Vivere nella Casbah di Nicola Caracciolo

Vivere nella Casbah L'Algeria, dieci anni dopo l'indipendenza Vivere nella Casbah I tempi eroici della battaglia d'Algeri sembrano lontanissimi - I disoccupati forse sono metà della popolazione, il reddito medio non supera le 150 mila lire annue, gli analfabeti sono il 75 percento - Le vecchie strutture della società algerina saltano prima che sia costruito il nuovo telaio - Investimenti per il futuro (Nostro servizio particolare) Algeri. 22 novembre. Ilo visto hi Casbah, l'antico quartiere arabo d'Algeri, un decitilo di viuzze, di scalinate, di case bianche con in mezzo il cortile c i portici. Una folla filtissinia per strada, lutti cercano di vendere qualcosa, di guadagnarsi in qualche maniera la vita. Una vecchietta cabila, con i laluaggi azzurri sulla Ironie, allinea esattamente cinque uova e tre cipolle su una bancarella. E' sera; il digiuno del « Ramadan » è Milito e hi strada è piena dell'odore ili misere Fritture, misto a quello delle immondizie. Pioviggina, per tèrra c'è una fanghiglia formata di detriti d'ogni genere, residui delle bancarelle ambulanti. Migliaia di uomini, facce di contadini inurbali per la più parte, ciondolano in giro senza far nulla, Quanti sono i disoccupali ad Algeri? Metà della popolazione? Più della metà? L'ullicio statistiche di Algeri non funziona quando si cerea questo genere di cifre, come non funziona la nettezza urbana o l'assistenza ospedaliera. E' uno spettacolo che stringe il cuore: come è cambiata lu Casbah, dal quartiere che nel dicembre del 19fa0 insorse contro l'esercito francese senza armi, facendo sventolare a centinaia dalle lineslrc e dai balconi le bandiere verdi e bianche del l'In che invano, sparando a man salva sulla l'olla disarmala, i paracadutisti cercarono di far scomparire. Esodo dei coloni Non è che la miseria sia tanto aumentata da allora. In realtà sotto molli aspelli le cose vanno meglio, non ci sono torture e non ci sono massacri, ma ciò non loglic che in questi dieci anni le grandi speranze della rivoluzione si siano almeno in parie perse. E' un discorso questo che per non essere sentimentale va fatto sulle cifre e sui dati, peonomiei. Co; sa,è accaduto dell'economia algerina dopo l'indipendenza? La partenza dei coloni francesi, dei piai noirs, nel giro di pochi mesi dopo la firma del trattato di Evian nel '62 rischiò di paralizzare il Paese. L'esodo coinvolse tulli i quadri direnivi del Paese: funzionali, medici, ingegneri, avvocati, giudici, agronomi, insegnanti. Nella colonizzazione le parli erano rigidamente divise. I quadri dirigenti ed intermedi erano francesi, la mano d'opera non qualificata era invece algerina. Intendiamoci, la situazione era più complicata, le eccezioni erano non solo tollerale ma anche incoraggiate da un'amministrazione coloniale che desiderava, per poicr far mostra di spirito progressista, dimostrare negli alti ranghi dell'amministrazione c delle professioni liberali la presenza di qualche raro musulmano. Però la sostanza delle costerà quella che abbiamo descritta. Il governo nazionalista ha dovuto quindi — da principio con Ben Bella poi con Bumedien — come primo compito evitare il collasso della società algerina. 11 successo su questo terreno è stato indiscutibile. Lo Stato algerino esiste, l'ordine è assicuralo, le lasse bene o male vengono pagale, gli ullici governativi per la programmazione decidono le priorità negli investimenti. Le proprietà abbandonate dai francesi sono slate nazionalizzate e aliidate in gestione a comitali di lavoratori. Il sistema, tulio sommato, ha funzionato nell'agricoltura dove le terre dei grandi coloni di una volta — i Borgeaud, gli Schiallino — sono amministrate da cooperative. Per le industrie nazionalizzate l'esito è stato invece più incerto, tanto e vero che di gestione operaia nelle grandi società di Slato che controllano il settore degli idrocarburi, dell'acciaio, della petrolchimica oggi non si parla più. I tecnici andati via nei primi anni dopo la rivoluzione sono siali sostituiti da tecnici importati da lutto il mondo: ancora francesi, nel quadro degli accordi per la cooperazione, russi, americani, italiani, bulgari, tedeschi. Il governo di Bumedien gioca con decisione la caria dell'indipendenza nazionale e del neutralismo. Accenti aitili da tutti ed è riuscito — almeno l'inora — ad evitare di farsi condizionate politicamente da essi. II crollo è stalo evitato, cosi l'Algeria non si è trasformala nel Congo. Il che date le premesse è slato di per sé notevole. Occorre cioè tenere presente che l'esodo in massa dei coloni francesi non era desideralo dagli algerini, che ritenevano anzi la loro presenza indispen-sabile per far funzionare il Pae-ss se. E' stalo il' prodotto di un movimento di panico, al quale si è rimediato improvvisando. Dalla confusione dei primi anni dopo l'indipendenza cheli po di economia e venuto fuori? L'Algeria resta un Paese poverissimo. Il reddilo medio per abitante non lo conosce nessuno con esattezza, ma si aggira tra le centoventi e le centocinquantamila lire l'anno. L'analfabetismo è di circa il 75 per cento. La disoccupazione oscilla come s'è già detto tra il 50 e il 50 per cenlo della mano d'opera malgrado remigrazione di massa in Francia dove vivono circa cinqueccntomila operai algerini. A questo bisogna aggiungere quella che gli economisti francesi chiamarono a suo tempo la « demografia galopparne ». l'aumento cioè incontrollato e inconlrollebile della popolazione che raddoppia in media ogni vent'anni. La metropoli E un processo che è stalo a suo tempo descritto con eilicacia da antropologi francesi come Germaine Tillion o da sociologi come Bourdiem. Le strutture ancestrali della società algerina, i villaggi, i duars, le tribù, scoppiano prima che sia pruina l'intelaiatura di una nuova società. Algeri aveva quindici anni fa cinquecentomila abitanti, oggi sono forse due milioni. In maggioranza si tratta di veri e propri profughi scacciali dalla fame dai loro villaggi dove vivevano un'esi¬ stenza povera e primitiva certo, ma anche dignitosa e fiera, per trasformarsi nel sottoproletariato di una metropoli che non riesce a diventare moderna. E' questo — è legittimo chic- r, en c- I dersi — il torlo maggiore del governo di Bumedien? Può darsi. Il socialismo di Bumedien cede forse troppo alla tentazione tecnocratica: guarda cioè solo al futuro e alle cifre e ti scura gli algerini di oggi, l'arie dalla constatazione che in Algeria, negli immensi deserti sahariani dell'interno soprattutto, ci sono risorse minerarie imponenti: petrolio, melano, ferro. La scelta Si p.unta quindi sull'industria pesante moderna anzi ti Ira-moderna. A bona funziona un'acciaieria che dovrà nel 1980 produrre due milioni di lonne lale d'acciaio. Ad Arzcw ci sarà il più grande impianto per la liquefazione del melano d mondo. Si preparano colossali complessi petrolchimici. Il problema è che questo tipo d'indusuie assorbe pochissima mano d'opera. Gli algerini non corrono il rischio di ripetere gli errori già commessi da noi nel Sud? Di costruire cioè anche loro delle « cattedrali nel deserto o? Il piano prevede che il setlore industriale assorba ogni anno 2b5 mila nuovi lavoratori. Il che non basta probabilmente nemmeno, dato il crescere della popolazione, a impedire l'aumentò dei disoccupati. Intendiamo, l'equipe di Bumedien è onesta ed è indubbiamente a modo suo efficiente. Il denaro pubblico non viene sperperato in spese di puro prestigio, il livello di.vita dei capi è modesto, il loro patriottismo indiscutibile. Nelle ultime seminane hanno ottenuto nei confronti della Francia un grande successo, firmando i nuovi accordi petroliferi che danno all'Algeria il controllo sui giticimonti del Sahara. Ciò non toglie che. con una scella deliberata, si è stabilito di sacrificare questa generazione e l'orse anche la prossima alla prosperità dell'Algeria del Duemila. E' stala una scella saggia? E' siala una scelta giusta? Nelle campagne algerine, nei quartieri poveri delle citià c'è mollo malcontento e basterebbe poco a trasformare questo malcontento in disperazione. Il panorama politico algerino è calmo in questo periodo, il che non signilcti che sia slabile. Nicola Caracciolo I dgscnlsiAstps

Persone citate: Germaine Tillion, Milito