Ma insomma che cosa vuoi? di Alberto Ronchey

Ma insomma che cosa vuoi? LA BRUTTA CRISI Ma insomma che cosa vuoi? Se avremo l'anticipo delle elezioni, tema (iella disputa non sarà il divorzio ( basterebbe il referendum) né le riforme, non discutibili tecnicamente in piazza. Il tema sarà l'identità del pei, che insieme con le sue ((frange» rappresenta un terzo di questa società. E' il monopolio dell'opposizione? Tende al governo diretto o per procura? E' un'opposizione « privilegiata »? Dalla risposta a tali questioni può derivare l'entità dei voti destinati all'estrema destra, la possibilità di un qualsiasi equilibrio politico, la conseguente frattura della de, l'appartenenza medesima di questa società all'Europa occidentale. Dovrebbe esser chiaro che il pei del '12 non è il psi nenniano del 'B2; così come la destra demagogica, «di mussa », neo-populista e persino « sindacalista » del msi non è quella liberale di dieci anni fa. In altri tempi, lo slogan dello elezioni fu: volate per chi volete, ma volate. Ora è diverso: votate per chi volete, ma sappiate di che si tratta. Anzitutto si discuta sul pei. Troppi sono i quesiti che il pei usa giudicare indiserei i, o non pertinenti e dunque impertinenti. Eppure ci si può rivolgere al pc il aliano citando il titolo del I risto romanzo di Vsevolod Koeetov: « Ma insomma, che cosa vuoi?» («Ceno zc ty khoces'? »). I dirigenti e gli intellettuali del pei non cessano d'essere allusivi, duttili, troppo astuti. Nei discorsi di Berlinguer sono più lunghe le pause che le frasi; e se altri suoi colleglli parlano molto, dicono poco. De Gasperi, dinanzi a corti molesti quesiti sugli equivoci della de, usava rispondere: «Se togliete l'equivoco alla de, che cosa rimane?»; il pei adotta l'argomento, se non il linguaggio. Il fumus di spregiudicatezza rispetto all'Urss, che spesso viene accordato al pei (anzitutto nei giudizi di giornali che si pubblicano a Parigi, come Le Monde e la Herald Tribune), è comparato al sovietismo plumbeo dei comunisti francesi. Al paragone, la politica del pei apparo problematica e fluida; di fatto rimane non aliena da una certa « doppiezza », come disse Antonio Gioii! ti quando volle uscirne. E in materia economica, il pei supera tutti i «partiti fratelli» nell'inclinare alla teoria più che all'applicazione; i suoi esperti, sempre avari di cifre, sono i piti eloquenti nell'argomenlare su ciò che si pensa anziché su quanto si vorrebbe fare, sul « perché » più che sul « come ». Osservava già qualche anno fa Jean-Francois Revel: « Più si va a sinistra, più le dispute vertono sulla natura di ciò che si deve pensare e meno su ciò che può esser fatto». Le persone semplici e i polemisti facili, si capisce, usano rispondere che « il socialismo » è ciò che dev'esser fatto. Ma quello socialismo, secondo il detto irreverente di Revel, « è un po' come l'oro delle miniere di Donogoo: ce n'à in ogni angolo, solo che Donogoo non esiste ». Sempre meno ci si contenta della nozione di socialismo come capitalismo di Stato, o statizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, discutendo sull'Urss, su Cuba, la Cina o la .Iugoslavia. Almeno il pcf ha il meriti) d'una primaria chiarezza, che ignora simili pretese. I comunisti francesi parlano quadrato, i loro teorici delia rivista Economie et politique non esitano ad annunciare un vasto e pesante codice di statizzazioni; sono persuasi che « i lavoratori daranno un maggior rendimento », che tale è il modo per utilizzare « le immense potenzialità della tecnologia trascurate dai monopoli nella loro ricerca di profitti immediati», che verranno superati cosi « gli enormi sperperi dovuti alla concorrenza », e concludono: « Faremo fare all'economia un salto di qualità ». L'economista Roger Priourct può facilmente opporre che l'esperienza dimostra quNcbtui omnaqssmdvscpCinacgrPsfftascEpspclven quanto illusoria sia l'idea di un simile « salto di qualità ». Nell'Urss l'innovazione tecnologica è il punto più debole dell'economia, poiché tutto si riduce a procurarsi i prototipi dell'innovazione occidentale, malgrado le immense risorse di cui dispone il Gosplan per la ricerca applicata (un immenso sequestro di « plusvalore » al servizio dello Stato nel massimo serbatoio mondiale di materie prime), mentre da dieci anni la burocrazia sovietica tenta senza effetto di suscitare un principio efficiente di mercato. E ancor più probante è il caso della Cecoslovacchia: la Boemia industriale del '38 era pari alla Germania e alla Francia, sappiamo che cosa è oggi, il « salto » è avvenuto a ritroso. I teorici del pcf, osserva Priouret, « pretendono d'essere scientifici e non approfondiscono mai l'analisi dei fatti ». Non dissimili sono i teorici del pei, anche se più avvertiti e articolati. In che senso? Non nel senso che dicono di più, ma di meno. E questo non s'addice a un partito che tende a inserirsi nell'area governativa, sia pure con infinite cautele, ma continua a eccellere solo nell'agitazione: virtù non di governo e boomerang socioeconomico allorché si passa dall'opposizione alla responsabilità del potere. Sul pericoloso divario tra formule teoriche e prova delle opere, c'è una pedagogia anche nell'ultima esperienza: quella del «Fronte popolare» al governo del Cile. In questi giorni l'aumento dei prezzi alimentari oscilla tra il lf) e il 37 per cento; a Santiago (tre milioni di abitanti) il prezzo dei trasporti pubblici aumenta del 60 per cento; il tasso d'inflazione viene stimato dal New York Times sul 30 per cento in un anno, dopo che in quattordici mesi ì'escuclo è stato svalutato due volte. E questo accade come se per decenni ogni esperienza di sinistra al potere in Occidente, a cominciare dal «Fronte' popolare » del '3fi nella Francia di Blum, non abbia insegnato nulla a nessuno. Non è con l'intimidazione, o con l'espediente usuale di spingere a destra gli interlocutori fastidiosi, o innalzando il vessillo degli scioperi « per le riforme » in quella capitale che è anche la Roma di Fellini, o con i diversivi della mobilitazione elettorale per tenere le sue masse, che il pei potrà mai venire a capo di simili argomenti; prima o poi dovrà uscire dal suo cremlino fatto di parole. Alberto Ronchey

Persone citate: Antonio Gioii, Berlinguer, Blum, De Gasperi, Fellini, Francois Revel, Revel, Roger Priourct, Vsevolod Koeetov