È morto a Milano Luciano Bianciardi il beffardo autore di "La vita agra,, di Luciano Bianciardi

È morto a Milano Luciano Bianciardi il beffardo autore di "La vita agra,, STRONCATO A 48 ANNI DA UNA MALATTIA AL FEGATO È morto a Milano Luciano Bianciardi il beffardo autore di "La vita agra,, Il decesso è avvenuto ieri mattina all'ospedale « San Carlo » - Nato a Grosseto, esordì con un libro-inchiesta scritto insieme a Cassola, « Minatori in Maremma » - Tra gli altri suoi romanzi « La battaglia soda » e « Aprire il fuoco » MILANO, lunedì matt. E' morto ieri mattina all'ospedale « San Carlo », dove era stato ricoverato il 22 ottobre per una grave malattia al fegato, lo scrittore Luciano Bianciardi. Era nato a Grosseto 48 anni fa c si era laureato in lettere e filosofia. (Ansa) Come si fa a trovate il tono giusto per un fatto così «inatteso come la morte di Bianciardi, di un tipo come Bianciardi? Ma forse proprio oggi, quando la solitudine e la malattia hanno rimodcllalo la maschera scanzonata e beffarda che egli amava offrire di se, è possibile giungere più vicino alla verità della sua vita e del suo lavoro. Aveva esordito come autore di un libro-inchiesta. Minatori di Maremma, steso in collaborazione con Carlo Cassola: un avvio modesto che non è possibile trascurare, perché là sono i materiali, più ancori, là si ò acceso il risentimento morale che Bianciardi si porterà appresso per tutta la vita. Ma diede la prima misura di sé, del suo estro giocoso e amaro, in due racconti-pawp/i/er come Il lavoro culturale (1957) e La programmazione (1960). Qui, nella memoria elegiaca di unti Grosseto aperta sulla Maremma come su un favoloso e insidialo Far West, s'innestavano da un lato l'esperienza dell'impegno politico c la satira irresistibile dell'apparato organizzativo del partito; dall'altro la rappresentazione del mondo culturale milanese, smontato nei suoi meccanismi fatui e mistificanti. Passeranno due anni e Bianciardi darà fuori La vita agra, un romanzo che è anche la sua storia e resterà il suo libro più bello. lì' lui l'anarchico che, dopo la terribile sciagura in una miniera della Maremma, sale a Milano deciso alla vendetta. Ila un piano ben preciso: occhio per occhio, dente per dente, grisù per grisù. Provocherà uno scoppio di gas nel « lorracehione » di vetro e cemento in cui ha sede la direzione della miniera. Perché il contrappasso sia perfetto, il tubo micidiale dovrà sboccare sotto il tavolo dell'amministratore delegato. Ma chi Io aiuterà nell'impresa? Non il partito, da cui viene emarginato come opportunista*anarchico. Non i mitici operai « grandi e grossi, che limano la ghisa con le numi, da quanto le hanno granili e callose ». Chi riesce mai a rintracciarli nella babelica città? Solo al mallino presto li vedi, quando scendono dai treni intorpiditi dal sonno, o alla sera, quando, istupiditi dalla fatica, trovano la forza di un ultimo assalto ai vagoni. A poco a poco Bianciardi, e il suo eroe, sono presi nella stretta della sopravvivenza. Impaginatore in un giornale, traduttore inchiodalo sulle venti cartelle al giorno, ecco l'anar- chico integrato nel giro della produzione e del consumo. Chi pensa ancora ai morti della miniera? Le rare sortite di casa svelano una città inferocita, per¬ corsa da correnti di ottusa vio- lenza, popolata di larve marti rizzate in un purgatorio privo di speranza. E allora il ribelle chiuso tra quattro pareti, vagheggia sulle pagine di Henry Miller il tempo in cui, « cessato ogni rumore metalmeccanico, suonerà dovunque la voce dell'uomo e della bestia », e il mondo sarà immerso in una panica febbre amatoria. Oltre l'ingenuo ricorso alla età dell'oro, resta la rappresentazione potente, attraverso un lessico personalissimo e composilo, di una città dannata, dove le stesse ragioni della lotta di classe vengono soverchiate dallo sgomento per le prime manifestazioni di una crescita incontrollata, di un progresso impazzito. Libro profetico, percorso da una rabbia che nessun corifeo della contestazione ha sapulo eguagliare, La vita agra la spiceo nella narrativa degli Anni Sessanta e forse crescerà, ad essere riletto. Meno convince La battaglia soda, dove Bianciardi racconta con la lingua del garibaldino Bandi un momento della storia patria, limitandosi scorso della Vita agra. L'anar- in sostanza ad un'operazione di recupero erudito, di mimesi stilistica. Mentre Aprire il fuoco, l'ultimo romanzo, uscito nel 1969, con tutti i suoi limiti infendeva portare avanti il di¬ chico Bianciardi fugge dalla città fumosa in un paesino della Liguria dove, in compagnia di una donna, un bambino e un cane, aspetta ogni giorno dalla finestra un misterioso segnale di libertà. Confondendo nel ricordo o nel vaticinio le barricate milanesi del 1848 e quelle dei nostri giorni, Pisacane e Che Guevara. Un libro divertente ma anche patetico, dove la frustrata anarchia di Bianciardi sovrapponeva all'immagine di Henry Miller quella di Garibaldi. Era il segno di un fondamentale candore, di una ingenuità tutta scontata nelle dissipatezze e contraddizioni dell'uomo. Che nei momenti di grazia riscopriva lucida intelligenza e rara sensibilità: come dimostrano le sue traduzioni mirabili, ultima quella dell'americano ]ohn Barth, Il coltivatore del Maryland, e, ancora, quel romanzo già tutto presente, tra elegia e nevrosi, nel giovane provinciale che consuma se slesso e la sua passione nell'urto contro la grande città. Lorenzo Mondo Una recente foto dello scrittore grossetano

Luoghi citati: Cassola, Grosseto, Liguria, Maryland, Milano