Con gli indiani in prima linea di Sandro Viola

Con gli indiani in prima linea Nel villaggio di Dualtpur (Bengala) appena occupato Con gli indiani in prima linea Cinquemila pakistani, decisi a morire, contendono metro per metro la strada di Khulna, arata dai cingoli dei carri e bucata dalle mine - Aerei « Mig » c « Canberra » in azione, le artiglierie sparano senza interruzione - A Dacca, quasi completamente circondata, il comando pakistano proclama: « Difenderemo la città sino alla fine » (Dal nostro inviato speciale) Dualtpur (Pakistan Orient.), 13 dicembre. Khulna resiste disperatamente, da tre giorni, all'attacco indiano. In quella che è la più grossa battaglia combattuta dall'inizio della guerra nel Bengala Orientale, i quattro o cinquemila pakistani al comando del generale Hayat stanno contendendo a soverchiatiti forze indiane ogni metro del terreno che circonda la città. Essi non hanno vie d'uscita salvo il mare, da cui Khulna (terza città del Pakistan Orientale dopo Dacca c Chittagong) e separata da una quarantina di chilometri di canali. Ma nel porto fluviale non ci sono trasporti che possano caricare le truppe e le loro famiglie, e seppure ci fossero non andrebbero lontani. La marina e l'aviazione indiane padroneggiano il Golfo del Bengala. Khulna sembra così una specie di prova generale della battaglia di Dacca, una assurda Tcrinopili asiatica. Completamento privi d'aviazione, con tre soli carri armati, evidentemente a corto di munizioni pesanti (sono due giorni che qui. sulla prima linea indiana, si sente quasi solo il crepitìo delle mitragliatrici pakistane), gli uomini del generale Hayat appaiono dunque decisi a morire. Da Islamabad e da Dacca, dal maresciallo Yahia Khan e dal generale Niazi, comandante il fronte dell'Er', è venuto l'ordine di non arrendersi e di combattere sino alla fine. La guarnigione di Khulna sta obbedendo agli ordini, racimolando il tempo di cui i dirigenti di Islamabad hanno bisogno perché accada il miracolo politico-diplomatico che ferini la signora Gandhi. Il comando indiano non cela più la sorpresa. Sabato pomeriggio sulla terrazza del comando di brigata, il generale Tiwari aveva disteso la carta della provincia, mostrando le posizioni indiane e avversarie, e concluso con una previsione: «Forse ce la faremo stasera, se no domattina». Da allora, su questa strada arata dai cingoli dei carri armati e bucata dalle mine, gli indiani sono avanzati di soli nove chilometri. Il punto più vicino alla città, il villaggio di Dualtpur, è stato raggiunto ieri sera. Stamane i battaglioni indiani non si sono praticamente mossi. Sono tornati di nuovo i Mig e i Canberra a bombardare, sono avanzati i carri alla testa del battaglione di prima linea, l'artiglieria ha tirato in continuazione. Ma i pakistani reggono ancora. Al comando di battaglione mmgzfrlinseicento metri dietro la pri- sma linea, gli ufficiali indiani parlano con ammirazione del comportamento delle truppe nemiche. Il comandante d'uno squadrone di carri armati, un colonnello Sikh alto due metri, la barba bianca sulla tuta nera, si sta massaggiando le caviglie gonfiatesi dopo una giornata trascorsa in piedi ai comandi del carro. «E' un suicidio, ma è innegabile che hanno un gran coraggio»». Dello stesso parere è un maggiore Punjabi: «E' raro, mollo raro che un soldato si batta bene quando non ha la minima possibilità di sfuggire a una trappola». Anche qui, in questa scuola m10PpcinndcscMcgsSdnp media di campagna trasformata in comando di battaglione, gravano le preoccupazioni politiche che l'India affronta in questi giorni difficili. Abbiamo con noi un giornale di sabato, e gli ufficiali se lo passano di mano in mano da quando il primo che 10 ha scorso, il maggiore Punjabi, ha visto sulla prima pagina un titolo sulle minacce cinesi. Ora sono loro che interrogano: «Che farà la Cina, pensa che si muoverà davvero? Certo adesso è difficile, la neve ostruisce i passi stili'Himalaya, un'operazione contro di noi è impensabile. Ma poi?». Ogni tanto giungono, nel cortile della ex scuola, dei giovani nel costume locale, la sottana e la lunga camicia. Sono evidentemente, benché disarmati, partigiani della zona. Gli ufficiali si appartano a parlare con loro, ma non tanto perché non si veda che consultano insieme le carte dello stato maggiore. Vengono dunque a portare informazioni sulla posizione dei pakistani. Infatti subito dopo gli ufficiali vanno al telefono a comunicarle alle centrali di tiro, mentre i ragazzi spariscono. Soltanto uno, a un certo punto, ci viene presentato. Ha uno scialle addosso, e il maggiore gli dice di toglierselo. Un gesto breve, e 11 ragazzo mette in mostra una spaventosa cicatrice sul collo, un grosso cordone che gira tutt'intorno alla carotide. Il racconto è di quelli che abbiamo sentito . ad aprile durante la prima fiammata secessionista, a giugno nei campi profughi, e ora nelle zone da cui i pakistani si sono ritirati. Una famiglia massacrata, il ragazzo lasciato con il collo squarciato, creduto morto e poi salvatosi. Perché? «Avevano una fotografia d'un comizio di Mujibur Rahman qui nella zona. Io e mio padre eravamo in prima fila. Mujibur ci piaceva e lucevamo propagunda per lui. Il US marzo è arrivata una pattuglia pakisianu. hu uperto lu portu e hu cominciuto a tirare baionettate». Alle due e mezzo de) pomeriggio la radio porta le notizie. Dacca è praticamente circondata. Una delle due colon ne che scende dal nord è a 18 km, quella che avanza oltre il Meghna è a una dozzina di chilometri. Ma, insieme, la radio porta un brano del discorso di Bhutto (ministro degli Esteri inviato pakistano all'Onu) alla riunione di stamane del Consiglio di sicurezza. « I nostri soldati difenderanno Dacca sino alla fine. L'India ha vinto una battaglia ma non certo la guerra». Gli ufficiali tornano ai loro telefoni, uno si muove verso la prima linea col suo plotone. L'India ha fretta. Le pressioni internazionali si fanno fortissime, e prima che divengano insostenibili il Pakistan Orientale dovrà essere diventato Bangla Desh. Sandro Viola

Persone citate: Bengala, Bhutto, Gandhi, Hayat, Yahia Khan