Good bye, Carosio di Giovanni Arpino

Good bye, Carosio Appenderà il microfono dopo Charleroi? Good bye, Carosio La «voce da lontano» sta per dirci addio. Oggi, da Cliarleroi, Nicolò Carosio commenterà forse per l'ultima volta le avventure d'una squadra nazionale di calcio. Entro il 31 dicembre, infatti (salvo quei repentini e bizantini ripensamenti che spesso invertono schemi e programmi della nostra zia Rai),1 il grande Nick dovrebbe termi nare la sua lunga carriera. Da qualsiasi angolo la si guardi, questa è una data, per il tifoso in genere, per gli addetti ai lavori, per la cornice in cui il football nostrano si muove. Una data tutt'altro che allegra. E' raro che un uomo, soprattutto una «voce», non solo scampi ai suoi errori veniali, ma grazie a questi errori e alla loro venialità quasi geniale diventi celebre, ricercato, insostituibile. Il Nick del «quasi rete», del whiskaccio, del numero letto quindici su una maglia che invece mostra un dodici, è, tout court, un artista. Il suo timbro fu ed è ancora unico, tanto che una partita di football senza il fluire verbale di Carosio ha un altro sapore. Perché il football — direbbe uno scrii tore utopista ma non estraneo al senso oscuro della realtà — è quella determinata cosa che prende corpo solo se è scritta e parlata. Altrimenti quasi non esisterebbe. Cosa sarebbe un Mazzola senza il tramite e {'imprimatur della pagina scritta o del commen to immediato attraverso i microfoni? Per questo Nick fu, è, indispensabile, un cardine: raccontò di calcio da sempre. Forse il pallone non esisteva prima di lui. Chi scrive ricorda la sua voce nel '38. Era un bambino, la finale del campionato del mondo si esauri- va in uno stadio immaginoso, e l'ultimo nome pronunciato da Nick fu quello di Locateli!, che manovrava placido una palla sulla linea dell'out, mere tre gli azzurri erano in vantaggio. Favoloso Nick, che nel taglio inglese dell'aspetto e del timbro sonoro ha sempre lasciato crepitare una carica violenta di uomo e temperamento latini. Oggi, a vederlo, ricorda un'incisione antica. Sembra gracile, ed è invece indomabi le, firma autografi (lo riconoscono anche gli estranei e i miopi) come un duca, durante le trasferte siede nella hall di un albergo come un Yanez strappato alla giungla e trasferito in una metropoli. Puntiglioso nel mestiere, prende appunti e disegna schemini come il più giovane dei cronisti, si informa sullo stato di un terreno erboso, su un arbitro, sulle varianti della formazione che giocherà. Poi, davanti al microfono, sbotta con inesausto trasporto (e gloria) in un'invenzione, anche una sola paroletta come «calzabraga», che riscalda l'uditorio lontano, tristemente sprofondato davanti al video. Pochi sanno che Nick tiene in tasca un taccuino con tante frasi ricavate da libri importanti. Motti e massime, definizioni e moralità. Qualcuna — forse — corretta di suo pugno, con magnifico arbitrio. Ebbene, una piccola antologia di ciò che Carosio disse la dovremmo pur fare. A dimostrazione che invenzioni pregevoli e svarioni di genio costituiscono il sale indispensabile al piatto pallonistico, sovente così insipido. Arrivederci, mister Nick, se davvero te ne vai. Porremmo soltanto una condizione, sia a te sia alla R-ai. Che ai mondiali del '74 tu sia richiamato in servizio permanente effettivo. A costo di creare un caso diplomatico. A costo di taglia re i fili dei microfoni. Il football può essere tante cose e il contrario di tutte queste stesse cose. Ma non può essere muto. Giovanni Arpino

Persone citate: Carosio, Nicolò Carosio