I bastioni dell'apparato di Giampaolo Pansa

I bastioni dell'apparato CITTADINI E ATTIVITÀ DI PARTITO; QUASI UN DIVORZIO I bastioni dell'apparato Nelle sezipni o federazioni vigono regole precise: vince chi è presente anche se non apre bocca; chi rifiuta il «full-time» nel partito è spacciato; guai a stare isolati - Funzionari e dirigenti rispettano solo il potere: per conquistarne una parte, e conservarla, giungono a scoraggiare la partecipazione della base - Gli iscritti, sempre meno numerosi, sono spettatori impotenti; i non iscritti, i « pagani », contano appena nel momento delle elezioni (Dal nostro inviato speciale) Milano, novembre. « Quando entrai nel partito — dice X — ero giovane ed entusiasta, per tre anni mi tennero a far niente. Proprio niente. Cosi ebbi agio di guardarmi attorno e di imparare alcune cose ». Quali? « La prima è che in un partito vince chi è sempre presente. Ci sono carriere strepitose costruite sull'essere presenti, senza parlare mai. La seconda: chi rifiuta il full4ime nel partito è spacciato. Cioè, nel partito conta il professionista della politica, l'apparato. Terzo: nel partito non devi mai star solo, devi sempre essere in qualcosa di organizzato, magari in una minoranza, ma organizzata. Se sei isolato non vivi, se non fai parte di una corrente ti maciullano... ». L'amico racconta in una sera milanese piena 'della nebbia che dal Naviglio sale alle case di Porta Ticinese. Il silenzio invita ai ricordi e i ricordi s'avanzano amari. Se le storie di facciata dei partiti (le battaglie, le vittorie e anche le sconfitte) sono tutte belle e gloriose, le storie « di dentro » sanno di bottega ed escono a fatica da chi le ha vissute. Ma sono quelle più vere e aiutano a capire che cosa è, oggi, il rapporto fra gli italiani e i partiti, e il nostro odioamore per la politica organizzata. Prima verità. Nei partiti si ripetè" lo schema eterno: comandano in pochi, ubbidiscono in molti. « In una società che si amplia — dice il sociologo Giorgio Galli — la nostra classe politica si restringe: è sempre meno numerosa e sempre più -oberata di incarichi ». E il segretario lombardo della de, Roberto Mazzotta, confessa: « Tutti si vogliono dar carico di tutto ». Trftduzione brutale: più potere imo ha, più ne vuole. In Lombardia è rimasto famoso il caso di un leader politico che era, assieme, deputato, segretario federale del partito, capogruppo al Comune e assessore in Provincia. Gli ufficiali Fra quei pochi che comandano, spiccano i « sempre presenti ». Sono i dirigentifunzionari del pei, i funzionari del psi o del psdi, i politici a tempo pieno della de f questi ultimi, spesso, pagati di fatto da enti pubblici). Costituiscono l'apparato, l'insieme degli ufficiali che mandano avanti le federazioni, o i pastori periferici dei greggi clientelari. Un loro ritratto? L'estrazione sociale è mista: operai, studenti, impiegati. Studi irregolari o non finiti. Orecchianti specializzatissimi soltanto nella macchina del partito. Spesso cinici nei confronti delle idee e, talvolta, anche degli uomini (« Chi non si può comperare? »). Verso la cultura hanno diffidenza o rapporti strumentali. Un solo, vero rispetto: quello per il potere. Il quadro è generico e forse un po' duro. Però c'è chi sottolinea vizi peggiori. La demagogia, il conformismo (ma il dissenso spesso significa perdita del posto), l'oscurità di linguaggio (« è voluta — dice Galli — se parlassero chiaro rischierebbero di essere misurati su quello che fanno o non fanno n), un alto concetto di sé (u il più ingenuo di noi sa suonare il violino con i piedi » proclamò in pubblico, a Milano, un dirigente di appa¬ rato) e infine la suscettibilità: fare un'inchiesta sulla classe politica è « attaccare i partiti ». Vizio diffuso « Costruiti » così, è inevitabile che, una volta occupato il potere, il loro primo obiettivo sia di conservarlo e di durare. L'accusa non piace. Due intelligenti leaders comunisti, Gianni Cervetti ed Elio Quercioli, il primo segretario milanese, il secondo lombardo, sostengono che non è vero e che, ad esempio, i quadri del pei a Milano si sono rinnovati più iti fretta di quelli dei sindacati. E il de Mazzotta aggiunge: « La difesa del posto e l'eliminazione dei capaci è un vizio nazionale diffuso, anche nell'industria accade così... ». Questa mezza ammissione ci introduce in un mondo chiuso, dove, ha detto un giorno Ciriaco De Mita, «vince chi pensa.meno», abitato da addetti ai lavori che tengono lontani tutti e vorreb¬ bero il partito piccolo e gregario per paura della concorrenza. Uno dei vicesegretari del psi, Gabriele Baccalini, funzionario, parla schietto: « Il meccanismo di formazione dei gruppi dirigenti è rimasto quello della cooptazione. Per favorire una partecipazione reale, i leaders di ogni livello dorrebbero avere più coraggio nel rischiare il proprio posto ». Una difesa viene da Galli: « E una volta perso il posto? All'inizio avrebbero saputo fare altre cose, ma oggi sanno solo gestire il potere, ed è difficile riqualificarsi ». E' difficile anche perché la gestione del potere è pesante e non lascia tempo per nulla. « Assorbe più il lavoro di cucina che l'elaborazione di una linea — dice Boccalini. — Le ore e ore passate a pesare col bilancino le combin' zioni dei posti negli enti sono ore perse per la politica ». E non c'è solo la spartizione degli enti: c'è il tesseramento, la raccolta dei fondi, la ven- dita del giornale, l'appalto dell'ente locale, la manipolazione delle preferenze, i pròbemi di « inquadramento », il rafforzamento delle clientele... Manovrando queste leve, l'apparato ha il senso di contare. « Ma sono queste le leve vere? E' questo il potere? », si domanda il responsabile culturale del psi, Ettore Albertoni, a o il potere sta invece altrove: nei ristrettissimi vertici di partito romani, nei gruppi di pressione, nei grandi enti, nelle banche? Conta di più un segretario di federazione o un presidente di cassa di risparmio? ». La domanda se la fanno miche molti funzionari, ed ecco un altro connotato dei quadri intermedi di partito: la frustrazione, il senso di non contare, se non nelle piccole cose. Non si discute Sotto, poi, c'è la base. Anche a Milano, dove i partiti sono più « sani » che altrove, l'iscritto fa ormai da spettatore impotente. Spesso è assente. Persino alle assemblee precongressuali, a volte, non partecipa che un terzo dei soci. Le sezioni non sono più il luogo d'incontro del partito con la società. Anche la discussione è morta. « Per forza — dice Galli. — Se discutono, si spaccano. E non si discute anche perché la problematica della classe dirigente politica è ormai quella di un sistema disgregato in fazioni, sganciata dalla problematica dei quadri di base, tutto sommato ancora fondata su distinzioni nette di linea politica ». E se per caso la base discute, lo fa accademicamente, senza effetti sul vertice, che ha già deciso. I dirigenti intermedi, provinciali, cittadini e a volte anche di sezione, sono una radio che trasmette solo dall'alto verso il basso e solo ordini. Aggiunge Galli: « Ha mai visto in una sezione comunista un programma di assemblea con al primo punto: elezione del Presidente della Repubblica, scelta del candidato? O in una sezione de l'invito agli iscritti a dire la loro sul quorum? ». E il democristiano Mazzotta riconosce: « E' vero, non c'è un effettivo controllo della base ». Se questa è la sorte dell'iscritto, che cosa tocca a chi iscritto non è? « Il non iscritto — osserva Piero Bassetti — è una specie di pagano ». Cioè, per il partitochiesa non esiste. O se esiste, la sua sorte è di essere strumentalizzato, mai ascoltato. Anche quando è un « esperto ». un « tecnico », il suo destino non muta: « Se non sei nel giro, non ti usano », dice il comunista Quercioli. Anche il pei è ammalato di questo male? La risposta è nello stesso tempo franca e cauta: « Un po' sì. | anche se meno degli altri ». Il « pagano » conta soltanto nel momento elettorale, e appena per il voto. Non conta certo per le sue idee sul programma. Nessun partito costruisce dal basso le proprie piattaforme, nemmeno quelle comunali. Solo il pri lo ha fatto nel 1970, con | 300 mila richieste di pareri. « Ci ha fruttato enormemente », dice Antonio Del Pennino. Ma in genere i partiti operano da soli, e in silenzio. Accade così per le cariche degli enti. Il presidente dell'Alfa Romeo, Luraghi, ha scritto parole durissime su questo milanese « mercato delle vacche », un mercato anch'esso senza controlli. Ma se il partito è un ingranaggio sempre più chiuso, che di fatto ti respinge e dove, se ci stai, non conti niente, perché entrarci? Di qui il rifiuto. Il de Mazzotta lì per lì noti si ricorda quanti siano i suoi iscritti in Lombardia, ma dice: «Sono stazionari». C'è un lievissimo incremento per il pri. Al psi dichiarano 28 mila tesserati a Milano e provincia, con un aumento di 5 mila in due anni: però onestamente osservano che il congresso è vicino e che « c'è un impegno attivistico delle correnti ». Alla fe¬ derazione del pei gli iscritti risultano 73.700, tremila in più rispetto al 1969. Non è un'avanzata, bensì la lenta riconquista di posizioni perdute: 75.996 iscritti nel 1965, oltre 80 mila nel 1960. Le perdite più forti il pei le ha subite a Milano città (28 mila gli iscritti di oggi, contro i 34 mila del 1965, i 42 mila del 1961, i 63 mila del 1956) e proprio mentre la sua base elettorale si ampliava. Lo stesso, credo, è avvenuto per altri gruppi. Ed ecco il dato più grigio: i partiti perdono o non aumentano la loro forza in una città che non solo cresce, ma die vede un rìsve- ( glio dell'impegno civile e un rinnovato interesse per la vita associata. Pensiamo ai sindacati, ai gruppi spontanei, agli organismi di quartiere, ai circoli, ai club professionali che vivono un boom prima sconosciuto. La sfiducia Non c'è a Milano rifiuto per la politica, ma diffidenza per il canale tradizionale del partito. Me lo hanno ammesso un po' tutti, motivandolo con abbondanza di ragioni « esterne »: il venir meno dell'aiuto di organismi che portavano gente alle sezioni (sindacati, Adi, parrocchie, cooperative), la scarsità di strumenti di vita democratica nella megalopoli, la difficoltà e i costi altissimi di far politica nelle grandi città. Quanto alle ragioni « interne » ai partiti, il quadro è quello tracciato ed ha come risultato « la credibilità sempre in rischio » di cui parla Quercioli, o addirittura « la sfiducia » verso la classe politica di cui parla Del Pennino: « La gente è convinta che questa classe non sia capace di guidare autonomamente il Paese, ma subisca pressioni di sindacati, categorie, gruppi economici. Tanto vale agire attraverso quelli, invece che attraverso i partiti ». Siamo, dunque, all'ora X dei partiti? Galli non è pessimista: « Se la situazione economica o internazionale non peggiora oltre un certo limite, si può anche continuare così ». Vede più nero l'intellettuale che vive dentro la politica organizzata: « La gente è stanca di obbedire — dice Albertoni — tuttavia è ancora disponibile, c'è ancora una spinta che va verso i partiti. Ma che cosa accadrà fra qualche anno, quando la gente si sarà accorta d'essersi mobilitata per partiti che non davano niente? Si domanderà se vale la pena di fare politica, almeno, con le strutture attuali. E quello, forse, sarà il punto più alto della crisi italiana ». Giampaolo Pansa Cologno Monzese. Il politico e la piazza: un comizio di Piero Bassetti per le elezioni regionali (Foto D'Apice)

Luoghi citati: Cologno Monzese, Lombardia, Milano