L'India non accetta la pace col Pakistan se il Bengala non diventa indipendente di Sandro Viola

L'India non accetta la pace col Pakistan se il Bengala non diventa indipendente Proseguono i combattimenti ai confini del subcontinente L'India non accetta la pace col Pakistan se il Bengala non diventa indipendente Il governo dì New Delhi contrario alla convocazione del Consiglio di Sicurezza: «E' rimasto inerte di fronte alla tragedia dei profughi » - Ordini del comando pakistano di non aver riguardo per la popolazione a . o i o r l o o o o l (Dal nostro Inviato speciale) Calcutta, 29 novembre. Da rigida che era, la posizione, indiana si c fatta ormai intransigente. Il governo della signora Gandhi appare deciso a rifiutare qualsiasi compromesso che potrebbe spianare la strada a una soluzione politica. La richiesta, da questa parte, è una sola: via le truppe di Yahya Khan dal Bengala Orientale, proclamazione dello Stato indipendente del Bangla Desìi. Se dalla comunità internazionale dovesse venire un appello, un'offerta di mediazione che non contenesse la soddisfazione di queste pretese, gli indiani non ne terranno conto. Una forte irritazione viene manifestata verso l'iniziativa belga, appoggiata dall'Italia, per una convocazione del Consiglio di Sicurezza. Essa affiora dai giornali e nei discorsi dei funzionari con parole quasi identiche a quelle usate da Indirà Gandhi nel suo discorso di ieri: « Una comunità internazionale che non si è mossa dinanzi alla tragedia del Bengala Orientale, che ci ha lasciato sostenere da soli il peso di dieci milioni di profughi, non può muoversi soltanto ora per paura d'una guerra. Noi non ci aspettiamo alcuna giustizia da una eventuale decisione, del Consiglio di Sicurezza ». Ma il segno più preoccupante di come siano a questo punto inflessibili le condizioni poste dall'India, è l'incidente accaduto tra ieri e oggi all'ambasciatore indiano in Pakistan, signor Alai. Atal aveva detto ieri, in una intervista data a Islamabad, che la formazione di un governo civile in Pakistan (in quanto « sintomo d'un ripensamento della situazione da parte pakistana») avrebbe ridotto del 50 per cento le possibilità d'una guerra. Era, in fondo, lo spiraglio che si intravedeva in molte capitali (Washington, Londra) per uscire dalla tempesta addensatasi ai confini tra India e Pakistan." Un governo civile al posto di quello militare del maresciallo Yahya Khan, una trattativa con i legittimi rappresentanti del popolo bengalese, la concessione di una larghissima autonomia, la liberazione dello sceicco Mujibur Rahman, e naturalmente l'impegno da parte dei leaders autonomisti di metter fine alla guerriglia. Non molto, come soluzione, dato che non tiene presente la spaccatura definitiva avvenuta ormai tra la popolazione e la classe dirigente dell'Ovest (e il suo esercito), ma insomma l'unica a portata di mano. Essa è stata violentemente rigettata, oggi, al Parlamento di New Delhi. Il ministro degli Esteri ha assicurato una assemblea furibonda che l'ambasciatore Atal subirà le censure del caso, e che comunque l'India non accetterà mai « un governo fantoccio che non sia quello eletto dal popolo nelle elezioni del dicembre '70 ». Il governo che vuole New Delhi, dunque, può solo portare all'indipendenza del Bengala Orientale e allo smembramento del « grande Pakistan ». D'altro canto le precauzioni con cui gli indiani avevano cercato di minimizzare, o addirittura di negare, il proprio impegno bellico sullo frontiere dell'Est, cominciano a essere abbandonate. Tra sabato e domenica c'è stato il terzo sconfinamento ammesso dai comandi militari di qui, cioè la terza battaglia con l'esercito pakistano. La circolazione dei giornalisti nelle zone prossime ai confini è strettamente regolata dalle autorità militari. lfpaziscsuvkmttnMi I il che non avviene probabilI mente per pure ragioni re iiiniuiiuMiiiiiiniiiiiiiii i iiiniiiiiiiuiiiii latjve alla loro sicurezza. Ln slogan di qualche mese fa, «siamo al banco del popolo del Bangla Desh », ha assunto ben altra concretezza. Gli indiani appoggiano la iniziativa dei guerriglieri, la strategia della battaglia in corso (a Hilli, a Jessore) ha sempre meno i lineamenti di una operazione di guerriglia. Altri segni di guerra sono venuti intanto da parte pakistana. In uno dei carri armati immobilizzati nella battaglia di domenica sono stati trovati dagli indiani alcuni ordini scritti dello Stato Maggiore di Dacca. « Tenersi pronti, la guerra può scoppiare da un momento all'altro », dice uno di essi, e un altro raccomanda che nel caso si dovesse abbandonare la cittadina di Chuadanaga, dove ad aprile fu insediata la capitale provvisoria del Bangla Desh, « in essa non dovrà essere lasciata la popolazione civile ». Il che non vuol dire che i reggimenti punjabi si porteranno dietro, sul loro camion, i civili di Chaudanaga, ma che dovranno stenderli a raffiche di mitra. Nel pomeriggio si è sparato di nuovo sulla frontiera del Kashmir. E' stato un incidente minore, ma gli indiani credono di sapere che un forte concentramento di truppe pakistane viene operato in quella regione. La situazione, insomma, è sempre la stessa, col rischio evidente che non possa mantenersi in bilico troppo a lungo. D'altra parte quali e quante siano le probabilità di guerra è stato chiarito oggi dal Parlamento indiano. Protestando contro l'ambasciatore in Pakistan, che vedeva scendere queste probabilità al cinquanta per cento se Yahya Khan si fosse dimesso, i deputati dell'Unione hanno riaffermato che esse sono del cento per cento. Sandro Viola

Persone citate: Atal, Bengala, Gandhi, Yahya Khan