La Baker adesso lavora per i suoi figli universitari di Giorgio Calcagno

La Baker adesso lavora per i suoi figli universitari La celebre cantante al gala torinese dell'Unicef La Baker adesso lavora per i suoi figli universitari I ragazzi dell'Arcobaleno sono cresciuti, le spese aumentano, la casa è stata venduta - Ma l'artista non ha perso la sua fiducia nell'umanità e nell'avvenire - « Per questo aiuto l'organizzazione mondiale dell'infanzia » I suoi « due amori » sono lontani, evocati soltanto dall'orchestra, che prova la « sigla» iniziale del numero. Nella scatola maculata a pelle di leopardo che tiene gelosamente con sé, non ci sono gonnellini di frutti esotici, ma la parrucca a ricci, eh» fra poco coprirà la bella zazzeretta nera lìscia, appena ingrigila sulle tempie. Del suo passalo non vuole neppure parlare (« a che serve? non conta più») e, se l'interlocutore tenta di richiamarlo, sid suo volto si disegna una ombra di contrarietà. Ma, appena sale sul palcoscenico, e impugna il microfono, per la prova dello spettacolo serale, il suo viso si trasforma. Con un semplice soprabito nero, bavero e manicotti di pelliccia, una sciarpa color acquamarina gettata con trascuratezza sui fianchi, Josephine Baker è riuscita a magnetizzare la piccola folla di servizio nella platea del Palasport: elettricisti, tecnici televisivi, accompagnatori, cantanti in attesa del turno, uscieri. Si sono fermati tutti, e sono lì a guardarla. Lei va su e giù per il palcoscenico, cerca la posizione giusta per il finale, segna il tempo al complesso jugoslavo che dovrebbe accompagnarla in una drammatica canzone d'amore: « It's not Love Story, is only love! ». E canta, sette, otto motivi, li ripete, li mette a punto, sempre a gola spiegata. Josephine Baker è uscita da un lungo periodo di traversie, è stata costretta a vendere il castello e la tenuta delle Milandes. dove aveva alloggiato la sua numerosa famiglia, con la speranza di farne un centro per la fraternità universale. Tanti sogni di ieri sono finiti, tanti progetti messi da purte. Eppure, proprio lei, è la donna che sembra avere più fiducia nella possibilità dì intesa con gli uomini, e nell'avvenire. «Ho detto che non voglio parlare del mio passato, tutto quello che è successo fino a ieri per me è un libro chiuso per sempre — dice all'intervistatore deluso dalla sua prima risposta —. Ma del futuro parlo5 'volentieri, 11 futuro appartiene a tutti noi ». Soltanto dei suoi progetti non vuole dire nulla. « Sono venuta a Torino per lo spettacolo dell'Unicef, come ero stata a Ginevra e a Belgrado, perché penso che questo organismo possa aiutare davvero l'infanzia in tutto il mondo, al di là di ogni particolarismo. Ecco un'occasione per poter dare il nostro contributo tutti insieme ». E lei, personalmente? «Oh, io non sono importante », si schermisce. Sembra una battuta detta per amore di smentita, e cerchiamo di farglielo rilevare. Ma la Baker insiste: « No, io non sono importante perché non voglio essere importante. Se una persona ha un ideale, non deve pensare a se stessa ». Quanto gioca, il peso della vicenda subita, in questa dichiarazione? La cantante sembra intuire un'ombra di incertezza nell'interlocutore, perché si affretta a precisare: « Anch'Io faccio la mia parte, certo. Ho anch'io un mio programma di lavoro, personale. Ma è poca cosa, in confronto a quello che può fare un grande ente, diffuso in tutto il mondo ». Lei, con la famiglia delTArc-en-ciel ha dato un primo esempio di comunità internazionale, raccogliendo bimbi di ogni razza, paese, religione. Oggi i suoi ragazzi sono cresciuti, il gruppo comincia a dividersi, sulle strade che a ognuno erano desti7iate. I due più grandi, giapponesi, sono tornati nella loro patria, e frequentano l'università di Tokio. Due africani sono partiti da poco per Abidjan, in Costa d'Avorio. Un giovane ebreo è in Israele. Un argentino studia a Losanna. « Sono stata io a spingerli ciascuno verso il proprio paese d'origine, perché, crescendo, non si sentissero "diversi" rispetto al loro ambiente. Mi scrivono di là, sono contenti, in un mondo che era il loro fin dall'origine ». Con lei sono rimasti gli altri, i più piccoli, che l'hanno seguita in tutte le sue peregrinazioni, dopo la messa all'asta delle Milandes e lo sfratto dall'antica dimora comune. Oggi vivono a Montecarlo. « Non ho più casa, ma ho sempre la mia famiglia », dice, con un velo di orgoglio. E la sua attività artistica? La Baker, sulle prime, non vuole rispondere. Ricorda bene che, un giorno ormai lontano, nell'aprile del 1956, aveva dato l'addio al pubblico, con un grande concerto all'Olympia, promettendo che non sarebbe mai più salita su un palcoscenico: e, quella promessa, non l'ha poi potuta mantenere. Dobbiamo ripetere la domanda, insistere. La Baker si china un poco, abbassa la voce, mentre l'orchestra, sul palco prova un pezzo di musica russa: « Allora le dirò che cosa pen- so della mia attività in teatro. Penso che io non sono una donna onesta ». E perché? « Perché se fossi onesta non dovrei essere più qui. Io ho 65 anni, avrei già dovuto lasciare da un pezzo il posto ai giovani ». S'interrompe, la voce si è fatta tremula, quasi un singhiozzo. E l'artista che . il pubblico di tutti i paesi del mondo ha applaudito, evocatrice di un tempo di trionfi nella Parigi degli Anni Venti, confessa: « Se sono tornata sul palcoscenico, è perché non ne potevo fare a meno. E' il solo lavoro che io conosco, quello che mi permette di guadagnare il necessario a me e ai miei figli. Quei ragazzi, finché non avranno finito gli studi, non possono rinunciarvi ». Sorride, allunga la mano, per salutarci; e la sua stretta è leggero, fiduciosa. Giorgio Calcagno Ancora oggi la Baker, stella del music-hall degli Anni 30, continua a suscitare l'entusiasmo del pubblico (f. Moisio)

Persone citate: Baker, Josephine Baker, Moisio

Luoghi citati: Belgrado, Costa D'avorio, Ginevra, Israele, Losanna, Montecarlo, Parigi, Tokio, Torino