Venturi, rinnovatore della critica di Lionello Venturi
Venturi, rinnovatore della critica RICORDATO A TORINO, NEL DECENNALE DELLA SCOMPARSA Venturi, rinnovatore della critica Un metodo d'indagine che ha fatto «scoprire» l'arte moderna - La rievocazione di Aldo Bertini Già nel 1956, lasciata l'anno prima Lionello Venturi la cattedra di storia dell'arte moderna nell'Università di Roma per raggiunti limiti di età, Mario Salmi, fattosi promotore di un grande volume di scritti in onore dell'illustre collega, tracciava nella prefazione un breve profilo dello studioso che si congedava dai diretti discepoli ma non certo dalla sua più vasta scuola di storico e di critico che attraverso centinaia di articoli, di saggi, di libri (la sua bibliografia, dal 1903 al 1956, occupa nel citato volume ben 17 ampie pagine) gli aveva dato fama internazionale, e sarebbe continuata per ancora cinque anni, interrotta dalla morte a Roma il 14 agosto 1961. Ricordava il Salmi che Lionello Venturi, nato a Modena il 25 aprile 1885, figlio di Adolfo, il maggior storiografo dell'arte italiana dopo il Vasari ed il Cavalcasene, aveva iniziato la carriera scientifica come ispettore delle Antichità e Belle Arti a Venezia, poi a Roma alla Galleria Borghese, infine quale soprintendente alle Gallerie delle Marche ad Urbino. I suoi primi scritti riflettono infatti interessi filologici connessi col suo ufficio di quegli anni; ma contemporaneamente pubblicava il suo primo libro, Le origini della pittura veneziana (1907), premiato dall'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, seguito (1913) dalla fondamentale monografia Giorgione e il giorgionismo. Nel 1915 otteneva la cattedra di storia dell'arte medioevale e moderna all'Università di Torino, lasciata fieramente nel 1931 per il rifiuto di prestare il giuramento fascista, un rifiuto che, condiviso dai docenti Ruffini e Carrara, onorò l'ateneo torinese. Fu un grave colpo, quell'allontanamento del Venturi dall'Università, per la cultura artistica — ma non soltanto artistica, anche letteraria, teatrale, musicale, persin politica (si pensi a certi contatti col clan intellettuale Gobetti) — z Torino: e si noti ch'esso quasi coincideva temporalmente con l'arresto del finanziere mecenate, tutt'altro che ben visto dal fascismo, Riccardo Gualino, del quale Venturi era stato il consigliere per la formazione della stupenda raccolta d'opere d'arte che adesso occupa, per munifica donazione dell'antico proprietario, sette sale della Galleria Sabauda. Questo rapido cenno alla funzione svolta per un quindicennio da Lionello Venturi sul terreno più fertile della cultura cittadina ci è parso necessario, sia per rinnovare nella memoria degli anziani situazioni ed episodi ormai lontanissimi, sia per far partecipi i giovani di un «clima torinese » del passato che necessariamente essi ignorano. E questa funzione è stata ricordata ieri anche dal professor Aldo Bertini, titolare della cattedra di storia dell'arte dell'Università di Torino, nella sua illuminante rievocazione dell'opera storica e critica, innovatrice ed educatrice, di Lionello Venturi, tenuta in un'aula dell'ateneo, nel decennale della morte dell'insigne maestro, a un pubblico eccezionale di studiosi, di ex allievi, di ex colleghi, di amici dello scomparso. Un pubblico che, da Anna Maria Brizio a Giulio Carlo Argan, da Manlio Brosio a Mario Soldati, da Mila a Galante Garrone, da Grosso a Gullini, da Paulucci a Martina, partecipava della medesima commossa comunione spirituale. Splendidamente, e con un linguaggio asciutto e preciso da specialista, il Bertini. dopo aver chiarito la posizione del giovane Venturi di fronte agli immediati predecessori Morelli e Cavalcasene, e al sommo esempio paterno, e dopo aver indicato quello che sarebbe stato l'interesse preminente e duraturo di tutta l'attività critica venturiana, cioè il problema del metodo, un interesse già dichiarato nel primo libro del 1907 e confermato in quello su Giorgione e il giorgionismo, ha analizzato, movendo dal libro del '19 su « La critica e l'arte di Leonardo », l'attenzione crescente del Venturi per la storia della critica e per una piena autocoscienza del metodo. E a tale scopo mirò, anche con piglio polemico, «Il gusto dei primitivi», del 1926, che è forse il suo scritto più famoso. A questo punto non poteva naturalmente mancare un accenno all'incontro - scontro Croce-Venturi, risolto da quest'ultimo trasformando ciò che nei Problemi di estetica resta una chiosa marginale in un elemento basilare della visione critica. Ma l'importanza del Gusto dei primitivi risiede soprattutto nel graduale sviluppo del pensiero venturiano nei confronti dell'arte moderna. Di qui la rivalutazione, condotta con lo stesso metodo applicato alla storia dell'arte antica, dell'Impressionismo, dal Venturi inteso come rottura col passato, come epoca nuova della civiltà artistica. E di qui, anche, il decisivo rinnovamento da lui operato della storia e della critica d'arte. Caduto il fascismo, giunta la Liberazione, la cattedra di Roma lo attendeva, e la tenne, lo si è detto, fino al '55, sempre più accostandosi agli artisti contemporanei. Fu allora un caso veramente singolare vedere lo studioso di Giorgione e del Caravaggio entusiasmarsi per Spazzapan o per Emilio Vedova, seguire il professore universitario nelle sue scorribande giornalistiche. E questo è un altro lato del temperamento sempre combattivo e dell'agilità mentale del Venturi. Nel taglio dell'articolo (ne fa fede la sua collaborazione a « La Stampa » nel '53 e in alcuni anni seguenti), nella chiarezza dell'esposizione, nella concretezza del linguaggio, lo scrittore che aveva analizzato il pensiero di Plotino e gli schemi del WoelfHin, fu un giornalista perfetto. Marziano Bernardi
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