Sui dialetti si lavora

Sui dialetti si lavora LA DIFESA DELLA LINGUA ITALIANA Sui dialetti si lavora Mai questo campo della filologia fu dissodato con tanto ardore - I molti problemi suscitati dalla grafia del «piemontese illustre» - La grammatica e il buon senso Mentre si deplora il venir meno dei dialetti, la dialettologia lavora. Quante cose, solo sfogliandola, s'imparano da questa Bibliografia ragionata della lingua regionale e dei dialetti del Piemonte della Valle d'Aosta, e della letteratura in piemontese a cura di Amedeo Clivio e Gianrenzo P. Clivio ( « Centro Studi Piemontesi», Torino», ricca di 3428 schede, suddivisa in « Letteratura » e « Linguistica »! Fra le migliaia: c'è chi s'è occupato dei « cognomi e nomi canavesani derivati da Africa Alessandria Amalfi Antiochia Aquìleia Babilonia ecc. », e chi del « gergo furbesco dei muratori castellamontesi» (apponendovi note di grammatica e un vocabolarietto), e chi di «una quindicina di parole gergali raccolte da un ladro e truffatore di Torino» (filofogia ad hominem), e così via per un ordine sterminato di subtilitates che torna impossibile soltanto immaginare. Ma preliminarmente, sotto il rispetto glottologico: i limiti del tipo linguistico che si suol chiamare « piemontese » sono alquanto più ristretti dei corifini amministrativi della Regione, all'interno dei quali si può passare dal franco-provenzale di Usseglio in Val di Lanzo al puro provenzale di Bellino in Val Varaita, dallo schietto piemontese di Susa al lombardo di Borgomanero, al ligure di' Ormea. Di mezzo a questo gran divelto di parlate subalpine sorge il dialetto di Torino, che arricchito di elementi provinciali e di prestiti francesi e italiani, si è storicamente imposto quale spon¬ tanea coinè tuttavia parlata anciie nelle aree che conservano i patois (con l'eccezione di qualche angolo romito della Val d'Aosta); e cotesto idioma, definito dai dotti « piemontese illustre » e dai suoi parlanti, bonariamente, piemontèis, servì fin dal secolo XVI come tramite di una modesta ma non disprezzabile letteratura. Molto più unitario, anzi omogeneo, nella forma scritta che non nella parlata, il « piemontese illustre » portò lungamente nel fianco la'spina di una incerta grafia; e specialmente la lettera o, che ne è la principale caratteristica, rappresentante un suono molto chiuso, quasi identico a quello della u italiana, fu presa a godere dagli scrittori del Settecento e del primo Ottocento, i quali, a distinguerla dalla o di suono aperto, o gli davano l'accento circonflesso (il cappellino alla cinese: ó) o la mutavano in ou o anche la lasciavano tal quale. Soltanto da una settantina d'anni a questa parte, dopo cioè le formulazioni di Pinin Pacòt e la successiva codificazione che ne fece Camillo Brero nella sua Grammàtica piemontèisa (della quale si veda la nuova arricchita edizione uscita in questi giorni coi tipi de « Ij Brande » ), si può parlare di grafia regolare del piemontese illustre, dove, secondo la tradizione, la lettera o indica, senza più, il suono chiuso e la ò accentata il suono aperto, e dove anche il suono della m velare si scrive con n e non più con n. Utili avvertenze rinfresca questa Bibliografia anche cir- ca la buona pronunzia del i piemontese, come per es. che la e aperta vi è un po' più aperta e la e chiusa un po' meno chiusa che le corrispondenti e italiane (cafè. perchè - caté, lasse); che la s iniziale di parola o postconsonantica suona sorda (sapa, batse), ma tra vocali è sempre sonora (lese, pose); che la j vi ha talvolta mero valore etimologico e nella pronunzia non si sente o si sente appena (e qui è il bello): fifa (lat. volg. fllia, lat. class. filia); con tante altre. * * Grammatici certant per quale ragione scriviamo pie coll'accento, ma po' coll'apostrofo, pure avendosi in entrambi i casi lo stesso accidente detto Apocope, ossia la caduta della sillaba finale (piede, poco). Che ciò si faccia perché nella pronunzia corretta pie provoca il raddoppiamento sintattico (pieddi porco) e po' no, non paicapace al linguista Alfonso Leone che ha egregiamente trattato questa piccola ma profonda questioncella ortografica. Lasciando che il raddoppiamento sintattico (come si sente alla radio-tv) non soffre virtualmente limitazioni e non avrebbe dell'inverosimile la pronunzia un po' ppresto, un po' dd' acqua, sarebbe questa la prima volta che l'accento scritto (pie) è assunto come segno di raddoppiamento sintattico; il quale viceversa si fa anche con parole (da, a, sopnn che non hanno scritto l'accento. Notato d'incoerente, di contrario all'auspicata unità ortografica lo scrivere pie (troncamento di piede) quando poi si scri- ve mo' (troncamento di mo- do), e anche ca' e fra', parole che come pie provocano il raddoppiamento, veda il lettore se non sia da seguire il suggerimento del linguista, di dare l'apostrofo a tutti quei monosillabi tronchi in cui sia ancor vivo il senti mento dell'apocope (quindi anche a /e' da fede, e a die' da diede: ma non a di, da die) e conseguentemente scrivere a pie' di pagina così come si scrive a mo' d'esempio. La ragione perché po' non dovrebbe raddoppiare, è che esso ha perduto forza di parola autonoma e s'acquatta all'ombra della successiva: e qui calza la bella sinonimia del Tommaseo un po' - un poco. « S'usano promiscuamente. Ma io direi con un antico quel poco ch'io sono; non: quel po'. Direi: quel po' ch'io avea, col Davanzati. Un po', con lo scorcio, giova a dir meno; un poco o un poca, oltre all'essere più famigliare, ferma il pensiero non tanto sulla quantità della cosa, quanto sulla cosa stessa: un poca di carità volse l'attenzione alla carità che si chiede, quasi rimproverando». Ma con altri contenuti psichici, quando occorre glisser su tutta la proposizione, la moglie accorta, conformandosi all'uso, chiede al marito un po' di denaro, non un poco; allo stesso modo che il bevitore peritoso si tien caro lo scorcio e chiede un po' di zozza: un poco o un poca, la ! metterebbe troppo in vista, la farebbe parere troppa. Sembrano, così a leggerli, bizantinismi; ma sono cavati dall'osservazione della lingua viva. Leo Pestelli a

Persone citate: Alfonso Leone, Amedeo Clivio, Antiochia, Camillo Brero, Davanzati, Gianrenzo P. Clivio, Leo Pestelli, Pinin, Tommaseo