La cautela dei prelati di Stato e la protesta dei nuovi credenti di Paolo Garimberti

La cautela dei prelati di Stato e la protesta dei nuovi credenti PARLANDO DI RELIGIONE AL PATRIARCATO DI MOSCA La cautela dei prelati di Stato e la protesta dei nuovi credenti (Dal nostro corrispondente) Mosca, novembre. In questo paese che fa dell'ateismo la religione di Stato, oggi vi sarebbero (l'uso del condizionale è imposto dalla mancanza di statistiche ufficiali) oltre 50 milioni di ortodossi praticanti, 3 milioni di cattolici, 2 milioni di ebrei, qualche milione di musulmani, su una popolazione complessiva di 246 milioni di abitanti. Un sondaggio In una fattoria collettiva di Stolbtsy, in Bielorussia, è stato fatto un sondaggio su un « campione » di 377 cittadini. Il 6,5 per cento degli interrogati si è dichiarato «ateo convinto », il 20,4 « non credente », il 10,6 « incerto tra fede e ateismo », il 10,4 « indifferente alle questioni di fede o ateismo », ma il 52,1 per cento ha risposto di essere « credente ». « Che cosa ha favorito la vostra conversione religiosa? », è stato chiesto ai credenti. Il 48 per cento ha risposto « l'educazione in famiglia », il 7 per cento «i iapporti con altri credenti »,-il 23 per cento « la frequenza delle funzioni religiose» tSovetskàja Kultura, 4 febbraio 1971). Dopo la stucevatsja dell'era staliniana (stucevatsja è parola coniata da Dostoevskij per indicare il 11 dissolversi nel nulla»), i cinquantamila chierici ortodossi vivono ora nella piena normalità legalitaria, grazie ad una formula compromissoria, che i loro critici riassumono rovesciando il precetto evangelico: date a Cesare quel che è di Cesare, e a Cesare quel che è di Dio. Ma Vladimir Kuroedov, che dai tempi di Kru- scev presiede il Consiglio per gli affari religiosi presso il governo sovietico, respinge le accuse di asservimento della Chiesa allo Stato: « Lo Stato non s'immischia nelle attività delle organizzazioni religiose — dice —. Ogni cittadino ha il diritto di professare qualunque fede o di essere ateo ». Con ricchezza di particolari ed una vasta bibliografia lussa e straniera, E. I. Lisavcev ha denunciato in un libro, apparso pochi giorni fa nello edicole, « le falsificazioni borghesi sulla situazione della religione nell'Unione Sovietica ». La lunga e favorevole recensione delle Izvestija al volume prova ch'esso hii valore di un testo ufficiale. «Gli specialisti dcll'untisovietismo — dice il giornale — sono estremamente irritati per il comporta mento leale dell'attuale Patriarcato di Mosca verso lo Stalo sovietico e per la partrapazione dei credenti al lavoro del nostro popolo, che costruisce il comunismo ». Nella lussuosa sede del Patriarcato di Mosca, un'antica villetta nel quartiere dei boiari, ho avuto una lunga conversazione sui rapporti tra lo Stato sovietico e la Chiesa ortodossa con monsignor Juvenalij, il più vicino collaboratore del metropolita di Leningrado Nikodim, « ministro degli esteri » della Chiesa. Secondo Jttvenalij, per comprendere u questo complesso problema» e valutare correttamente la situazione, bisogna fare un tuffo nel passato, risalire almeno agli anni della Rivoluzione d'Ottobre. « Ai tempi degli zar — spiega il monsignore, che par¬ la sgranando meccanicamente un rosario nero — la Chiesa ortodossa godeva di molti privilegi, che derivavano dagli stretti legami esistenti tra le alte gerarchie ecclesiastiche e lo zar. Perciò molte delle istanze rivoluzionarie erano dirette contro la Chiesa, che era un tutto unico coti il regime da rovesciare. Non è corretto dire che tutti ì credenti erano antirivoluzionari, perché anche le masse religiose hanno partecipato alla rivoluzione. Ma le più alte gerarchie ecclesiastiche erano certo contro la rivoluzione». Secondo Juvenalij, all'ottusa difesa dei privilegi ecclesiastici in lotta contro il nascente socialismo va la prima responsabilità della difficile convivenza tra lo Stato sovietico e la Chiesa ortodossa. Il nuovo corso « Per nostra fortuna, per la sopravvivenza stessa della Chiesa, non tutta la gerarchia era controrivoluzionaria. Colui che divenne poi il Palmarca Sergio aveva capito bene la nuova realtà storica. Nel 1927 egli disse: noi vogliamo essere fedeli ortodossi, figli della Chiesa, ma al tempo stesso figli della nostra Patria; e tutti i dispiaceri che potrà avere il potere sovietico saranno anche i nostri dispiaceri, così come tutte le gioie saranno nostre gioie ». Non è facile capire queste parole in un Paese dove la propaganda antireligiosa è dura e capillare; dove ogni parrocchia è controllata da una « dvadzatka », un consiglio di venti laici comunisti ortodossi, che ha potere « di vita e di morte » sul pope; dove i preti ricevono dallo Stato un salario, talvolta superiore anche di otto volte a quello di un operaio qualificato, che li trasforma in impiegati statali ad alto livello; dove, infine, la recente elezione del ti Patriarca di Mosca e di tutte le Russie » è stata diretta dal potere politico. « Non bisogna confondere — replica Juvenalij — tra relazioni Stato-Chiesa e relazioni religione - comunismo. Le relazioni tra lo Stato e la Chiesa seguono la legge, cioè sono fondate sul principio costituzionale della libertà del culto. Il partito comunista, invece, combatte l'ideale religioso, ma sì tratta dì una lotta puramente ideologica'. Certo, questa lotta ideologica è molto forte e la Chiesa ortodossa sta vivendo un'esperienza unica nella storia, un'esperienza ancora troppo fresca per trarre conclusioni non caduche ». In realtà, la lotta non esiste, perché la Chiesa ortodossa nulla oppone alla propaganda ateista del partito, trincerandosi su debolissime posizioni difensive. « Noi sappiamo bene — dice ancora Juvenalij — che la nostra gente vive in un ambiente ateo. Abbiamo rinunciato a replicare agli artìcoli dei giornali e ci limitiamo a spiegare ai fedeli la parola di Dio. La Chiesa non deve lottare contro qualcuno, deve essere al servizio del mondo. Abbiamo educato fedeli che non hanno animosità verso i non fedeli e. al tempo stesso, godono della pienezza dei diritti di cittadini sovietici ». Sebbene in quest'ultima frase del vescovo si possa cogliere un'ansia di giustificazione e una ricerca di coniprensione, la Chiesa ortodossa sconta la sua posizione dipendente, patendo una crisi di fiducia da parte dei fedeli meno anziani. Se oggi c'è in Russia im risveglio religioso, avvertibile, ma statisticamente incontrollabile, esso non tocca che in misura trascurabile la Chiesa ufficiale. Per gli intellettuali e i giovani più colti la riscoperta della religione avviene in chiave filosofica e non si trasforma in pratica del culto. Dove discutono Molti intellettuali vanno in chiesa, anzi in una sola chiesa di Mosca, per discutere e non per pregare, come ha scritto anche la Komsomolskaja Pravda. Per i credenti praticanti, invece, il ritorno ad una più intensa religiosità si manifesta con ima spietata contestazione del legame StatoChiesa, quale è accettato dal clero ortodosso. E' questo, ad esempio, il senso del raskol (la secessione) degli iniziativisli, che hanno abbandonato la Chiesa battista per protesta contro le nuove norme del Concilio panunionista dei cristiani evangelici e battisti del 1960, che poneva la loro confessione alle dirette dipendenze del Consiglio per gli affari religiosi. La minaccia potenziale, che lo scisma di questo gruppo « spontaneista » rappresenta per l'autorità dello Stato sulla Chiesa, spiega la durezza della condanna di Kuroedov verso gli iniziativisli, descritti come delinquenti cornimi. Paolo Garimberti

Persone citate: Dostoevskij, Kuroedov, Patriarca, Vladimir Kuroedov

Luoghi citati: Bielorussia, Leningrado Nikodim, Mosca, Russia, Unione Sovietica