I "dissidenti,, in Jugoslavia di Ferdinando Vegas

I "dissidenti,, in Jugoslavia ANALISI I "dissidenti,, in Jugoslavia La crisi scoppiata in Croazia è certamente, come afferma Le Monde, la più grave di tutte quelle che la Jugoslavia ha attraversato dal tempo della rottura con Stalin e con il Cominform, nel 1948. Da una causa occasionale abbastanza modesta, lo sciopero di trentamila studenti dell'Università di Zagabria, è derivato infatti un terremoto che ha travolto l'intero gruppo dirigente del comunismo croato e ha messo a nudo profonde crepe nell'intera struttura federale della Jugoslavia. E poiché il dopo Tito, per le ineluttabili leggi della natura (il maresciallo compirà 80 anni il 25 maggio 1972), è ormai un problema reale, cosi si capiscono la prontezza e l'energia con le quali a Belgrado e a Zagabria si è corsi ai ripari. Gli studenti erano scesi in sciopero per un motivo veramente insolito nei pur variegati annali della contestazione studentesca: per protestare contro la «burocrazia federale», la quale si opponeva «ad una giusta soluzione del problema valutario». Concretamente, gli studenti volevano che alla Croazia toccasse una parte maggiore della valuta straniera pregiata, che la Jugoslavia introita e che il governo federale ripartisce tra le sei repubbliche e le due regioni autonome costituenti la Jugoslavia. In effetti, mentre la Croazia contribuisce per un terzo all'incasso di valuta straniera, ne ottiene solo un decimo dalle autorità centrali. Ma queste devono provvedere alle necessità delle repubbliche economicamente più svantaggiate, come la Macedonia o la Bosnia-Erzegovina, rispetto a quelle più ricche e progredite, quali la Croazia o la Slovenia. Perciò, dietro la protesta degli studenti e in generale dietro l'atteggiamento dei dirigenti croati (che in fondo approvavano gli studenti), sta il problema capitale della Jugoslavia: come contemperare le pur giuste esigenze particolari (nazionali) con le preminenti esigenze generali (federali). In sostanza, viene messa in causa non solo la «via jugoslava al socialismo», ma anche la peculiare esperienza del federalismo jugoslavo, arrivato — con l'ultima riforma costituzionale entrata in vigore lo scorso luglio — al limite del confederalismo. Insomma, è l'esistenza stessa della Jugoslavia come Stato che viene minacciata. Ancora una volta, dunque, il nazionalismo rivela tutta la sua virulenza anche là dove sono stati stabiliti regimi socialisti: come, in circostanze e maniere diverse, in Ungheria, in Polonia, in Romania. In questi Paesi, però, si tratta di un nazionalismo diretto contro l'esterno, contro la potenza egemone, l'Unione Sovietica. In Jugoslavia, invece, il nazionalismo anima in sé, l'una contro l'altra, le varie componenti nazionali della Repubblica federale. La concessione, in pratica, della sovranità interna , alle singole, repubbliche, anziché temperare il nazionalismo lo ha esasperato fino al separatismo, e all'aperto sciovinismo. Sono queste le accuse che Tito, egli stesso croato, ha mosso, nella riunione del 1" e 2 dicembre della presidenza della Lega dei comunisti di Jugoslavia, contro coloro che allora dirigevano il partito in Croazia. Li ha pure accusati di «negligenza, leggerezza e liberalismo marcio», per aver permesso ai «gruppi controrivoluzionari» di spiegare liberamente la propria attività. Non sono accuse «rituali». ma precise e ben fondate: i nazional-comunisti di Zagabria si erano infatti mostrati solidali con elementi clericonazionalisti, o semplicemente nazionalisti, e forse non erano neppure insensibili alle voci provenienti dalle organizzazioni dei nazionalisti croati in esilio, gli eredi del famigerato Pavelic. La degenerazione delle aspirazioni nazionali in nazionalismo andava dunque stroncata tempestivamente. Gli stessi colpevoli lo hanno ammesso facendo l'autocritica e dimettendosi dalle cariche prima di venirne espulsi Dopo l'operazione chirurgica resta da compiere l'opera di risanamento, che non sarà certamente facile, e per le difficoltà intrinseche e perché il tempo stringe: solo il prestigio altissimo di Tito può garantirne il buon esito. Ferdinando Vegas

Persone citate: Pavelic, Stalin