I due marxisti sudamericani di Arrigo Levi

I due marxisti sudamericani L'INCONTRO IN CILE TRA FTOEL CASTRO ED ALLENDE I due marxisti sudamericani Fidel ha vent'anni meno del suo ospite, ma sembra più vecchio e fuori moda: il romanticismo castrista ha perduto credito nel continente - La visita in Cile può servirgli per uscire dall'isolamento; ma sembra ancor più utile ad Allende, come «copertura a sinistra» contro gli estremisti - Diviso tra promesse contrastanti, il Presidente non sa ancora dove lo porterà la « via cilena » al socialismo: per ora tenta un'ambigua riforma costituzionale Roma, novembre. Fra Salvador Allende e Fidei Castro la differenza d'età è grande, quasi vent'anni; il presidente cileno è nato nel 1908, il leader cubano nel 1927. Strade diverse e, imprevedibili hanno condotto i due soli governanti marxisti dell'America Latina al loro incontro di questi giorni. Quando Allende fu eletto per la prima volta deputato socialista al parlamento di Santiago de Chile, nel 1937, Fidel aveva dieci anni e studiava dai gesuiti, a Santiago de Cuba. Allende era già ministro nel 1939 e candidato presidenziale nel 1952. Nel 1953 nell'America Latina, si parlò per la prima volta di Fidel Castro, per il fallito assalto alla caserma Moncada, per la sua cattura e condanna a 15 anni di carcere: come uomo politico sembrava finito prima di cominciare. Ma da quel momento la ruota della fortuna si mise a girare lentamente per Allende, tre volte sconfitto in elezioni presidenziali, e velocemente per Castro. Presto amnistiato, poi esule e guerrigliero, Fidel aveva solo 32 anni quando prese il potere a Cuba, dopo avere sconfitto e costretto alla fuga il dittatore Batista, nel gennaio del 1959. Allende aveva 62 anni quando vinse, al quarto tentativo, con il 36,3 per cento del voto popolare, le elezioni presidenziali cilene del 1970. Reciproco aiuto Ora sono a confronto due uomini diversi e due « vie » diverse al socialismo: ciò che fa incontrare Allende e Castro è forse, soprattutto, ii bisogno di sostenersi reciprocamente. Fidel è stato un mito del nostro tempo, e il castrismo una delle grandi forze politiche nell'America Latina e nel mondo. Ma già da qualche anno non è più così; la forza di penetrazione del castrismo al di fuori di Cuba, dopo l'avventura sfortunata e la morte di Guevara, si è quasi spenta. Il romanticismo rivoluzionario di Fidel, divenuto comunismo e dittatura violenta, ha ridotto la sua portata entro i ristretti confini nazionali. E nella stessa Cuba Fidel ha dovuto fare una amara autocritica, dopo il fallimento della « zafra dei dieci milioni ». Il castrismo non ha ancora scoperto la via per uscire dal sottosviluppo, meno ancora- quella del socialismo; il regime cubano forse non vivrebbe senza l'aiuto, massiccio e condizionante, della Russia sovietica. Per riconquistarsi spazio politico, Fidel deve farsi nuovamente accettare dall'America Latina: per questo il riconoscimento del Cile di Allende, ed ora il viaggio a Santiago, possono segnare nuovi pun¬ ti di partenza per Fidel: con ambizioni forse meno grandiose che in passato, e con minore fretta, ma con maggiori prospettive a lungo termine di azione politica su scala continentale. Una sola Camera Per Salvador Allende, dopo un anno di presidenza, il nome di Fidel può rappresentare una preziosa « copertura a sinistra » nei confronti degli estremisti rivoluzionari del Mir, che accusano il governo di non essere abbastanza audace. Castro può anche suscitare nuovi entusiasmi popolari, utili nel momento in cui democristiani e nazionalisti, tenaci difensori delle libertà tradizionali, accusano il « companero Presidente » di preparare, attraverso la progettata sostituzione del Par¬ lamento bicamerale con una « Assemblea del popolo », una dittatura populista. Bastano queste ragioni a spiegare l'incontro, anche se è facile indicare grandi diversità fra Allende e Castro. « El chicho » Allende è un uomo raffinato ed elegante, un tipico rappresentante dell'alta borghesia cilena (i tassisti di Santiago amano narrare le sue passate avventure galanti). Come politico, Allende è cresciuto all'interno del più solido sistema parlamentare della America Latina e ad esso si è sempre dichiarato fedele, benché debba ancora dimostrare come conciliare praticamente « libertad y revolución ». Anche Fidel è borghese di origine, figlio di un ricco piantatore di zucchero ed avvocato (Allende è medico). Egli nega, agli inizi, di essere comunista e a l a ì o o annuncia di volere ristabilire a Cuba tutte le libertà democratiche; ma presto si converte alla dittatura, al marxismo e al comunismo, in una versione che non è così lontana da quella sovietica da impedirgli di conservare l'appoggio di Mosca. Allende e stato per molti anni vicino ai riformisti radicali latino-americani (Haya De La Torre, Betancourt, Figueres) che Castro ha condannato; e ha detto più volte, prima e dopo la vittoria nelle elezioni del 1970, che la « via cilena al socialismo » non sarebbe stata quella cubana. Tuttavia Allende non ha. mai nascosto le sue simpatie per Fidel, e si proclama anch'egli marxista rivoluzionario. Dice di non volere usare la forza, ma minaccia di rispondere alla « violenza reazionaria » con la « violenza rivoluzionaria»: nessuno ignora che, durante , le difficili giornate della presa del potere a Santiago, gli uomini della sua guardia del corpo erano tutti giovani « miristas ». Il terreno d'incontro fra Allende e Castro è quella zona oscura e mal definita della vita politica, in cui germogliano gli imprevisti storici. Nessun altro continente è ad essi propizio quanto l'America Latina, più che mai inquieta e confusa circa il suo destino. E' un continente fatto di venti nazioni che coprono l'intero spettro ideologico del mondo d'oggi, dall'estremismo di destra a quello di sinistra, con in mezzo tutte le sfumature possibili. In nessun altro continente paesi così diversi hanno, tuttavia, un così cospicuo patrimonio culturale comune; è in nessun altro correnti politiche e ideologiche così remote si intrecciano in maniera così complicata e sottile. Ad Est del Cile, il regime militare argentino allaccia un dialogo con il risorto populismo peronista;- a Nord del Cile, il Perù offre una nuova versione di militarismo nazionalista di sinistra. Intanto recede nell'America Latina l'influenza statunitense, sull'onda del riflusso neoisolazionista, mentre Cina e Russia sono troppo remote per avere altro che un'influenza marginale. In questa situazione i governanti latinoamericani, anche i più diversi, hanno l'aria di ricercarsi vicendevolmente, come per aiutarsi a trovare la via più agevole per uscire dal sottosviluppo, per balzare dal feudalesimo al socialismo, o almeno all'industrializzazione. In quest'America Latina, la figura di Allende ha conquistato presto un cospicuo prestigio; nello stesso quadro, anche la figura declinante di Castro può trovare nuovo spazio per rientrare nel giuoco politico continentale. La nuova strada Curiosamente, fra questi due uomini politici, il più giovane appare più spento e più vecchio; il più anziano offre al continente un'ideologia « nuova », e suscita quindi maggiore interesse. Appena pochi anni fa, Castro era un eroe e Allende un politico semifallito, prossimo al tramonto. Oggi tutto sembra datato e fuori moda in Fidel, a cominciare dalla barba e dal battle- dress fino alle idee politiche. L'abile parlamentare sessantatreenne di Santiago è invece lanciatìssimo, manovra intelligenterpente fra generali-presidenti e presidentigenerali, rifiuta insistentemente di voler fare proseliti fuori del Cile, ma ha assai maggiori probabilità di trovare imitatori. L'esperimento castrista appare pressoché esaurito; quello attendista è appena agli inizi e conserva ancora intatte le sue potenzialità, anche se egualmente intatti rimangono i pericoli e gli ostacoli sulla « via cilena al socialismo ». Segni negativi La verità è che finora Allende ha fatto poco più che del riformismo avanzato, sulla via di Frei. Ma la difficile formula « libertà democratiche più rivoluzione socialista » è ancora tutta da sperimentare. La popolarità del Presidente, prima cresciuta, accenna a diminuire; la crisi economica, più che sventata, sembra essere soltanto rinviata. In vista della difficile battaglia per la riforma costituzionale ('«Vogliamo democratizzare il parlamento », ha detto Allende con formula ambigua), e poi delle elezioni del 1973, il «companero Presidente » può essere tentato di usare con crescente durezza le leve del potere, che minacciano l'effettiva indipendenza della stampa e dei partiti d'opposizione; può vedersi quasi obbligato a estendere ancora l'intervento statale nell'economia; e può essere spinto ad azioni radicali dall'impazienza degli estremisti di sinistra che lo sostengono, ma in parte lo condizionano. Anche se l'intelligenza tattica di Allende è grande, da questa situazione potrebbe scaturire un confronto aperto e violento tra le forze politiche contrapposte; e l'esercito è ancora intatto nei suoi poteri di guardiano dell'ordine e delle libertà tradizionali. Tutte le incognite di un anno fa, insomma, sembrano ancora presenti. Fidel Castro, che consigliò al neopresidente Allende di non uscire dal sistema americano (riconoscendo così il suo passato errore), può, con la sua visita in Cile e con la sua fluviale eloquenza, contribuire a risolvere alcune delle contraddizioni politiche in cui si ritrova Allende; difficilmente è in grado di suggerirgli una facile soluzione dell'appassionante, ma complesso problema politico che è la proposta di « via cilena al socialismo ». Anzi, la presenza di Castro rischia di esasperare i timori, e di rafforzare quindi la resistenza ad Allende, da parte delle forze politiche che fin dal principio hanno temuto la « degenerazione cubana» del movimento allendista. Arrigo Levi Salvador Allende e Fidel Castro, visti da Levine (Copyright N Y Review of Rooks Opera Mundi e per l'Italia La Stampa) Salvador Allende e Fidel Castro, visti da Levine (Copyright N. Y. Review of Rooks, Opera Mundi e per l'Italia La Stampa)