I borghesi rossi di Lubiana di Giorgio Fattori

I borghesi rossi di Lubiana DOPO I FATTI DI ZAGABRIA E IL CONGRESSO COMUNISTA I borghesi rossi di Lubiana Subito al di là di Trieste, la Slovenia è la repubblica più prospera della Jugoslavia - Gode di un reddito relativamente elevato e non ha emigranti, anzi ospita lavoratori croati e bosniaci - Ma il suo ruolo di «prima della classe» suscita gelosie - All'interno, «gruppuscoli» di sinistra si oppongono, a volte con astiosa asprezza, al crescente consumismo (Dal nòstro inviato speciale) Lubiana, febbraio. La chiamano la Svizzera del. la Jugoslavia: piccola, ricca, efficiente, un po' egoista. Tanto prospera da avere un reddito sei volte superiore a quello dei meridionali del Kossovo (1150 dollari a testa contro 180): tanto cidlata nel benessere da stimolare i moralismi di sinistra tipici delle società occidentali (l'Università di Lubiana ha i suoi gruppuscoli che scrivono sui muri: «Torniamo alla guerriglia contro il capitalismo che rinasce »). Con ammirazione I suoi cittadini non fanno i muratori né gli spalaneve: per i lavori umili ci sono 120 mila immigrati dalla Croazia e dalla Bosnia. Le esportazioni estere vanno per due terzi verso l'Occidente (dunque pagate in valuta), i suoi « borghesi rossi » sono più borghesi che in qualunque altra parte della Jugoslavia. Questa è la Slovenia, guardata con invidia, ammirazione, e a volte con un filo di diffidenza a Belgrado e a Zagabria. Patria di tecnocrati e funzionari spoliticizzati, ma anche di Edvard Kardelj, teorico dell'autogestione e numero due del regime. La Slovenia per prima, reclamando i fondi per l'autostrada Lubiana-Postumia, sollevò 3 anni fa la contesa economico - nazionalista che ora avvelena la Jugoslavia. Poi si è messa fuori tiro. Nella pericolosa crisi di dicembre, l'accusano di aver lasciato che serbi e croati sì scannassero nelle polemiche, badando prudentemente ai fatti suoi. Altri affermano invece che i più intransigenti a chiedere una netta repressione del nazionalismo di Zagabria siano stati proprio alcuni dirigenti sloveni. Piccola repubblica che filtra le contraddizioni politiche e sociali della nazione, oggi è un punto d'osservazione molto interessante della crisi jugoslava. Andiamo in giro per la vecchia Lubiana, linda sotto la neve, dove ogni palazzetto barocco ricorda la segreta inclinazione mitteleuropea della città. Qui hanno lavorato nel dopoguerra i migliori urbanisti della Jugoslavia, naturalmente sloveni. Il centro storico lega senza contrasti con la nuova Lubiana arricchita dall'autonomia industriale e protesa verso gli affari: vetrine di un certo lusso, sfilate di banche e uffici, e infine l'edificio squadrato e modernissimo dei grandi magazzini, i più vasti, dicono, tra Milano e Vienna. Si chiama Maximarkt e gli studenti contestatori l'hanno ribattezzato con sarcasmo « Marximarkt »: simbolo dei peccati consumisti della Slovenia rossa. sspczcviiFatti economici « Non è vero che siamo stati spettatori passivi della crisi croata. Seguiamo anzi con speciale attenzione tutti gli avvenimeViti che indeboliscono o rafforzano la Jugoslavia ». Parliamo con il viceprimo ministro sloveno Franz Hoceva e i discorsi vertono soprattutto sui fatti economici. La scivolata del dinaro I due svalutazioni in un anno) ha messo in difficoltà anche la Slovenia, dove mesi fa seicento ferrovieri furono protagonisti di uno sciopero salariale fra i più turbolenti della storia della Federazione. Gli sloveni non sono contenti delle incertezze economiche che hanno frenato l'integrazione all'Europa, ma sanno bene che il loro futuro è strettamente legato alle sorti della nazione. Lubiana ha i suoi principali mercati nelle altre repubbliche jugoslave: da sola diventerebbe una falsa Svizzera schiacciata dalla concorrenza internazionale. L'unitarismo sloveno ha le radici negli interessi economici e per questo alcuni dirigenti si sono battuti con intransigenza contro i presunti separatisti di Croazia. Ma la tecnica è quella di star fuori dalla mischia e di smorzare le spinte verso il ritorno a rigidi controlli centrali. Come la Croazia, la Slovenia vuole disporre delle sue ricchezze senza interferenze della burocrazia serba. Più preparata industrialmente fra tutte le repubbliche, vuole accelerare i tempi della convertibilità del dinaro, « problema — dice il dottor Hoceva — che ci riguarda molto da vicino ». Malgrado le vecchie polemiche, non si profila quindi un nuovo affare croato a Lubiana. Per tradizioni culturali e atteggiamento psicologico Belgrado appare forse più lontana di Vienna, ma una Slovenia secessionista sarebbe anzitutto un pericoloso er rare politico. I legami unitari non sono soltanto economici. « La nostra — osserva il ministro delle Informazioni Sebastiano Barbone — è la repubblica jugoslava più antistalinista. Nel 1948 solo tremila membri del partito si schierarono a favore della risoluzione del Cominform». La politica terzaforzista di Tito coincide con gli interessi nazionali sloveni. « Qualunque crisi — dice Barbarie — va vista nel quadro internaziona¬ le e questo è stato l'errore dei croati: chi può all'estero avere interesse a una Jugoslavia debole e frazionata? Noi tiriamo le conclusioni da basi logiche ». Meno aspro che in Serbia e meno drammatico che in Croazia, l'attuale conflitto fra le correnti di partito coinvolge anche la Slovenia. I neostalinisti rappresentano una sorda e costante opposizione da destra, ma Lubiana ha anche i suoi problemi a sinistra con gli studenti che. accusano di degenerazione capitalista il sistema dell'autogestione. Sid loro giornale Tribuna hanno attaccato Tito, episodio senza precedenti giornalistici in Jugoslavia. Ora il governo sloveno ha tagliato i fondi a Tribuna e sta epurando i redattori ribelli: è uno dei contraccolpi silenziosi della crisi croata che ha impegnato tutte le repubbliche a usare « la scopa di ferro » contro oppositori interni, sino a ieri tollerati con quasi magnanima indifferenza. In questo ruolo di alta vigilanza politica si fa avanti uno sloveno. Stanislao Dolanz, che sembra divenuto da qualche mese l'uomo dì fiducia dell'irritatissimo maresciallo Tito. Ma nel diffìcile gioco di equilibri — appoggiare Belgrado evitando i pericoli di un ritorno alla « mano forte » centralista — il vecchio Kardelj rappresenta ancora l'uomo di punta della Slovenia. Kardelj si rende conto che una restaurazione autoritaria bloccherebbe i meccanismi dell'autogestione e liquiderebbe a poco a poco « la via jugoslava». Il nostro obbiettivo, dice Kardelj. dev'essere la riduzione degli squilibri sociali che sfruttando i nazionalismi hanno portato alla crisi. Lungo dibattito Su questa linea, il governo sloveno ha votato in questi giorni una legge che fissa il massimo dei guadagni nella repubblica a 5800 dinari al mese (circa 250 mila lire). I redditi reali di architetti, ingegneri, commercianti con l'estero sono almeno il doppio, più i milionari invisibili come i direttori degli alberghi autogestiti. Ma è possibile bloccare gli incentivi di guadagno in un socialismo che si basa sull'economia di mercato? La Jugoslavia dibatte questo problema da tempo e la soluzione sembra molto difficile. Gli squilibri sociali si avvertono all'interno di ogni repubblica, ma sono più forti e pericolosi per l'unità federale nel contrasto fra repubbliche industrializzate e quelle del Sud che vivacchiano con i sussidi del fondo di solidarietà. La Slovenia non importa solo manovali dalla Bosnia, ma medici, tecnici e professori dalle repubbliche sottosviluppate. La libera, competizione di stipendi (un •insegnante al Politecnico di Lubiana guadagna almeno il doppio del suo collega in Macedonia) accentua il divario dell'efficienza e del prestigio tecnologico. Nel suo ruolo di prima della classe, la Slovenia suscita oscure gelosie di cui si comincia a tener conto. Più furba e mimetizzata dì quella serba o croata, la «borghesìa rossa » di Lubiana sulla scia della crisi entra anch'essa nel gioco delle polemiche. Distruggerla per austerità comunista, come vorrebbero i gruppetti contestatori dell'Università, vorrebbe dire la fine di uno slancio economico utile a tutta la nazione. Lasciarla arricchire indisturbata potrebbe inasprire i rancori fra le repubbliche. Ora che i conflitti politici tornano in primo piano a Belgrado nello scontro fra « conservatori » e « liberali », il cauto isolazionismo sloveno ha meno speranze di passare inosservato. Ci vorranno nuove riforme, ma senza cedere a tentazioni oltranziste. Con qualche dinaro in più, il problema sloveno è quello di tutta la nazione. Giorgio Fattori UNGHERIA

Persone citate: Edvard Kardelj, Franz Hoceva, Sebastiano Barbone, Stanislao Dolanz