Non c 'è crisi dei calcolatori di Silvio Ceccato

Non c 'è crisi dei calcolatori Il settore all'avanguardia della tecnologia moderna Non c 'è crisi dei calcolatori Al massimo si può parlare d'un rallentamento nello sviluppo - Ma dai 5000 elaboratori venduti nel mondo nel 1959 siamo ormai vicini ai 70 mila - Tutta l'attività umana è ormai condizionata da essi, dai procedimenti produttivi alle ricerche scientifiche alla contabilità alle analisi - C'è invece una crisi nel «mito del calcolatore», inteso come una macchina che pensa al nostro posto - Questo mostruoso «cervello» non esiste ancora Il calcolatore è in crisi? Se per orisi si deve intenderò che ne è diminuita la costruzione o la vendita, che nella teoria e prassi del calcolatore c'è una stasi, allora di crisi non si può certo parlare. Come si sa, avanza la cosiddetta quarta generazione del calcolatore; se ne apprestano sempre più di tutte le taglie, sino al minicómputer; i terminali lo portano anche nelle aziende ed istituti modesti; dovrebbe diventare uno strumento di famiglia, come la .macchina per scrivere. Lasciamo parlare le cifre; nel 1959 l'industria dei calcolatori si è aggiudicata un fatturato di circa un miliardo di dollari, con la vendita di 5000 macchine; nel 1969 il fatturato cresce a 15 miliardi di dollari; ora si avvicina ai 20; fra un quinquennio i calcolatori venduti saranno circa 70.000. Anche se il calcolatore dovesse attraversare un momento difficile, esso si dovrebbe spiegare con l'andamento generale dell'industria e commercio; ma nemmeno questa reazione è da attendersi, perché proprio il calcolatore potrebbe costituire l'ultima risorsa di chi si trova in difficoltà. Non riduce forse il numero degli impiegati ed operai, non accelera i tempi di produzione, non diminuisce i costi? Se la concorrenza, la saturazione del mercato, ecc., riducono i margini di guadagno, ecco il calcolatore che, come si dice, ottimizza i processi produttivi, controlla il magazzino, raccoglie ed elabora i dati del mercato, anticipa e promuove i gusti dei compratori, è in grado di seguirli uno per uno, persino di togliere loro la sgradita impressione di una moneta che nello scambio viene strappata di tasca. Le paure della disoccupazione e di conseguenti difficili riqualificazioni e rioccupazioni sembrano solo parzialmente fondate. In effetti, il ricorso al calcolatore non avviene quasi mai soltanto per sostituire prestazioni e prodotti antecedenti, bensi per arricchirne l'ambito, per offrire di più e di meglio. Senza il calcolatore, come si sarebbe mai giunti sulla Luna? Chi avrebbe mai fatto il calcolo di quante volte compaia una certa parola in opere di milioni di parole? Tuttavia l'uomo della strada come il dirigente industriale, aziendale, commerciale, amministrativo, militare, ecc., una volta porto il doveroso omaggio ai « miracoli » dell'elettronica, ai « prodigi » dell'automazione, più di una volta confessa di non essere del tutto soddisfatto, del tutto tranquillo. Perché? Mi limiterò ad indicare al cimi motivi ricorrenti: un antimito, generato da un mito; un calcolo applicato a situazioni non maturate per riceverlo; una inevitabile rigidità del programma rispetto a strutture estremamente mobili; la figura stessa del programmatore. ■k * E' difficile decidere se la promessa mancata sia stata venduta dai tecnici assieme al calcolatore-' o ad esso sia stata semplicemente carpita dalla paura e dalla speranza. La nostra è un'epoca turbata e silduciata. La stima dell'uomo nell'uomo è scarsa, e la sua credenza in una trascendenza, in valori extrastorici, di origine celeste o terrena, si è affievolita. Da dove verrà l'aiuto? Sarà la macchina? Il deus ex machina? L'illusione non è nuova. I primi mulini ad aria o ad acqua suscitavano le stesse attese. Si scriveva ai tempi di Antipatro il Macedone, « è tornata l'età dell'oro ». Oggi, poi, la tentazione è più grande. Le etichette di «macchina pensante», di «cervello elettronico», e simili, attribuite al calcolatore possono bene far credere, e non solo ai semplici di mente, che dalla macchina-strumento si sia passati alla macchinapartner. E quale partner! Infallibile, velocissimo, fedele, senza rivendicazioni sindacali, senza .resistenze affettive. Per di più, questa macchina sarebbe un partner colloquiente, venduto con il suo linguaggio, algol, cobol, ecc. per un colloquio ideale, appunto perché senza equivoci sui valori, e quindi senza resistenze, rivendicazioni, distrazioni e simili. Basterebbe questa metafora del « linguaggio » a creare una macchina-mito, a generare illusioni destinate a cadere, a suggerire confidenze mal riposte. Nei suoi rapporti con gli altri, sia linguistici che non linguistici, l'uomo esprime presumibilmente la sua massima complessità, la somma di esperienze accumulatesi in millenni, l'incontro comunque di decine di miliardi di neuroni. Basti pensare a quante cose trasmettiamo, forse lidAvqmprNscsd le più importanti per la vita individuale e sociale, in modo del tutto inconsapevole. Alla macchina, anche se provvista, anzi perché provvista di quel « linguaggio », in questo modo non trasmettiamo proprio niente. Resta strumento, resta coltello ma non manico. Colpa della macchina? Nemmeno per sogno; piuttosto della scarsa conoscenza che l'uomo ha di sé, della sua vita mentale. Certamen¬ te conosce meglio i suoi prodotti, il calcolatore o l'automobile, che non se stesso; e questo rende il confronto difficile. Può anche confondere appunto il mezzo, lo strumento, con gli usi che egli ne fa e soprattutto gli usi che fa dei 'suoi prodotti o prestazioni. La cosiddetta « esplosione delle informazioni » ne fornisce una illustrazione. Vivremmo tutti in una società « informatica »; ma l'uomo ha risposto subito all'accresciuta informazione con le equilibranti inflazione e saturazione. « Sai chi è il Presidente della Repubblica? », « Mah ». « Sai che cosa è una obbligazione? », ii Mah ». Da una recente inchiesta solo il sei per cento dei lettori abituali di un grosso quotidiano nazionale con tanto di pagina finanziaria ne aveva un'idea. La macchina-mito ispira il corso dei pensieri non solo popolari, ma anche evoluti. Si legge in apertura del saggio « L'America nell'età tecnetronica », del professore Brzezinski della Columbia University: « La nostra non è più l'era rivoluzionaria convenzionale; stiamo entrando in una nuova fase metamorfica della storia umana. Il mondo si trova alla vigilia di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche ed umane di quella provocata dalle rivoluzioni francese, e bolscevica». Tutto questo grazie alla tecnologia, la cui perla è appunto il calcolatore. Ed il l professore Truxal, dell'Istituto politecnico di Brooklyn, riprende il passo per confermarlo con vari esempi, fra i quali, citerà quello della regolazione automatica della circolazione stradale. Una volta agli incroci un povero vigile si sbracciava. Poi sostituì le braccia con i cartelli rotanti di « va! » e « stop! ». Venne il semaforo, che il vigile manovrava dall'angolo, mediante bottoni, e risparmiando così un faticoso lavoro, o con le luci a tempi di successione fissi. Oggi però in un numero sempre maggiore di città è entrato in scena il calcolatore, alimentato con dati della circolazione raccolti in reti stradali estese. Il traffico, vicino ma anche lontano, viene così osservato mediante radar, sensori magnetici e di pressione, dati che vengono immessi in un calcolatore che si avvale egualmente di dati memorizzati, per esempio la percentuale dei veicoli che volterà a destra od a sinistra ecc. Il calcolatore elabora il tutto e lo trasforma in schede temporizzatrici del semaforo. I vantaggi sono ovvii. Gli occhi del vigile non scrutano così lontano; anche se ì dati gli fossero comunicati, non risolverebbe certo le complesse equazioni che ne fissano le interdipendenze; infine, può essere stanco, distratto, ecc. L'esempio di Truxal si ar- resta qui; ma dovrebbe continuare per mostrarci il solito conducente che a Milano, Roma, Parigi, Londra, New York (ma non a Pechino o Berlino Est, ecc.) trova la circolazione congestionata, la strada intasata, i compagni innervositi, il parcheggio come miraggio; e magari il vigile ancora nell'angolo, per i casi di emergenza. Non è facile che sia disposto ad effettuare confronti: cioè con una circolazione senza il semaforo, senza la raccolta e l'elaborazione dei dati, o addirittura senza l'automobile e le sue prestazioni. Nella sua sorda irritazione se la prenderà con le automobili e le strade e la tecnologia e l'automazione e con la sua perla, appunto il calcolatore, tutte le diavolerie che ci sfornano i milioni di prodotti che inquinano tutto. Non si circola più! Questa è l'età dell'oro?! E' la crisi di un mito. Sul calcolatore, richiesto di «cose più grandi di lui», e sulla figura critica del programmatore, scriverò prossimamente. Silvio Ceccato cpSgU Terminale-video d'un elaboratore in uso negli ospedali per i dati clinici

Persone citate: Brzezinski

Luoghi citati: America, Berlino Est, Londra, Milano, New York, Parigi, Pechino, Roma