Il "colpo,, thailandese di Renzo Carnevali

Il "colpo,, thailandese AJNALISI Il "colpo,, thailandese (Saltate le apparenze democratiche, resta l'incognita: che cosa fare di fronte alla Cina?) Il maresciallo Kittikachorn, autore del colpo di Stato a Bangkok, assicura che «la monarchia resta al di sopra delle contingenze politiche», e ciò garantisce che il sorriso dolce e un po' misterioso d'una bellissima regina continuerà a diffondere nel mondo un'immagine idillica della Thailandia. In questo paese la monarchia sembra dunque sopravvivere ad ogni sconvolgimento, assai più continua del sistema costituzionale che i militari imposero al regno siamese nel 1932, dandogli poi un'alternanza di finzioni democratiche e di despotismo illuminato. Ora, dopo due anni di regime parlamentare basato sulla nuova Costituzione approvata dagli stessi militari l'anno avanti, questa è abrogata, il Parlamento è sciolto, ed una giunta di ufficiali (che si definisce, secondo una certa moda, «consiglio rivoluzionario»), governa incontrastata. Questo rivolgimento ha cause esterne, quali la crisi indocinese da cui la Thailandia non può restare estranea, e cause interne, quali l'imprevisto contrasto tra una giovane Camera che si voleva docile e il governo del maresciallo Kittikachorn che l'aveva creata. Questo contrasto è l'aspetto più interessante della vicenda. Il Parlamento, nelle intenzioni del maresciallo, doveva chiudere definitivamente l'epoca delle dittature militari. Composto per il cinquanta per cento di suoi seguaci (115 su 219), militanti nel Partito popolare unito della Thailandia da lui fondato, esso non avrebbe dovuto contrastare l'indirizzo del governo di cui era emanazione. Kittikachorn prevedeva di ritirarsi l'anno prossimo, ritenendo d'aver compiuto l'opera beri difficile di conciliare la dittatura con il sistema rappresentativo. Gli eventi degli ultimi mesi dimostrano ancora una volta che un regime parlamentare, benché artificioso come quello thailandese, può sempre riservare sorprese. Nelle scorse settimane esso aveva incoraggiato i cauti approcci del ministro degli Esteri Thanat Khoman verso Pechino, e infine, pochi giorni fa ha respinto il bilancio finanziario presentato dal governo. Il colpo di Stato ha risolto il conflitto nei modi tradizionali (non solo per la Thailandia) dell'ultimo quarantennio. Rimangono tuttavia i problemi, recenti ma gravi, che sfatano improvvisamente il mito di un paese senza contestazione. La guerra d'Indocina, in cui la Thailandia è coinvolta più o meno direttamente (partecipò l'anno scorso all'invasione del Cambogia), assume effetti e vicinanze inquietanti con il ritiro sempre più sostanzioso degli americani dal Vietnam. L'impegno degli Stati Uniti di non combattere più in Cambogia sposta in questo paese il centro dell'offensiva vietcong, avvicinandolo alle frontiere thailandesi. Tale realtà è confermata dal crescendo delle infiltrazioni comuniste nelle regioni di confine, la cui guerriglia si collega con quella delle minoranze meos nel Nord del paese e di quelle malesi nel Sud. Inoltre, sono temuti anche gli effetti economici del ritiro americano dall'Indocina, che riduce il flusso di valuta portata dalle truppe statunitensi e mette in crisi l'economia di una grande e moderna città qual è Bangkok (quasi tre milioni di abitanti, in un paese di 36), foggiata dall'industria dei militari di passaggio. Ma soprattutto è il nuovo equilibrio politico in Asia, prospettato dall'ingresso della Cina all'Onu e dal viaggio di Nixon a Pechino, che sconvolge la presuntuosa serenità di ieri. La Thailandia, ciecamente fedele agli Stati Uniti, si è sorpresa inerte e sorpassata. Ora è sgomenta di dover ospitare i delegati cinocomunisti della commissione economica dell'Onu per l'Asia. Il Parlamento esprimeva dunque l'urgenza di una politica estera meno invertebrata, adeguata ai tempi. E' stato sciolto. Non sappiamo quale politica sceglierà la nuova dittatura. Renzo Carnevali

Persone citate: Nixon, Thanat Khoman