sicché l'interpellanza Andreotti ha quasi il sapore di un richiamo a riportare tali incontri nella loro sede istituzionale di Villa Lubin. Lo stesso Colombo, nel fio discorso d'investitura d'-11'agosto 1970, aveva auspicato una «necessaria ed urgente modifica» della legge istitutiva del Cnel del gennaio 1957, per accrescere la funzicnalità dell'istituto, secondo il dettato della Costituzione. L'art. 99 della Carta del 1947 afferma infatti espres- samente: «Il Consiglio nazio- naie dell'economia e del la- voro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esper- ti e rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. E' organo di consulenza delle Camere e del governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro ì limiti stabiliti dalla legge». Stando a questo testo e alle norme del protocollo ufficiale, il Cnel è uno dei maggiori organi della Repubblica; il suo presidente viene, per importanza, al sesto posto, dopo il Capo dello Stato, i presidenti del Senato e della Camera, il presidente del Con-siglio e dalla Corte Costituzionale. In pratica, i poteri effettivi del Cnel si sono, strada facendo, di molto ridimensionati; Parlamento e governo si sono ben guardati dal consultarlo anche su leggi fondamentali come la nazionalizzazione delle industrie elettriche e l'istituzione della cedolare d'acconto. In altri casi, la consultazione formale ha avuto luogo, ma nessuno ha tenuto conto del suo parere. Una sola volta, nel 1967, il Cnel ha osato valersi del suo diritto d'iniziativa legislativa, varando un disegno di legge in materia di orari di lavoro e di riposi annuali e settimanali dei lavoratori dipendenti (che fu giudicato favorevolmente da tutte le parti in causa e di cui si avverte sempre più la mancanza in quest'epoca di «ponti» a ripetizione), ma decadde miseramente l'anno seguente per fine legislatura. Da allora, la posizione del Cnel è ulteriormente peggiorata. Dopo appena due «consigliature» normali (1958-'60 e 1961-'63), è diventato difficile persino rinnovare alla scadenza i 79 membri che compongono il consiglio; l'ottantesimo, il presidente, è nominato dall'esecutivo. L'attuale consi- glio, dopo essere stato prorogato da tre a cinque anni, risulta scaduto dal 4 ottobre 1969, cioè da quasi trenta mesi. Stri criteri della riforma osi- ste un consenso piuttosto lar-go: I) aumento dei consiglie-ri a 100-120, per potervi in-cludere un maggior numerodi rappresentanti delle cate-gorie produttive, previa esclusione di certi «esperti» che rappresentano solo se stessi e di troppi esponenti del motido agricolo, ridimensionato j dall'esodo e dalla mutata i struttura dell'economia Italia- I na; 2) i consiglieri debbono essere designati « ex-officio » | e perciò sostituiti quando hanno abbandonato la carica |in base alla quale sono stati nominati (oggi ci sono al i Cnel una decina di posti non I coperti, per lo più a causa di morte); 3) il parere del j Cnel deve essere obbligatorio almeno in materia di programma economico e d'integrazione comunitaria; 4) alle riunioni plenarie va garantita la presenza della stampa; 5) per svolgere l'essenziale compito di documentazione sui principali problemi economico-sociali il Cnel deve avere una dotazione assai superiore ai 500 milioni annui di cui attualmente dispone ( con una « leggina » del dicembre scorso è stato proposto l'aumento a 600 milioni), i Qualora la riforma del Cnel venisse portata a termine, non : mancherebbero i candidati di | prestigio alla sua presidenza. | Forse, lo stesso Petrilli po; trebbe accettare, lasciando | l'Iri, di succedere a Pietro | Campilll, presidente in cariI ca dal 1959. Arturo Barone

Persone citate: Andreotti, Consiglio Colombo, Lubin, Petrilli, Zanibelli

Luoghi citati: Italia