Il dramma di Sadat di Igor Man

Il dramma di Sadat ANALISI Il dramma di Sadat Il Cairo, 14 gennaio. Il presidente egiziano, rivolgendosi per radio e televisione, «all'intera grande nazione araba», ha detto che «la sfida flagrante e insolente degli Stati Uniti e di Israele ci impone la lotta armata», tuttavia ha aggiunto: «Noi non chiudiamo la porta a una soluzione politica. Tale soluzione deve rispettare due princìpi fondamentali: 11 nessun mercanteggiamento sui diritti del popolo palesti' nese; 2) essa deve passare obbligatoriamente attraverso Gunnar Jarring». Il Presidente egiziano non ha posto come condizione preliminare alla ripresa della missione Jarring l'impegno di Israele di ritirarsi sui confini precedenti la guerra del 1967. E' difficile pensare a una «dimenticanza», più plausibile credere che Sadat voglia comunque arrivare a una ripresa del negoziato. Egli ha categoricamente scartato la possibilità di una mediazione americana, ma una soluzione interlocutoria della crisi, cioè la riapertura del Canale, potrebbe anche aversi tramite Jarring. Il discorso con cui Sadat ha riaperto la prospettiva del negoziato segna un mutamento di rotta: la guerra «ci viene imposta», egli dice; non afferma più che la scelta della ripresr delle ostilità è «definitiva e irrevocabile». Il mutamento di rotta tradisce il dramma personale di un leader che cerca disperatamente di uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciato con i discorsi oltranzisti pronunciati nel 1971. La guerra indopakistana ha bruciato la sua strategia della pressione. La crisi nel subcontinente indiano ha declassato' quella del Medio Oriente rivelando come la politica dell'Urss sia improntata più a considerazioni di politica globale che a interessi regionali. Certo il bubbone mediorientale è grosso ma sembra evidente, ormai, come Mosca non abbia nessuna intenzione di farlo scoppiare col rischio di una confront azione diretta con gli Slati Uniti. La conferma da parte americana della prossima fornitura a Israele di aerei «Phantom» dimostra infine che la minaccia di una nuova guerra non è valsa a convincere gli Stati Uniti a esercitare pressioni su Israele perché attenui la sua intransigenza, come Sadat sperava. Senza il conforto dell'Urss, senza soprattutto gli indispensabili aiuti militari sovietici, Sadat non può riaprire le ostilità; farlo significherebbe votarsi al suicidio. Sicché Sadat riapre la porta del negoziato sia pure senza molte speranze. Lo fa solo per prender tempo, ma riesce difficile credere che il tempo possa lavorare a suo favore. Qualcuno ha detto come, per assurdo, il destino di Sadat sia nelle mani di Israele. Se Gerusalemme attenuasse la sua intransigenza, il negoziato potrebbe aver luogo e aprire prospettive di una soluzione dignitosa per l'Egitto. Ma Israele non sembra disposta a nessuna concessione. Non teme la guerra, sembra preferire addirittura i territori che occupa a un trattato di pace. In queste condizioni non si vede come Sadat possa uscirne. Non basterà certo un rimpasto governativo til tecnocrate, «duro» Sidki al posto del moderato Fawzi) a placare la frustrazione dei militari. C'è dunque il pericolo che, messo con le spajle al muro, un giorno il rais scelga veramente la guerra, «la via dell'olocausto». Il discorso di Sadat cade in un momento di estrema tensione: i palestinesi sono di nuovo all'offensiva, lo stesso Arafat ha combattuto nel Libano meridionale cont ro gli israeliani sconfinati per un'«azione punitiva». Il capo di «Al Fatali» ripropone la guerra ad oltranza, il Libano rischia di trasformarsi in una nuova Giordania. Su questo sfondo la ripresa della missione Jarring ( il mediatore si è incontrato con l'ambasciatore israeliano Rabin, dopo aver a lungo conferito con il segretario dell'Onu Waldheim) si profila più che mai difficile e incerta. Le possibilità, seppure tenui, di una schiarita sono legate all'esito dei colloqui che Nixon avrà coi dirigenti sovietici. Il «vertice» di Mosca è una scadenza cruciale, soprattutto per Sadat. Igor Man snTrSDrnptcScdterSSfssbnlilncsmictSd.tbifamcSOa