Requiem per Lin Piao di Arrigo Levi

Requiem per Lin Piao COME CROLLANO I MITI DELLA NOSTRA EPOCA Requiem per Lin Piao Il suo corpo è stato riconosciuto, con quasi assoluta certezza, fra i nove cadaveri, crivellati di pallottole, nei rottami d'un aereo cinese precipitato in Mongolia - Il suo nome era diventato un simbolo della rivoluzione universale: le campagne accerchieranno e piegheranno le città - Gli idoli, creati dalla fantasia irrazionale dell'uomo, sono distrutti ad ogni istante dalla realtà II cadavere di Lin Piao è sfato identificato quale uno dei nove corpi umani, crivellati di pallottole, ritrovati fra i rottami dell'aereo cinese precipitato, nel settembre scorso, in Mongolia. Lo affermano ora i sovietici, e c'è una ragionevole certezza che dicano il vero. E' un altro colpo a ciò che rimane, in Occidente, del mito cinese; questo soffrirà ancora di più per la pubblicazione, che avverrà presto, della fotografia di Nixon che stringe sorridendo la mano di Mao a Pechino. Poiché il Presidente yankee visiterà, dopo la Cina, la Russia e stringerà anche la mano di Breznev a Mosca, sarà difficile strumentalizzare le une o le altre immagini, a favore o a danno di qualsivoglia delle due principali versioni restanti del mito comunista; ma ambedue ne saranno colpite. Che rimane? Sono tempi duri per i miti, come per le immaginai stereotipate delle società e dei popoli. La fantasia irrazionale, creatrice ,di idoli, urta ad ogni istante contro la superiore inventiva della storia. E' toccato a Nixon, simbolo della potenza « reazionaria » americana, di ritirare le truppe statunitensi dal Vietnam, di svalutare il Re Dollaro e di istituire il dirigismo nell'economia; come di far entrare, con grave fastidio dei russi, la Cina all'Orai. Su territorio britannico, nel più civile e meglio governato dei Paesi d'Europa, divampano terrorismo e guerriglia. Intanto il Premio Nobel per la pace è andato a un tedesco; la Francia è diventata europeista; l'Italia è passata, in un lampo, dal miracolo alla crisi economica e pare incapace di uscirne, stupendo il mondo per la sua inettitudine come prima per la sua bravura. Il volgo, diceva Machiavelli (« e nel mondo non è se non vulgo »), è solito vedere ciò che pare, non toccare con mano ciò che è, e i pochi che conoscono il vero non osano dirlo; ma a questo punto, chi può pretendere di sapere « quello che è »? Se i miti irrazionali del tempo nostro nascevano dalla disperazione della Ragione, ora perfino i miti non riescono più credibili; e allora che cosa rimane? Dove rivolgersi per trovare almeno l'ombra della sicurezza, il fantasma della speranza? Quando un mito urta, disastrosamente, contro il muro della realtà, e vi s'infrange, come il Trident di Lin Piao contro le aride pianure della Mongolia, possono accadere diverse cose curiose. Talvolta l'animo, bisognoso ■di nutrimento mitico, come uno stomaco disavvezzo a qualsiasi cibo che non sia quello di cui si è a lungo saziato, si fabbrica presto un altro idolo sostitutivo. Chi non può più andare a Mosca per trovarvi materia di articoli e libri esaltatori, va a Pechino. Dopo Pechino, rimarrà pure qualche altra città del mito, non ancora raggiunta dai tanto criticati «mass media», con la loro curiosità dissacrante. Chi va così, pellegrino, da mito a mito, può anche rimanere sempre uguale, eterno Peter Pan della politica che si rifiuta di crescere; guarda in specchi diversi e vi scorge sempre soltanto la propria immagine. Stalin e Mao Altre volte può accadergli come al terrestre che visita le leggendarie città morte marziane; non ha più cibo, sta per soccombere, e la città, non affatto morta ma ancora vivente, gli offre solo il fumante liquido solforico adatto a una razza demoniaca da tempo scomparsa;' quando la città non può placare la sua sete, lo trasmuta; egli si abbevera di acido solforico credendolo acqua: non si avvede di anere sviluppato zanne, coda e corna, ed è felice. (Cosi è accaduto talvolta alle masse di precipitare dal comunismo al fascismo). La fine di un mito lungamente amato può anche essere l'inizio d'un lento lavorio della coscienza. I miti che oggi tremano e crollano non sono soltanto quelli più rozzi, e più fragili, idcologico-nazionali, destinati pcr la loro stessa natura ad urtare contro la squallida realtà delle lotte di potere e della Realpolitik. Vacillano anche miti-ideali, oggetto di venerazione universale: come la fede nel progresso economico, nella tecnologia e nella scienza. Questi sono come edifici immensi costruiti poco alla volta, con pazienza e perseveranza, dallo sforzo collettivo dei popoli e delle élites, che vi si riconoscono. Essi non s'-ompaìono da un giorno all'altro, come i miti di tipo staliniano, o maoista, rivelandosi frutto illusorio dell'immaginazione o dell'inganno, della disperazione o della speranza. Sono cosa concreta, che si tocca con mano; soltanto, ci s'accorge poco alla volta che l'edificio va assumendo, olia già assunto, un aspetto diverso da quello immaginato e progettalo. Era destinato a recare solo benefìzi, e finisce per produrre, insieme, gravi danni; ma bisogna stare attenti a non distruggerne quelle caratteristiche che, dice Erich Fromm, sono ineliminabili « senza la totale distruzione della nostra società ». O meglio: sì può anche voler distruggere tutto, marcusianamente, senza porsi il problema del poi: o si può rifiutare tutto, con spirito hippy; ma l'una e l'altra sono soluzioni delite, pressoché equivalenti al ritirarsi in | campagna per comporre poemi d'amore. La risposta di una società intera, disincantata di un tale mito, dev'essere per forza più comples¬ sa, deve risultar composta di scelte articolate, di acccttazioni e di rifiuti parziali, con l'obiettivo di modificare e correggere l'edificio; è insensato pensare di poterlo ricominciare daccapo, senza autodistruggersi, e con scarsa speranza di potere far meglio la seconda volta. Non si può proporre un tentativo di risposta razionale al problema se non si conserva un minimo di speranza. Poiché questa, dice sempre Fromm, è « uno stato d'essere, una capacità innata » non si può crearla artificialmente; bisogna solo augurarsi che, come l'istinto di autoconservazione, si dimostri insopprimibile, e sia quindi ancora esìstente. La speranza dev'essere così radicata e forte da saper sopravvivere sia alle delusioni offerte dai miti totalitari, sia alle angosce che ci sono riservate da quelle che Machiavelli chiamava « le repubbliche tumultuarie»; consolandoci con la riflessione che proprio i tumulti furono « la prima causa del tener libera Roma », e confidando che la storia benevola si ripeta. Nessun dogma Alla speranza deve fare da contrappeso la sobria coscienza che ai problemi del tempo nostro, dì questa società globale, industriale ed atomica, non si offrono, per ora, soluzioni compiute; non vi è statista o filosofo, non vi è repubblica o ideologia che ci offra risposte soddisfacenti. Intravediamo soltanto franìmenti o ipotesi dì verità. Quindi occorre, per affrontare la ricerca, spirito pratico e critico, disposizione d'animo sperimentale ed aperta, tolleranza per le opinioni altrui; e un sistema politico quanto possibile pluralista (se non « tumultuario») e antidogmatico, che consenta una più facile correzione degli errori. I capi delle grandi nazioni. che si rincorrono in una giostra di incontri, cui la denominazione di « vertici » vuole offrire un prestigio rassicurante, sembrano anch'essi pellegrini alla ricerca di una verità che sfugge. Speriamo che siano animati da spirito di umiltà. Lin Piao aveva predicato la rivoluzione universale, mediante l'accerchiamento delle « città del mondo » da parte delle a campagne del mondo ». Nel '65 egli aveva di mira l'Occidente; più. tardi anche la Russia Sovietica fu compresa fra le « città del mondo » da accerchiare e distruggere. Ma Lin Piao, delfino di Mao, è morto cercando di fuggire in aereo dalla campagna-Cina alla città-Urss. Non saranno le sognate palingenesi rivoluzionarie a portare, in avvenire, la fertilità al deserto mongolo su cui egli è caduto, o agli altri deserti della terra. Arrigo Levi quand'eru ministro Difesa