Giocare alle previsioni di Vittorio Gorresio

Giocare alle previsioni COME SI FA UN PRESIDENTE: LA CORSA AL QUIRINALE Giocare alle previsioni I dialoghetti di stagione offrono notizie interessanti, argomenti maligni e capziosi, ma nessuna certezza - Si fa rilevare che Moro alle ultime elezioni ottenne trecentomila preferenze; ma questa volta, a votare, sono i grandi elettori -1 comunisti chiedono un candidato avverso all'autoritarismo, ma sui nomi parlano come la sibilla - E che ne pensano, poi, Breznev e Nixon? Roma, novembre. Dialoghetti sulle materie correnti nella stagione autunno-inverno 1971: « Direi che Moro perde terreno ». « No, ne guadagna ». « Ma non piace a nessuno, è incomprensibile e impopolare ». « Che? Nella sua circoscrizione Bari-Foggia il 19 maggio 1968 ha raccolto più voti lui che ogni altro eletto». Egli raggiunse infatti allora il record nazionale di 293 mila 167 preferenze, mentre Fanfani tra Siena e Arezzo ne metteva insieme 41 mila 385. anche meno di guarite ne avesse avute nelle precedenti elezioni del '53. '58 e '63. Si aggiungano pure i 33 mila 111 voti ottenuti da Fanfani nel suo collegio senatoriale di Arezzo; la somma non arriva a 75 mila, appena un quarto, circa, del totale di Moro. Ma si tratta soltanto di voti popolari, non di quei bei voti presidenziali solidi che si ricevono dai grandi elettori delegati da partiti, gruppi parlamentari, enti di Stato, parastato e privati. Chiesa cattolica, ambasciate straniere e consigli delle Regio¬ ni. Se al Quirinale si arri 111111111111 il i n i il 111 « n 11 il 1111111 il 11 li li i li 1111111 i L'asse sull'onda del suffragio universale diretto, i rilevamenti statistici che emergono dai dialoghetti correnti potrebbero forse — e nemmeno è sicuro — avere un senso; ma, considerato il sistema assembleare vigente, il discorso è diverso: « I comunisti, quando la de presenterà Fanfani su un vassoio d'argento, accetteranno zitti e mosca ». « Ma Moro è un uomo di sinistra: e comunisti e socialisti come faranno a non votarlo, anzi a votare il suo rivale che è di destra? ». Antemarcia Domande simili, però, appaiono affette da quel morbo moralistico-deontologico nei riguardi del quale la politica è immunizzata da quando esiste. Anche i «big» del pei prendono infatti le loro distanze, a cominciare da Giorgio Amendola che pure è un antifanfaniano antemarcia sul Quirinale. Parlando con Gianni Corbi dell'Espresso (3 ottobre 1971) Amendola riconosceva che Moro, avendo sempre affermato « l'esigenza di mantenere operante per la de l'alleanza con il psi », si oppone per ciò stesso ad uno spostamento a destra della politica italiana. Tuttavia Amendola aggiungeva che, « nell'immediato », Moro si limita a chiedere la continuazione di quel Centro Sinistra che « anche per le responsabilità dei governi da lui diretti, si è dimostrato incapace di avviare una politica di riforme. Né occorre ricordare — egli insinuava — quello che nettamente ci distingue dalle posizioni politiche dell'onorevole Moro». Siamo all'ibis redibis delle vecchie sibille. Disse difatti inoltre Amendola: « Se le sinistre democristiane manterranno salde le loro posizioni, come dimostrano di voler fare, il tentativo di spostamento a destra non passerà ». Questo potrebbe significare — mi è stato detto in buoni ambienti — che per avere i voti comunisti « Moro dovrebbe sottolineare il suo ruolo di leader della sinistra de ». Ma cosi siamo ancora alle confidenze di corridoio, dato che il pubblico linguaggio sempre invece divaga fra l'impreciso e il reticente. Parlando al comitato centrale del partito comunista e alla tv (1115 novembre 1971), Enrico Berlinguer non ha difatti detto nulla a proposito di sinistra o spostamento a destra: ha solo escluso che il Presidente sia eletto con i voti fascisti, poiché dev'essere fedele ai principi ispiratori della Costituzione e capace di dare « affidamento di esercitare le sue funzioni senza travalicare i limiti delle prerogative del Presi¬ dente di una Repubblica che non è presidenziale, ma parlamentare ». Ciò significa poco, visto che tutti i candidati possibili sono fin d'ora pronti a dare « affidamenti » di questo genere (anzi Fanfani ne ha già dati per il primo, immaginando fórse di essere in sospetto a qualcuno), sicché nelle parole di Berlinguer non sono da vedere preclusioni per chicchessia. Però c'è il presidente del gruppo comunista della Camera, onorevole Pietro Ingrao. fanfaniano nel 1964. che questa volta sembra opporsi a Fanfani. Il 14 novembre, in comitato centrale, egli ha avuto parole di condanna severa « per l'attacco da destra, per il presidenzialismo, per la ricerca dell'uomo forte che arbitrerebbe le lotte ridotte a fatto corporativo e darebbe quindi spazio non solo ai gruppi apertamente fascisti, ma anche all'integralismo democristiano ». Ci potrebbe allora essere spazio per Moro; ma l'omologo di Ingrao, e cioè il presidente del gruppo comunista del Senato, onorevole Umberto Terracini, dissente: a capo dello Stato egli vorrebbe un socialista. Terracini difatti, pure attestando di non « cadere nella banalità della contrapposizione del laico al cattolico », il 13 novembre sostenne in comitato centrale che « la situazione e i rapporti di forze permettono di dichiararsi espressamente per una candidatura socialista, che costituirebbe una manifestazione concreta e comprensibile verso i cosiddetti equilibri più avanzati ». Quando si parla di equilibri più avanzati si allude al vicepresidente del Consiglio Francesco De Martino. 11 quale passa per l'inventore di simile difficile formula statica-motoria. Terracini, del resto, insiste molto sulla convenienza di un socialista a Presidente della Repubblica, anche per « l'unità delle masse popolari i». Incontro segreto Però le sole masse che interessano a Berlinguer — in aggiunta alle masse comuniste — pare che siano quelle cattoliche, ed egli pur di averle amiche sembra propenso al barattare, fra socialisti e integralisti. Quirinale e divorzio. Ci sarebbe anzi stato (cfr. Il Manifesto del 12 novembre) un incontro segreto di Berlinguer con Forlani. ed il vicario del pei avrebbe detto nell'occasione al segretario della de: « Sgombrate il campo dal referendum e i comunisti non faranno a Fanfani una opposizione pregiudiziale ». Quattro eminenti comunisti, quattro opinioni diverse; e, stando a quella molto autorevole di Berlinguer, Moro sarebbe sfavorito, perché — di suo — egli non può sicuramente sgombrare il campo dal referendum, non essendo il padrone della Chiesa. Poi, fra i cattolici integralisti ha molto meno credito di Fanfani, né può menare vanto presso Berlinguer di essere l'uomo del Vaticano. E\ ridotto a cercarsi altre carte eventuali. Potrebbe, per esempio, ricordare il discorso che fece il 22 luglio '71 nella riunione della propria corrente morotea: « Il pei — disse allora fra l'altro — ha dimostrato un notevole senso di responsabilità verso il Paese perché non ha giocato un ruolo di rottura, non ha mirato a coprire e a riempire il vuoto prodottosi tra le forze sociali e le forze politiche con un'azione distruttiva. Di ciò gli va dato atto ». Il vero pericolo Anche un altro passaggio in quel discorso avrebbe potuto essere apprezzato dal pei: quello in cui Moro aveva affermato che « nel Paese esiste, latente, una destra tracotante che è senza dubbio più potente di quella che risulta dai voti manifesti, mentre non esiste, oggi, un reale pericolo a sinistra ». Se non sono questi gli « affidamenti » che il pei richiede a un Presidente della Repubblica, bisogna ammettere che Berlinguer parla tanto per dire una cosa, ma pensandone un'altre: referendum invece di Costituzione, o Concordato anziché lotta antifascista. Può anche darsi che giochi in tutto questo l'asserita preferenza di Mosca per Fanfani, dalla quale il pei potrebbe trovarsi condizionato nelle scelte ed è per questo che dei dialoghetti di stagione metterà conto citare le battute ascoltate da Enrico Nassi il 13 settembre a Grottaferrata durante un convegno della sinistra democristiana di "Base": « Non è vero che i sovietici siano per Fanfani e basta. Si interessano anche a Moro ». « E' falso ». « Mica chiacchiere, questo è un documento ». Il documento, secondo quanto Nassi pubblicò nel settimanale milanese Tempo del 21 settembre, era il riassunto di un articolo della rivista moscovita Mezhdunarodnajrt Zhizn (Vita Internazionale), colmo di lodi per il nostro ministro degli Esteri. « E' autentico o è una trappola? » qualcuno domandò a Grattai errata. « Chi non ci crede può telefonare all'ufficio romano dell'agenzia Novosti chiedendo di Ghena Bautdinov ». « Numero di te lefono? ». « 85.72.04, via Clitunno 34 ». Ci fu qualcuno che telefonò ed ebbe una conferma tale da far lievitare le speranze dei basisti che puntano su Moro (ce ne sono, perché la corrente di "Base" è divisa in sottocorrenti superficiali). Ma un solo articolo della Vita Internazionale, anche se rilanciato dall'agenzia Novosti, non è che una piccola pezza d'appoggio — si può osservare a confronto delle carte che i fanfaniani dicono che avrebbe a Mosca il loro leader: un uomo definito di destra in Italia, ma conside¬ rato ncll'Urss un vero amico dei sovietici. Anche Moro. però, conosce il gioco dei piazzamenti. In Italia è qualificato uomo di sinistra, anzi è vituperato perché « soffietta cosi indecorosamente i comunisti, lustrando loro le scarpe con abbondanti razioni di Brill, lisciando per il verso del pelo il pei » (cfr. « La parola del titano », su II Tempo di Roma del 7 agosto 1971). Ciononostante, grazie a un bel gioco di piazzamenti, in America Moro è ammirato da Nixon. Alla Casa Bianca Aldo Moro era a Washington lo scorso 11 ottobre. Ebbe un lungo colloquio a quattr'occhi con Nixon, il quale poi lo accompagnò dalla « sala ovale » nel « giardino delle rose » della Casa Bianca. Vi si trovava una delegazione dell'Ordine dei figli d'Italia, con a capo il gran venerabile Americo Cortese, che al Presidente americano offri una bella statuetta commemorativa di Cristoforo Colombo, essendo quel giorno la vigilia della festa del « Columbus Day ». Nixon si disse molto riconoscente: « La mia gratitudine — specificò — prende oggi un tono del tutto particolare, data la presenza qui di un grande statista, di statura non soltanto italiana ma anche mondiale, un uomo che ha percorso con successo l'ampio arco della vita politica e che ha ancora davanti a sé un grande futuro». Giunta notizia di quello che poteva apparire un diploma presidenziale conferito da Nixon a Moro, tutti i fanfaniani d'Italia provarono paura. Difatti quelle belle parole di Nixon, citate nel telegiornale delle ore 20,30, furono censurate — soppresse vale a dire — nella susseguente edizione delle ore 23. Non si sa mai: se repetita juvant, si poteva temere che i grandi elettori del Presidente della Repubblica italiana se ne lasciassero suggestionare. Vittorio Gorresio (I precedenti articoli dell'inchiesta sono apparsi il 24, 28, 31 ottobre, 5, 7 e 14 novembre). Roma. Il ministro degli Esteri Aldo Moro fa gli onori di casa nel corso d'un ricevimento alla Farnesina (Foto Team)