Deposto il presidente Yahya del Pakistan Data alle fiamme la sua casa a Peshawar di Sandro Viola
Deposto il presidente Yahya del Pakistan Data alle fiamme la sua casa a Peshawar Dopo la sconfitta sul campo di battaglia, uno sconvolgimento politico Deposto il presidente Yahya del Pakistan Data alle fiamme la sua casa a Peshawar Nuovo capo dello Stato è ora Ali Bhutto, che rappresentava il Paese alle Nazioni Unite: è un avvocato latifondista, ferocemente anti-indiano - I guerriglieri del Bangla Desh non consegneranno le armi fino a quando non sarà liberato Mujibur Rahman, ancora prigioniero nelle mani dei pakistani (Dal nostro inviato speciale) I New Delhi, 20 dicembre. Il presidente pakistano Yahya Khan si è dimesso oggi. Al suo posto è subentrato Zulfiqar Ali Bhutto, personaggio chiave della scena politica pakistana, latifondista, avvocalo c capo del People's Party, il partito di maggioranza in quella che una volta si chiamava la regione occidentale e che ormai è tutto ciò che resta del grande Pakistan. 11 regime militare di Islamabad (capitale ufficiale, con Rawalpindi capitale estiva e Karachi sede delle mas-, simc autorità) sprofonda in modo inglorioso: i dimostranti impiccano pupazzi che raffigurano i generali fatila ni e Panjabi che hanno dominato il paese in tutti questi anni, un gruppo di studenti ha dato fuoco nella notte ad una delle residenze di Yahya Khan, nella città di Peshawar. La situazione pakistana viene seguita con estrema attenzione dai responsabili indiani. Bhutto (ministro degli Esteri al tempo della guerra del''5, iniziatore e protagonista dell'avvicinamento del Pakistan alla Cina) è noto per nutrire sentimenti profondamente anti-indiani. «Indian dogs», i cani indiani, è una delle espressioni che questo intellettuale di bollente oratoria ha usato molte volte per parlare della classe dirigente di New Delhi. Ma se Bhutto non è e non sarà mai un amico dell'India, è tuttavia probabile che egli possa svolgere in questo momento un ruolo assai utile allo stabilizzarsi della situazione. La carica di presidente è andata a Bhutto, infatti, almeno sul piano formale, in quanto vincitore delle elezioni del dicembre '70 nel Pakistan Occidentale. Ciò potrebbe significare che ad Islamabad si intende ridare a quelle elezioni, seppure con un anno di ritardo e dopo i tragici eventi bengalesi, un valore che il regime militare (e la rivalità di Bhutto per Mujibur Rahman) aveva ad esse negato. Ma dare finalmente validità al voto dello scorso dicembre, il primo libero voto in 23 anni di indipendenza, vuol dire riconoscere il trionfo della Awami League nel Bengala Orientale, e quindi la secessione. Se queste premesse sono esatte, Bhutto avrebbe la funzione (a quanto pare richiesta dai gruppi industriali e finanziari pakistani) di tagliare definitivamente il bubbone bengalese. Non solo. Ma le voci vogliono che egli avrebbe già deciso (su pressione degli americani, preoccupati non meno dell'India che un vuoto di leadership nel Bangla Desh possa condurre ad una crescita dei gruppi di estrema sinistra) di liberare il suo vecchio avversario, lo sceicco Mujibur. Ora è noto che niente può essere oggi più utile all'India d'un ritorno dello sceicco. La situazione nel Bangla Desh ha caratteri esplosivi. Molte migliaia di uomini in armi, divisi politicamente (tanto che si seno già sparati gh uni contro gli altri) si aggirano nel Bengala Orientale. L'esercito indiano cerca di mantenere un certo controllo, almeno nelle città, ma non sempre vi riesce. Ieri, a Dacca, durante un comizio di uno dei comandanti dei Mukti Bahini, cinque giovani sono stati linciati perché qualcuno li aveva accusati di furto. I Mukti Bahini hanno già dichiarato (in questo seguiti dai Mujib Bahini, la formazione partigiana di destra) che non consegneranno le armi fino a quando non sarà liberato Mujibur Rahman. Primo gesto di disaccordo con gli indiani «liberatori», concreta avvisaglia di come saranno calde lì prime fasi di vita del Bangla Desh. Mujibur riuscirebbe davvero a riprendere in mano, saldamente, questa difficile situazione? Gli indiani, per ora, non vedono altre soluzioni, e tutto fa credere che i russi e gli americani la pensino allo stesso modo. Sempre che Mujibur sia vivo, e che Bhutto, il vecchio nemico dell'India, intenda veramente fare un favore alla signora Gandhi. Sandro Viola I
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