I taccuini di Moore di Marziano Bernardi

I taccuini di Moore I taccuini di Moore Henry Moore al Museo Egizio, durante l'inaugurazione del tempietto-cappella di Ellesi ja salvato dalle acque del Nilo, in un recente suo passaggio a Torino. Guardava estatico gli oggetti millenari preterendo i più arcaici, ne accarezzava qualcuno non in vetrina con quelle sue mani sottili, delicate, più da scrittore che da scultore avvezzo a sbozzare blocchi enormi di pietra, gli ocelli chiari pieni d'amore, « Devo ritornare a Torino, restarvi una settimana per studiare queste meraviglie », andava ripetendo. Moore, il più celebre scultore vivente, carico eli onori, laurealo appunto honoris causa da nove Università inglesi c americane, oltrepassali i settantanni si proponeva ancora di « studiare », e sotto il tocco delle dita lievi ancora cercava la Forma. Non certo che s'accostasse per la prima volta agli esempi della civiltà artistica nilotica c d'altre, remote, che su questa potevano avere influito. Bastano opere come il Busto in cemento e la Ragazza in alabastro del British Council, Li Donna coricata in pietra verde della Galleria Nazionale di Ottawa, la Testa in alabastro della collezione Elizabeth Haworth, eseguite intorno al 1930, a chiarire il perche delle sue lunghe soste davanti a modelli egizi o sumerici nel British Museum, a cominciare dal 1916 quando, diciottenne tiglio d'un minatore dello Yurkshire, s'era trovato a Londra, per poi arruolarsi a combattere in Francia. Più tardi sarebbero venute le scoperte dell'arte moderna, da Cézaniic a Matisse, - d.i Brancusi a Picasso cd Arp, dal Cubismo al Surrealismo (ed anche l'Astrattismo lo avrebbe imprc: ionato, ina inni nella direzione tenuta da un altro inglese caposcuola. Ben Nicholson), contemporaneamente a quelle di Giovanni Pisano, di Masaccio, di Michelangelo, quasi ad equilibrare classicità con avanguardia; e Udine della Grecia e del Messico antico, benché quest'ultime rivolte più alla comprensione di un ambiente umano, di un rapporto tra società e natura, che non all'assimilazione di prototipi plastici. Eppure nel museo torinese quell'entusiasmo giovanile si riaccendeva d'un nuovo fuoco, e dopo tante esperienze tutte coerentemente guidate da un pensiero dominante, e dopo tanto lavoro, al grande artista si riaffacciava il più complesso dei problemi dell'arte moderna, particolarmente della scultura, quello che Arturo Martini sul linir della vita giudicò irrisolvibile e che Moore ha risolto: trarre dalla tradizione secolare del .« hguralivo t- una forma inedita clic sia nuova « figura v. ■*r * Benché non popolare tra noi, la sua scultura è conu sciuta anche in Italia. La si vide nel 1948 alla Biennale di Venezia dove \inse il premio intemazionale; in seguito a Varese, Milano, Carrara, Torino, di nuovo a Venezia e a Carrara, a Spoleto, a Roma, spesso accompagnala da disegni, tra cui famosi quelli dei rifugiati nelle gallerie della ferrovia sotterranea di Londra durante i bombardamenti. In essi, cupe e tragiche immagini indistinte di genie clic tentava di ricuperare con un sonno pesante la fatica e l'angoscia della giornata, s'è visto giustamente il simbolo della città minacciata che si faceva protettiva e materna accogliendo tulli nel suo grembo umido e tepido senza distinzioni di classi e di ceti. In sede ciitica. poi, fin dal 1948 Giulio Carlo Argau dedicava a Moore un libro nelle edizioni torinesi De Silva. Ora due nuovi importanti volumi richiamano di colpo il maestro inglese all'attenzione della cultura italiana; e se diciamo « cultura » è perché siamo in presenza di un'espressione artistica che, apparentemente semplice nei suoi temi plastici sempre coinvolti da un'idea di realtà organila al modo dell'architettura di Wriglit, è invece tutta intessuta di mentali elaborazioni morfologiche d'indole tanto spiritualistica quanto artigianale, e di sottintesi storicistici, morali, sociali, persino eroticoscssuali secondo il giudizio dcll'Argan. E' allo strenuo impegno esegetico di questo studioso illustre che dobbiamo il secondo (in ordine eli pubblicazione) dei due accennati libri: Henry Moore, sontuosamente edito con magnifiche copiose illustrazioni dai Fratelli Fabbri; mentre il primo, Taccuini inediti di Henry Moore, è nato da una visita di Ezio Gribaudo a Mudi Hadham, la fattoria nell'I lerttordshire dove dalla line della guerra che gli distrusse lo studio londinese Moore abita e lavora nella verde, pace della campagna. Frugando nella ricca biblioteca, Gribaudo vi trovò una serie di quaderni con schizzi clic vanno dal 1920 al 70, sui quali è possibile seguire il cammino artistico dello scultore dai primi disegni realistici di animali ai recenti appunti per figure immaginarie. Ne chiese e ottenne la pubblicazione nelle edizioni d'arte ch'egli a Torino dirige per i Fratelli Pozzo; e così, con una precisa introduzione di David Mitchinson, ha visto la luce l'intero Notebook di Moore, in cui si ritrovano sludi da Picasso e da Giotto quasi sugli stessi fogli, a dimostrare la straordinaria varietà d'interessi dell'artista. Non sarà facile al lettore non temprato dai virtuosismi dialettici dell'attuale critica di arte italiana resistere senza vertigini lino al fondo delle quindici fitte pagine di Argan, nelle quali l'arte di Moore è analizzata con un rigore sillogistico addirittura spietato. Ma due affermazioni ci sembrano, nonché perentorie, mirabilmente evidenti. Una: «Henry Muore e un e/assieo. Non lo e nel *eiiso di un classicismo formale rimodernato (...), ma nel senso di una classicità immune da pregiudiziali stilistiche ed inerente alla storicità intrinseca dell'arte ». L'altra: «Tutta l'opera di Moore è figurativa, anche quando la fonila nnn presenta analogie apparenti con le forme di cose reali; ma nessun artista moderno ha chiarito con altrettanta fermezza che la forma e forma solo in quanto e figura ». Questa e la chiave per aprire la comprensione del fondamento classico di Moore, ed insieme della capacità di questo scultore, che tutto immerso nel senso della natura tati to da concepire le sue opere come clementi sorgivi nell'ambiente naturale ilei prato, del bosco, del masso roccioso contro lo stonilo collinare, di v. umanizzare », storicizzandola Ira il tempo aulico c il tempo moderno, una forma che può anche esser priva (ma talvolta non lo è: come la sua incessante versione duella Figura coricata, o il Re e Regina, oppure il Guerriero caduto) d'ogni dato antropomorfico, eppure ci parla con una voce umana che viene dai profondi spazi — e di qui la classicità di tali opere — delle umane tradizioni. Si confronti una torma di Arp con una di Moore. Quello ci dà un'immagine che si regge per forza ili stile cd altro non vuole, non può essere che esercizio linguistico; questi ii dà una torma che anche ridona a puro volume di pie tra, di marmo, di bronzo in rapporto dinamico con lo spazio circostante, è sempre figura significante che induce non a una problematici intellettualistica contingente a un gusto o a un'epoca, ma alla conieinplazione e meditazione suggerite da tutto ciò che mente c cuore dell'uomo riconoscono carico di significati eterni. Prima che una proposta estetica, il masso che Muore ha scavato, bucato, scarnificato, dolalo di rotondità e di tentacoli, di lisce oel aspre superfici per ricini lo all'oggetto che per lui è « statua », ci appare il simbolo di una vita che continua, irresistibilmente generata dal l.t madre terra. Perciò l'arte di Moore, solenne e « antica » nella sua modernità come quella di ridia, e una barriera alzata contro la vita effìmera cui sembra volerei convertire la civiltà della nostra epoca. Marziano Bernardi