Inchiesta su Napoli oggi di Michele Tito

Inchiesta su Napoli oggi DAI MITI DEL PASSATO AI NERI PRIMATI DEL PRESENTE Inchiesta su Napoli oggi Dopo la fuga nel sogno dei tempi laurini (« Napoli la capiscono i poeti »), ha preso coscienza della tragica realtà - Supera ogni altra città del Mezzogiorno nella mortalità infantile, nella disoccupazione, nel numero di vani abusivi, nell'evasione dall'obbligo scolastico, nei segni di povertà: abbondano i protesti cambiari per mille lire - Ma può inserirsi nella civiltà industriale? Anche i suoi scrittori, lucidi e disperati, si sentono « prigionieri del Golfo » (Dal nostro inviato speciale) Napoli, dicembre. E' la città che per prima, nel mondo, ha speso più di cento milioni per un giocatore di calcio. Ha vissuto l'epopea del grande «cannoniere» Jeppson e acclamava Lauro che faceva il giro del campo all'inizio di ogni partila. Applaudiva in Piazza Municìpio la scelta di uno stadio « più bello, più grande », lo stadio invece del nuovo politecnico. Feste, parole, sfide municipalistiche: i contrabbandieri dell'immediato dopoguerra diventavano impresari edili e le colline scomparivano sotto il cemento armato. C'erano quelli che partivano, quelli che s'arrendevano e quelli che, « feriti a morte », vivevano come esuli in patria; ma c'erano le fortune che crescevano rapide, nelle mani di pochi: la città ne godeva, ubriaca; qualcosa, finalmente, accadeva. Usciva un libro che faceva scandalo. L'avevano scritto due giovani, Emilio Luongo e Antonio Oliva: s'intitolava Napoli com'è, analizzava l'economia del vicolo, l'economia di cui vivono mezzo milione di napoletani, la metteva in cifre e rivelava la natura parassitaria delle risorse e del modo di vita della metropoli, non più capitale, «sola nel Mezzogiorno». La reazione fu irritata e sdegnata; un giornale, non laurino, gridò in prima pagina: « Napoli non è fatta per le cifre, Napoli la capiscono i poeti ». Prima rivolta Ma era l'ultimo episodio dell'» alluvione » laurina. Poi cominciò la crisi. Maturava una rivolta sotterranea e prendevano fiato gli uomini e i gruppi che avevano resistito dai loro ridotti isolati. Nuclei di giovani preparavano le contestazioni all'Università, ed erano cos'innovati da essere i più maturi: fu- rono i primi contestatori d'Italia, con i programmi, le denunce e le rivendicazioni che otto anni dopo erano comuni ai giovani di tutte le città italiane. Come congiurati facevano circolare una parola d'ordine: « Ragazzi, dopo la laurea non si parte, si resiste ». Lauro non aveva capito e sfrecciava in inocchina per la città bruciando i semafori rossi e ostentando una corte di impresari edili, organizzatori di feste e grandi trafficanti. Un giorno la gente dei « quartieri » lo attese in via Roma e lo fischiò. Nel frastuono Rimangono i primati negativi. Quarantadue leggi speciali e provvedimenti particolari in un secolo e la più alta mortalità infantile d'Italia. Muoiono per denutrizione due volte più lattanti tra il quarto e il quinto mese di quanti ne muoiano nel resto d'Italia. Ben quattrocentomila vani costruiti abusivamente, la più bassa percentuale di popolazione attiva (il 30 per cento) e il più allo indice di disoccupazione e sottoccupazione: 170.000 contro 380.000 occupati. Un quinto dei bambini che cominciano le scuole non giungono alla quinta elementare, poco meno della metà sfuggono alla scuola dell'obbligo nei tre anni di media. L'assessore alla Pubblica Istruzione ne parla e le mani gli tremano: « Dove, come lavoreranno, se un giorno ci sarà lavoro? ». E' prevista, nei documenti del piano, la paralisi dei trasporti; è indicata, nella ricerca di uno specialista, il dott. Antonino Izzo, come la città più rumorosa del mondo; in alcuni suoi quartieri sono superate largamente le soglie di sicurezza. E' costruita sul vuoto e frana: l'altra sera pioveva, il vicesindaco, decise di non lasciare il municipio:. «Mentre parliamo accadono sciagure, do¬ mattina sapremo di nuove tragedie ». Lauro, e lo Stato rifiutarono di sospendere per un decennio la costruzione di stadi, piscine, palestre, d'interrompere le sovvenzioni a festival di canzonette e alle molte attività escogitate «per ingannare la miseria ». Venticinque famiglie su cento possedevano un televisore, mentre a Torino erano 14 su cento: « Napoli non torna indietro », fu la risposta. Ma la colpa non è solo di Lauro. Da secoli non si muovono, non si spostano. Si stringonq nei « bassi »; si sentono ripetere ogni giorno, adesso, che dovranito lasciare il centro, protagonisti di un esodo forzato di trecentomila persone imposto dalla necessità di evitare che Napoli scoppi, e rispondono: « Provate, vi aspettiamo ». Non sperano in una vita diversa e fon- ti sicure di lavoro, temono invece di perdere la dignità di «cittadini», di trovarsi ridotti al rango di « cafoni », lontano dai vicoli. Hanno diffidenza e sfiducia senza limiti, si abbandonano all'avvolgente civiltà ' del vicolo. Si sposano da secoli tra di loro, quasi la metà dei giovani sposi si conoscono fin dall'infanzia! hanno giocato assieme bambini, figli e nipoti di coniugi cresciuti nel vicolo; così emergono le debolezze e '.e tare fisiche di una gente che non si rinnova: « Di fronte a questi mali, dicono in prefettura, siamo impotenti». L'Istituto di psicologia sociale dell'Università li ha seguiti e studiati per anni nell'avventura del contatto con l'esterno: li ha trovati fragili, bisognosi di «familiarità», alla ricerca di occasioni di compiacere e trovare compiacenza. Il professor Gustavo Iacono parla di un « bisogno vitale di appartenenza ». Alcuni diventano operai, ma vorrebbero « familiarizzare » la fabbrica: accettano i capi non per quel che sanno fare, ma per la loro capacità di « compiacenza »; « Quando due di loro si incontrano e hanno qualcosa che li divide, ciascuno di loro non cerca di far prevalere il proprio punto di vista, cerca di riuscire gradito all'interlocutore, qualsiasi compromesso va bene ». C'è una straordinaria resistenza ad ogni mutamento. Forte nei vicoli, ove la gente si raccoglie intorno a cadenti palazzi patrizi come gli antichi borghigiani intorno ai castelli, il male si estende alla città, le consegna un altro primato: la Napoli nuova, quella degli editici recenti, degli uffici, delle imprese e dei negozi più moderni, invecchia subito. E' subito in disfacimento. Gli autori di Napoli com'è fanno adesso il conto: « Dieci anni fa Napoli poteva passare per una città se non moderna, almeno contemporanea; oggi, forse, no. La città moderna, nelle sue strutture e nelle sue manifestazioni, è in crisi. E' progredita, forse, in direzione sbagliata, con tutti i suoi mali, la città vecchia ». Il contrabbando Un quinto quasi del reddito cittadino e prodotto dal contrabbando, ne vivono più uomini, donne e bambini di quanti ne vivessero vent'anni or sono. In assenza di altre fonti di vita è diventato un modo d'essere ed è un altro strumento di inganno. Nusce il mito di un gran numero di irregolari: « Siamo tanti, più di duecentomila ». Non è vero, tuttavia ne sono convitili. Nasce il mito delle fortune tutte irregolari: « I soli capitali esistenti so- | no quelli formati dall'usura, I chiunque ha cibo sicuro e scarpe nuove o fa l'usura o è impiegato ». Conta non quello che e vero, ma quello che credono, e sanno che ci sono fallimenti per diecimila lire e protesti cambiari per mille lire. Sono le verità, i miti e le paure della giungla, nelle viscere di una città unica- e diversa, ove brulicano diecimila persone per ogni chilometro quadrato, la densità più alta di tutte le città europee. Ciò che fino a ieri veniva nascosto. Peso della storia L'ascesa e la caduta di Lauro sono l'incubo di coloro che contano e decidono, e che hanno finalmente capito. Rifiutano i sogni del passato e abbattono gli idoli antichi: « Napoli è l'opposto di Torino, solo noi sappiamo il male fatto dai padri della patria». Ricordano Depretis che parlava delle «ricche province del regno di Napoli » e Quintino Sella che definiva Napoli « la più cospicua città del regno ». Rifiutano la nostalgia della capitale gloriosa, ricordano la capitale parassitaria, fatta crescere intorno alla corte, con i giovani dei quartie¬ a e e e . i , l i o i i a ù . a o r¬ ri popolari'gratificali di misere pensioni «per grazia sovrana » e alimentata artiflj ciosamenle, perché crescesse I come Parigi, a scapito delle province meridionali: « Que| sta è la storia che ci schiac| eia ». Non si sentono più figli di Benedetto Croce: «Dov'è la Napoli nobilissima?». Sono franchi e pessimisti. Lottano fra loro, ma insieme si definiscono « prigionieri del Golfo », costretti a una solidarietà di fondo nella paura di un'altra alluvione. Terra di maghi Raccontano la storia vera di Agostino 'o pazzo, il motociclista spericolalo che nelle notti dell'agosto '119 sfidava la polizia ed entusiasmava le folle accorse in via Roma. Le folle cercavano una rivincita contro tutti e contro tutto; si ritrassero non per stanchezza, non per timore, ma per obbedienza ai camorristi e ai capi delle bande di contrabbandieri, la rivolta di Agostino 'o pazzo faceva ristagnare gli affari, riduceva i proventi della prostituzione. I capi non volevano complicazioni: « L'ordine, dice l'on. Compagna, fu ristabilito per assicurare i traffici loschi ». Poi aggiungono: « Ma c'è sempre un mago di Napoli alle porte, c'è sempre una jacquerie possibile ». Gli scrittori, i Prisco, i Rea, i Pomilio. lucidi e disperati descrivono un'agonia e insieme ricordano Luigi Incoronato che si uccise quando un racconto su Napoli non trovava una conclusione. Solo a Napoli si parla delle masse popolari come di una plebe, e Luigi Compagnone scrive: « Io l'amo questa plebe, perché amo la fine del mondo, questa fine che non finisce mai come il prolungarsi di un vizio i). La vecchia città, di notte, è per Giovanni Amedeo, il giovane autore de II nipote, «un insensato sorgere di chiese a destra e a sinistra, un incombere di spazi morti, nell'indifferenza ». Rifiutato il folclore, caduti i miti e perdute le illusioni, e più difficile, per coloro che contano e decidono, ' il tentativo. Non sono amati, e molti sono i loro difetti. Ma provano: « E' il solo impegno che ci sia possibile ». Sono i soli, in Italia, a dire: « Le cose devono ancora venire dall'alto del potere, dalle viscere della città non viene niente ». E' forse il loro errore, ma la città è stremata; in via Costantinopoli brillano per Natale nuove lampade dinanzi alle immagini di santi tutti vecchi, stanchissimi. Michele Tito svj cI | |