Le minoranze dell'"erba" di Gianfranco Piazzesi

Le minoranze dell'"erba" PER L'AMERICA E UNA GRANDE MINACCIA COLLETTIVA Le minoranze dell'"erba" Negli Stati Uniti fumano la marijuana otto milioni di persone, il gruppo più importante dopo i negri - Rivendicano, con argomenti assai discutibili, la sua funzione culturale e liberatoria, chiedono che venga tollerata come l'alcool e il tabacco - Sembra in verità la meno pericolosa delle droghe, anche perché non produce assuefazione - Mancano però studi approfonditi sull'«erba»4: certo apre quasi sempre la strada a esperienze più distruttive (Dal nostro inviato speciale) New York, novembre. I fumatori di marijuana, che sono ormai otto milioni, costituiscono dopo i negri il più importante gruppo di minoranza americano. Al pari dei negri, anche loro.si sentono discriminati e sono decisi a combattere per la piena integrazione delle sigarette preferite nella bottega del tabaccaio. Tutti rivendicano la fun-' zione « culturale » e « liberatoria » di questa droga e sostengono che il governo ne proibisce la legalizzazione con dei pretesti. I più risoluti affermano che la marijuana e /'hashish sono innocui, gli altri dicono che in ogni caso l'« erba » è assai meno pericolosa dell'alcool e del tabacco e che Nixon deve decidere: o ha il coraggio di imporre un proibizionismo integrale, o concede alle giovani generazioni la forma di stordimento e di evasione che più preferiscono. Gli avversari replicano con uguale energia, sostenendo che l'« erba » è nociva di per sé e rappresenta comunque il primo passo verso l'uso di droghe più potenti. L'America è divisa, anche se in parti disuguali. Una rivista specializzata ha interpellato ventisettemila medici: il 14,2 per cento si sono espressi per la legalizzazione, e gli altri si sono detti contrari. Le opinioni dei loro clienti non sono troppo discordi. Un sondaggio Gallup ha rivelato che l'ottantadue per cento degli americani sono contro la droga e che il 18 per cento o la usano o almeno sono disposti a tollerarla. La marijuana fumata negli Stati Uniti, e che proviene dalla canapa coltivata nel Messico, ha effetti assai più blandi di quella usata in Europa ed è in ogni caso assai meno pericolosa di tutti gli altri stupefacenti. A differenza dell'eroinomane, il fumatore d'« erba » non resta schiavo della sua abitudine: può interrompere quando lo desidera senza avvertire nessuno stimolo o malessere. Al contrario dell'eroina o delle anfetamine, l'« erba » non produce assuefazione: per essere high, per raggiungere l'estasi, non è necessario prendere ogni volta dosi sempre più forti. Anzi assistiamo al fenomeno inverso: più uno fuma, minore è la quantità di droga che gli occorre per inebriarsi. Chi usa le anfetamine si sentirà terribilmente depresso dopo l'iniziale euforia, invece il fumatore d'« erba » avvertirà, anche dopo l'intossicazione, un senso di piacevole stordimento. Gli "incidenti" Se si esagera con le dosi e il sistema nervoso è debole, meglio accontentarsi delle comuni sigarette; ma i casi di squilibrio mentale, così frequenti in chi adopera l'LSD, non si verificano spesso. I cosiddetti « incidenti di viaggio a non superano l'uno per cento. Per i cultori dell'estasi questi dati, accetti alla maggioranza degli esperti, basta¬ no a provare che è insensato proibire la vendita delle sigarette all'« erba » nelle tabaccherie. Gli avversari replicano con un solo argomento, che però è importante. Anche cinque anni fa l'acido lisergico sembrava innocuo e soltanto studi più approfonditi ne rivelarono il pericolo. Oggi sugli effetti della marijuana non si sa ancora nulla di preciso. La sostanza eccitante contenuta nella canapa è stata isolata e prodotta in laboratorio da due anni e solo da allora sono incominciati i primi studi seri. Per il momento Julius Axelrod, Premio Nobel, che è lo studioso più autorevole fra quelli che conducono questo genere di ricerche, si mantiene prudente. «L'uso della marijuana — ha detto Axelrod — può essere pericoloso almeno per qualcuno, comunque finora non possiamo dir nulla. A tutt'oggi l'uso di questa droga rappresenta un rischio per la salute fìsica e mentale ». Le incognite Il dottor Stanley Yolles, capo dell'Istituto nazionale per l'igiene della mente, ha proposto una pausa di riflessione: « Non "resta che attendere l'esito di studi più approfonditi. Se io domani mi rendessi conto che il venti per cento della nostra società diventerebbe soggetto a gravi disturbi psichici in seguito all'uso di questa droga, sarei decisamente contrario alla legalizzazione. Se invece scopriremo che solo l'uno per cento corre questo pericolo, allora sarei per la legalizzazione della marijuana. Non ci sarebbe alcun senso a proibirla ». La discussione si fa anco¬ ra più accesa quando si affronta la seconda incognita, quando si deve stabilire, cioè, se la marijuana rappresenta o no il primo passo verso l'uso di altre droghe, più forti e sicuramente pericolose. Le statistiche rivelano che quasi tutti i consumatori di eroina e di acido lisergico hanno incominciato con qualche innocua sigaretta all'it erba », ma i cultori dell'estasi sostengono che, se non si prova l'esistenza di un rapporto di causa ed effetto, le statistiche non significano niente. Il professor Grinspoon, lo psichiatra di Harvard, esclama: « Ammettiamo pure che tutti gli eroinomani abbiano fumato prima marijuana. E che vuol dire? Tutti hanno anche bevuto qualche bottiglia di coca cola ». Le tentazioni Per gli altri il problema non è così semplice. La marijuana, quando viene adoperata in forti dosi, diventa un allucinogeno: il fumatore fa il suo bravo « viaggio », seppure in miniatura. Se ci prova piacere, può essere tentato a compiere qualche escursione più movimentata, con la mescalina o con l'LSD, per passare successivamente alle più devastanti esperienze farmacologiche. A sostegno di questa tesi, l'Istituto nazionale per l'igiene della mente ha pubblicato i risultati di un'inchiesta condotta in tutti i colleges universitari degli Stati Uniti. Ne è risultato che solo il venti per cento dei fumatori occasionali hanno voluto provare anche droghe più forti, ma che il cento per cento di coloro che ogni giorno fumano « erba » usano anche la mescalina e l'LSD. Il partito dei fumatori si sente perseguitato, e trova ormai autorevoli avvocati disposti a sostenere la loro causa. Il profèssor John Kaplan, insegnante all'università Stanford, ha scritto un libro per dimostrare che le leggi contro la marijuana sono assurde- perché impossibili da mettere in pratica, perché portano i giovani a sentirsi almeno tecnicamente dei criminali, perché diffondono il disprezzo per le istituzioni ed aumentano le incomprensioni già esistenti fra padri e figli. « Ma che argomenti sono questi — ha detto John Ingersoll. il capo dell'ufficio federale per la lotta contro ì narcotici —. Sono milioni anche gli americani che guidano troppo forte l'automobile sulle autostrade. E per questo dovremmo abolire il limite di velocità? ». Fino a qualche mese fa le leggi sulla marijuana erano certamente assurde e in Georgia chi veniva sorpreso mentre offriva a un giovane una sigaretta all'« erba » riceveva venticinque anni di carcere. Per la seconda infrazione era prevista la condanna a morte. Ora si è assunto, dovunque, un atteggiamento più flessibile: sono diminuite le pene per i fumatori e aumentate quelle per gli spacciatori. Ma una distinzione fra le due categorie ormai è praticamente impossibile. Al contrario dell'eroina. Vii erba » non è importata e distribuita da «Cosa Nostra», bensì dall'esercito della «controcultura». Migliaia di giovani si recano nel Messico, si riforniscono quanto basta per i loro bisogni e cedono il resto ad amici e conoscenti, realizzandoci un guadagno del venti o del trenta per cento. Se la polizia dovesse arrestare tutti gli spacciatori, non basterebbero le carceri. Per ora si è giunti a un compromesso, che forse è il solo possibile: le leggi restano ma non vengono applicate. Tuttavia questa soluzione non accontenta nessuno: né i fautori del proibizionismo né i suoi avversari. Ed è una soluzione che si presta a qualunque abuso. Se un poliziotto vuole arrestare un radicale pericoloso non ha che da pedinarlo per qualche giorno: finirà sempre per sorprenderlo mentre si confeziona una sigaretta alla droga. Anche i sociologi intervengono nel dibattito, ma non contribuiscono a risolverlo. Qualcuno sostiene che il secondo protezionismo americano è ancora più subdolo e ipocrita del primo. Furono i protestanti della campagna a proibire l'alcool per vendicarsi dei cattolici della metropoli e del loro spensierato sistema di vita; ora è la maggioranza silenziosa, arcigna e bigotta, che è urtata dal fresco edonismo dei giovani... Sull'opposto versante Eugene Rossides, sottosegretario al Tesoro, tuona, con non minore veemenza: « Se in un momento di follia decidessimo di legalizzare la marijuana, noi toglieremmo forza ed energia all'intera nazione. La legalizzazione di questa droga priverebbe la nostra gioventù di ogni carica di dinamismo e di ambizioni. Io penso che gli Stati Uniti diverrebbero una nazione di seconda categoria ». Paradossalmente Charles Reich, il profeta della controcultura, è dello stesso avviso. Per lui « la marijuana porta l'uomo al di fuori del sistema, lo libera dal dominio dei suoi pensieri e rende irreale ciò che la società prende maggiormente sul serio: il tempo, gli orari, le comunicazioni razionali, la competizione, l'iniziativa, l'eccellenza, l'autorità, la proprietà privata, la legge... ». Tragico e fatuo Un osservatore straniero finisce per rivolgersi qualche domanda. Nessuno può confermare, ma nemmeno escludere, che la marijuana rappresenti un pericolo per la salute. Perché non aspettare, allora, che si pronuncino i medici più seri? E' proprio vero che questa droga e tutte le altre assicurino l'espansione della coscienza, dal momento che la produzione letteraria e saggistica dei leaders della controcultura non sembra per ora dimostrarlo? E' proprio necessario scegliere la droga come il simbolo dell'America pacifista contro l'America bigotta e conservatrice? E per quali motivi la marijuana, e spesso non soltanto quella, deve rappresentare per un rivoluzionario qualcosa di più importante dello stesso esplosivo? Per quanti sforzi abbia fatto, chi scrìve non ha saputo scorgere in questo modo di pensare una coerenza intellettuale e morale; non è riuscito a capire un mondo che gli è sembrato, assieme, tragico e fatuo. Gianfranco Piazzesi e a a . n n u e f