Il mostro aveva "sviato,, le ricerche mentre le bimbe morivano di inedia di Luciano Curino

Il mostro aveva "sviato,, le ricerche mentre le bimbe morivano di inedia ( Un'atroce agonia durata più giorni a pochi passi da casa Il mostro aveva "sviato,, le ricerche mentre le bimbe morivano di inedia Michele Vinci sconsigliò gli agenti a calarsi nella cava dove stavano morendo le sorelline Ninfa e Gina e a perquisire una baracca dove teneva prigioniera Antonella - «No, qui non ci sono — diceva — ho già guardato io» - Almeno le due sorelle potevano essere salvate, non avevano ferite gravi: sono decedute per gli stenti e l'asfissia - Una prigione tutta per l'assassino - La figura del mostro descritta dalla giovane moglie angosciata (Dal nostro inviato speciale) Marsala, 11 novembre. Si sa che Vinci ha gettato Ninfa e Gina vive nella cava di contrada Amabilina. Si sa che sono sopravvissute alla caduta (sono stati trovati graffi sulle pareti di tufo) e che la loro agonia è stata lunga. Ma lunga quanto? La risposta del prof. Del Carpio che ha eseguito l'autopsia, gela il cuore: Gina di nove anni è vissuta circa due giorni e mezzo, la sorella Ninfa di sette anni è morta 15 o 20 ore prima. Chi ha assistito al recupero dei due cadaveri mi dice: «Gino, aveva un viso bellissimo, gli occhi aperti. L'altra era irriconoscibile, il volto era una maschera di fango. Infangati anche i vestiti. Zja più piccola mancava di una scarpetta». L'ampio pozzo asciutto — un'antica cava (ii tufo — è profondo una trentina di metri. Quest'altezza aveva fatto supporre ieri chejle bimbe avessero fratture alle gambe e al capo. L'autopsia 10 ha escluso. Soltanto ecchimosi e graffi. Vi sono arbusti sulle pareti della cava che hanno attutito la caduta, e il fondo è melmoso, soffice (ma si fa anche l'ipotesi che il fondo del pozzo possa essere raggiunto da gallerie note al Vinci e che egli vi abbia portato le due bimbe). La lenta morte, ora per ora, è dovuta ad inedia, la prima perizia ha anche rilevato le tracce caratteristiche dei processi asfittici nei tessuti polmonari. In fondo a quella cava è penoso respirare, i pompieri che dovevano recuperare le salme ogni tanto risalivano per una boccata d'aria. Uno di loro dice: «Non so come abbiano fatto a sopravvivere tanto tempo». Come le. avete trovate? «Vicine. La più piccola con 11 capo sotto il braccio dell'altra, come per trovare protezione». Nessuno cerca di immaginare gli ultimi giorni di vita delle due sorelle nel buio della cava. E' un pensiero pauroso. Certo, hanno urlato finché hanno potuto, gridavano mentre sopra a poca di stanza dall'imboccatura del pozzo, passavano le squadre di volontari che cercavano loro e Antonella. Ma troppo profondo era il pozzo, le grida delle bambine non uscivano. E poi c'era Michele Vinci che teneva lontano le squadre dall'imboccatura del pozzo. «No, gui non ci sono. Ho già guardato io». I volontari che cercavano dalle parti della Amabilina se lo trovavano sempre tra i piedi, lui distraeva le pattu- glie da certe piste, le portava dove voleva. Era parente di una delle bimbe rapite, zio di Antonella: sembrava naturale che si desse tanto da fare, pover'uomo. «Maledetto — dicevano stamane — se non lo avessimo ascoltato, se avessimo cercato dove' volevamo, avremmo salvato almeno loro due». In questo podere all'Amabilina, poco distante dalla cava di tufo abbandonata, c'è un pozzo utilizzabile, dove più volte Michele Vinci, fattorino della "San Giovanni", era andato ad attingere acqua per la sua ditta. Nel podere c'è anche una baracca chiusa a chiave (ma la proprietaria Rosa Guarrato aveva rivelato a Vinci dove poteva trovarla, caso mai avesse avuto bisogno di entrare nella baracca). E' un locale angusto e oggi gli investigatori vi hanno trovato resti di frutta e avanzi dello stesso cibo rinvenuto I dall'autopsia nello stomaco di Antonella. Vinci aveva tenuto lontano le squadre di volontari anche da questa baracca: «Inutile. | ho già guardato io». Si suppone che sia proprio questo il j posto dove ha tenuto Antonel-1 la prigioniera per tre giorni, finché è morta. E la notte di lunedi ha trasportato il cadavere nella scuola-rudere, dopo avere l'atto mancare la luce nella zona, accavallando i fili aerei della corrente, per non I essere visto. Le tre bambine hanno ago- i nizzato per due, tre giorni, in fondo a un pozzo e dentro una baracca mentre quelli I che le cercavano passavano a 1 pochi metri, e c'era anche Paolo Marchese che chiamava le figlie: «Ninfa, Gina», ma Vinci diceva: «Ho già guardato io». Stamane Marchese scuoteva le due bare bianche e ancora chiamava: «Ninfa, Gina». Il padre di Antonella diceva: «Non è pazzo, è un mostro». «Vinci è un rebus. I oriminologi e gli psicologi che lo studieranno uvranno da rompersi la testa», dice Terranova e rifiuta di azzardare qualsiasi giudizio su quest'uomo. Anzi, gliene è sfuggito uno solo, ed è paradossale: «Vinci, a modo suo, è onesto». Secondo il procuratore Terranova, l'assassino non ha voluto rive-1 lare il luogo dove ha tenuto ; nascosta Antonella perché avrebbe dovuto confessare di essere entrato in casa d'altri,1 di avere violato un domicilio e ciò lo «disonora». Ha detto al procuratore che la sera stessa del rapimento, quando è andato per guardare la «sua» Antonella, l'ha j trovata «molle, molle», morta asfissiata dal nastro adesivo ' che le aveva incollato sulla bocca perché non la sentissero. Ma la sua affermazione non regge nemmeno ad una analisi superficiale. La bimba è vissuta da giovedì a sabato notte e lui le toglieva il bavaglio solo per nutrirla. Poi ha avuto paura del suo sguardo e le ha bendato gli occhi con lo stesso «scotch» e poi — chissà perché — ha incominciato freneticamente a se Artmlillpc strappare pezzi di quel nastro e ad appiccicarli sul viso di Antonella sino a farle prendere l'aspetto di una maschera tragica. Allora la bimba è morta asfissiata, «il giocattolo si è rotto». Ciò che più sgomenta è che il passato del «mostro» è limpido, senza ombre: Sono proprio quelli che meglio lo conoscono che quando hanno saputo che l'assassino di Marsala era lui, hanno detto: «Michele? Non è possibile». Ha lavorato duramente da quando aveva otto anni. Garzone, manovale, fattorino qua e là, consegnava bombole di gas liquido, elettricista. Tutti quelli che lo hanno avuto alle loro dipendenze o come compagno di lavoro dicono: «Un uomo chiuso, non parlava quasi mai. Michele vai qui. Michele fai questo, e lui andava, faceva senza dire una parola. Mai uno scatto, mai una protesta». Altri: «Era preciso, ma - timido». Una vicina di casa: «Ricordo che la suocera di Vinci diceva tre mesi dopo il matrimonio che sua figlia era ancora intatta, non poteva darsi pace per questo». Un'operaia della «San Giovanni»: «Soffriva perché la moglie non poteva avere figli. Diceva che occorreva un intervento chirurgico e risparmiava per questa operazione». La moglie Anna, 28 anni, graziosa, con i capelli corti, spettinati, gli occhi gonfi e rossi di pianto. «Ero domestica in una casa, lui ci portava le bombole di gas. E' così che ci siamo conosciuti». Due anni di fidanzamento, il matrimonio, il primo alloggio in contrada Amabilina a due passi dalla tragica cava, poi un appartamentino in via Oberdan, casa popolare. «La nostra era una vita normale: Michele usciva alle 7,30 e spesso pranzava alla mensa della sua ditta. La sera rientrava alle 20 e dopo cena vedevamo la televisione. Non abbiamo mai litigato». Anna Vinci racconta e piange: «Che farò adesso? La gente di Marsala avrà vieta di me o incontrandomi dirà: guarda, quella è la moglie del mostro». Sua madre la scuote: «Non devi piangere. Devi fare finta che tuo marito è morto. Non lo vedrai mai più». Ma lei continua a ricordarlo: «A volte tornava a casa immusonito quasi non mi salutava. Io ero gelosa e gli gridavo: "Ma che hai, un'altra femmina per la testa? A chi vai dietro?". Lui allora mi sorrideva: "Stupida, ho soltanto te". Però la notte aveva il sunno mutalo».,,, ., A,.v,i. Si nasconde il volto tra le mani e singhiozza: «Picchi u facisti? perché lo hai fatto? Quésto direi a mio marito se lo vedessi ancora una volta». Alludeva certamente ad Anna Vinci il procuratore Terranova quando ha detto: «A parte le tre creature morte, c'è un'altra vittima, è viva, ma è come se fosse morta pure lei». Michele Vinci è da oggi nel carcere di Mistretta. Ieri lo hanno portato prima a Ribera, poi ad Agrigento, infine alla prigione di Ragusa. I detenuti non lo volevano, c'è stato fermento, la minaccia di una insurrezione. Lo hanno portato a Mistretta, provincia di Messina, in un carcere dove c'erano soltanto otto prigionieri. Li hanno trasferiti, ed egli è ora solo in questa piccola prigione sui monti Nebrodi. Stamane l'avvocato Silvio Forti, difensore d'ufficio del Vinci, ha rassegnato il mandato nelle mani del magistrato. « Non mi sento — ha detto — dì continuare la mia opera quando so che non potrei adempiere al mio ufficio con il distacco e la coscienza professionali propri di un difensore. Anch'io come tutti i miei concittadini sono rimasto troppo scosso dalla tragedia che si è rabbattuta sulla città ». Il magistrato Terranova prima di formalizzare l'istruttoria, ha deciso una nuova serie di accertamenti. Luciano Curino a n Marsala. La disperazione di una delle zie di Ninfa e Gina Marchese (Telefoto Ap)

Luoghi citati: Agrigento, Marsala, Messina, Mistretta, Ragusa, Ribera