Re Picasso entra al Louvre di Marziano Bernardi

Re Picasso entra al Louvre UN OMAGGIO SENZA UGUALI PER I NOVANTANNI DELL'ARTISTA Re Picasso entra al Louvre Il governo francese lo onora esponendo da oggi nella «Grande Galerie», per dieci giorni, alcune delle sue opere essenziali - E' un gesto simbolico, ma in passato solo Voltaire ebbe un analogo trionfo - Si avverte qualche nota d'ironico sciovinismo sul «gran malaguefio», ma i più mettono in rilievo la sua sbalorditiva e fin mostruosa fecondità - In occasione della visita di Brezne" il museo dell'Ermitage presterà a Parigi 25 dipinti poco noti del maestro (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 20 ottobre. Picasso al Louvre. Conviene riflettere un istante sul significato di quest'avvenimento. E' come chi dicesse che Prometeo è stato sciolto dallo scoglio e posto sull'Olimpo a sfidare gli dèi. Una sfida breve perché durerà solo dieci giorni, da domani (e le darà avvio con la sua presenza nella « Grande Galerie » il presidente della Repubblica Pompidou) alla fine del mese: ma il fatto è ugualmente eccezionale, persino sconvolgente, benché il ministero degli Affari Culturali (quello che manca in Italia) l'abbia annunziato con sobrie parole: « Il governo francese ha desiderato rendere un solenne omaggio a Pablo Picasso nel suo novantesimo compleanno che ricorre il 25 ottobre. In quest'occasione alcune sue opere essenziali che appartengono alle collezioni nazionali saranno presentate nella Grande Galleria del Louvre, e dal 21 al 31 ottobre sarà gratuita l'entrata al museo, come a quello di arte moderna e a quello di Vallauris ». Il gesto è dunque puramente simbolico, ma per misurarne il valore basta ricordare cos'era ieri quella sterminata galleria « du borde de l'eau » costruita da Enrico IV, terminata da Luigi XIV, lunga 275 metri, larga 10, e come la si vede oggi dopo il suo riordinamento. Era il convegno dei geni della pittura, i Un sacrario Si cominciava coi maestri nostri dal Mantegna ad Antonello, dal Carpaccio al Bellini, da Tiziano al Veronese, dal Lotto al Tintoretto, da Leonardo a Raffaello, al Correggio. Attraverso i fiamminghi dal Rubens a Van Dyck si giungeva agli olandesi con Rembrandt, Hals, Ruisdael. Nel mezzo, nella così detta tribuna, il sacrario italiano: La Gioconda, davanti alla quale v'era sempre una siepe di persone in compunta contemplazione di quello che è forse il più celebre quadro del mondo. La Sant'Anna leonardesca d'ineffabile dolcezza; Il concerto campestre ancora palleggiato tra Giorgione e Tiziano; ^'Allegoria d'Alfonso d'Avalos del Vecelilo; tre Raffaello; Il matrimonio mistico c Santa Caterina del Correggio: una scelta spettacolare per far colpo sul pubblico secondo i vecchi criteri museali. I nuovi ordinatori hanno dato alla scuola francese la prima metà della « Grande Galerie » schierandovi i caravaggeschi Valentin de Boulagne. La Tour, Vouet, Le Sueur, quindi Le Nain, il pittore dei contadini immobilizzati nel freddo colore, il grandissimo Poussin con la serie dei suoi capolavori di respiro classico in piena età barocca (e ancora una volta, incantati dal Ruth e Booz, dal Diogene, dall'Eco e Narciso, l'abbiamo riconosciuto il più spirituale inventore di paesaggi del suo tempol.il funebre Philippe de Champaìgne, il Lorenese sognante, il Le Brun magniloquente: una sfilata che poi termina con Hubert Robert e Greuze. La pittura italiana del Rinascimento è stata invece trasferita nell'attigua « Salle des États », e di nuovo lunedì il formicaio dei visitatori del Louvre si coagulava dinanzi all'imbattibile Monna Lisa. Ma la tribuna continua ad essere un sacrario. Tra le otto colonne, sul muro a destra, TEmbarquement dans l'ile de Cythère che Baudelaire tradusse nella poesia famosa. Sul muro di sinistra l'enigmatico Gilles, grande figura misteriosa campeggiale bianca sulla tela, che non si è ancora saputo definire. Sono le due opere somme di Watteau, qui circondate da due Fragonard, da un Boucher, da un Lancret, da uno Chardin, tolti dal più squisito Settecento francese. Per dieci giorni questi sette dipinti saranno sostituiti da otto Picasso dal Museo nazionale d'arte moderna di Parigi, e Z'Arlecchino, con palese intenzione, prenderà l'esatto posto del Gilles. E' ciò che ^'Express intitola in copertina « À 90 ans le couronnement de Picasso », rievocando in un articolo l'apoteosi parigina di Voltaire nel 1778. Corrono due secoli tra gli onori tributati ai due patriarchi, di Ferney e di Mougins, e for¬ se in questi duecent'anni nulla di simile accadde. Si consideri inoltre la differenza: che allora la Francia incoronava un francese, oggi incorona uno straniero, il quale, se alla terra che da un settantennio l'ospita diede la fiaccola incendiaria della più decisiva rivoluzione di tutta la storia dell'arte, non ha però mai sottratto il proprio cuore alla terra materna. Il maresciallo E' ciò che meno piace in altri ambienti artistici. Per esempio Le Nouvel Observateur gli contrappone la grande mostra di Fernand Léger inaugurata giorni fa al Grand Palais e. ironizzando su « le marechal Picasso, avec ses quatre-vingt dix ans, ses 900 milliards, l'affection que lui portent les foules de Vallauris, les membres du Comité centrai du P.C.P. et les reporters de "ParisMatch " », sposta il giudizio in un'area politica ch'è al di fuori della celebrazione odierna, e non dà nemmeno prova di buon gusto nel fare i conti in tasca ad un artista. Specie quando quest'artista, che il bastone di maresciallo se l'è guadagnato vincendo le sue battaglie con risultati travolgenti in ogni direzione del rinnovamento artistico ed educando l'occhio di milioni di persone, personalmente vive, malgrado ville e castelli, nella stessa semplicità di quand'era al Bateau-Lavoir sulla Butte, e consuma i pennelli fino al legno dipingendo in ateliers che hanno per mobili sedie rotte e casse sfondate. Se è vero quel che scrive L'Express, che Picasso ha prodotto fino ad oggi 13.000 pitture e disegni, più 100.000 stampe, 34.000 illustrazioni di libri, 300 sculture e ceramiche (forse c'è un po' d'esagerazione nel computo...), ogni ironia cade di fronte a questa fecondità mostruosa, mai vista nei millenni dell'arte, e Picasso il suo bastone di maresciallo può collocarlo nella tribuna del Louvre con tranquilla coscienza. Il prezzo record di 319 milioni presso Parke Bernet, per la Maternità in riva al mare, del «periodo blu», venduta dall'artista per 200 franchi, se non erriamo, alla vigilia della sua terza partenza da Parigi, non riguarda lui, riguarda il mercato. Fino all'ultimo momento, con decisione saggia, non si è voluto privare i visitatori del Louvre dei Watteau della tribuna, né quelli del Museo d'arte moderna dei Picasso scelti dal direttore Jean Leymarie per rappre'sentore il maestro nelle sue varie fasi espressive, nei suoi così diversi linguaggi figurali. Trasporti e prove di collocamento si son fatti di notte, in due riprese: almeno a quanto pare, perché il massimo segreto, col rifiuto dei funzionari dei due musei di fornire la minima notizia ha circondato 1 le operazioni quasi si trat¬ tasse di maneggiare bombe atomiche e non quadri. La scelta di Leymarie tra le cinquantadue opere del « Gran Malagueno » (cosi lo chiamava Roberto Longhi) che nella raccolta nazionale d'arte moderna a Parigi costituiscono la maggiore at¬ trattiva d'un pubblico sempre fitto in quelle quattro sale picassiane, sembra molto oculata. Vanno le otto tele dalla più vecchia, ch'è il Nu assis del 1905, cioè del così detto « periodo rosa », quello dei primi arlecchini, dei circhi e dei saltimbanchi, alla più recente ch'è la Casserolle émaillée del 1945, che figurò con le sue straordinarie, dure volumetrie dai profili taglienti nelle mostre italiane di Roma e di Milano. Quasi un Tiziano Scalati poi nelle date vengono la Femme assise (1909) uno dei più genuini esempi del primo cubismo analitico, a colori spenti, quasi plumbei, sulle intricate sfaccettature formali; la Fillette au cerceau (1919), a documentare con un gioco geometrico di contorni concavi e convessi colorato di rosso mattone, azzurro tenero e grigio sfumato, il secondo cubismo sintetico; lo stupendo Arlequin (1923), che ci riporta ài tempi di Parade tra Diaghilev, Satie e Mossine, con quel volto chiaro e fermo che stacca — dipinto come da un moderno Tiziano che si sia rifatto alla pensosa avvenenza dell'Uomo dal guanto (lì a due passi dalla tribuna, nella « Salle des États ») — sul disegno monocromo del busto: la Nature morte à la tète antique (1925) dove il volume cubistico vive imperioso, ma s'ingentilisce del mirabile doppio profilo tracciato con la sottigliezza lineare dei più preziosi vetri incisi della classicità mediterranea; le Confidences (1931), ermetico colloquio di due strambe pitonesse separate, si direbbe (ma alla fantasìa di Picasso non è prudente avanzare domande), dal muro dell'incomunicabilità umana; e infine Le rocking-chair (1943), in cui l'improvvisazione scherzosa, elemento non secondario nella figurazione picassiana, si libera con fulmineo arabesco a chiudere l'ondulante immagine. Non s'è voluto portare al Louvre il Picasso più mostruosamente espressionistico che abbondò polemicamente nelle mostre italiane coi volti dai duplici nasi, gli occhi spostati sulle tempie, le bocche aperte nelle guance, e s'è tralasciato anche lo studio (1907) per la faccia d'una delle Demoiselles d'Avignon coi naso a « trancile de brie ». Questa scelta, in un certo senso prudente, indica anche meglio qual è il Picasso che, pur coi suoi perenni moti eversivi che nemmeno l'età patriarcale ha domato, sa dimostrarsi contemporaneo alle più fulgide età dell'arte. Perciò il maestro che oggi si celebra con una cerimonia che supera, col suo significato, persino la grandiosa « retrospettiva » del I960 che trascinò al Grand e Petit Palais 600.000 visitatori, può senza alcuna reticenza prestarsi al suo couronnement nella tribuna del Louvre, ove aleggiarono gli spiriti dì Leonardo e Raffaello e dove fra poco tornerà — « luxe, calme et volupté» — ad abitare quello di Watteau. In occasione della visita di Breznev a Parigi, il governo sovietico ha concesso il prestito di venticinque quadri di Picasso del museo dell'Ermitage di Leningrado, in gran parte acquistati prima della guerra del '14 dai collezionisti Morosof e Stuckine, e in prevalenza antecedenti al cubismo. Saranno esposti nel Museo d'arte moderna a partire dal 28 ottobre. Inoltre alla Biblioteca nazionale s'aprirà il 25 una mostra delle più preziose incisioni picassiane. I quadri di Leningrado sono sconosciuti — o conosciuti soltanto dalle riproduzioni — per chi non è mai stato in Russia, e dunque l'avvenimento attirerà una folla enorme, probabilmente affretterà la decisione di creare a Parigi un museo, anzi un « centro Picasso », per il quale si potrebbe utilizzare l'ex museo del Luxembourg, dove il giovane spagnuolo ebbe la prima rivelazione degli impressionisti francesi. Un monumento I quadri dell'Ermitage destano una comprensibile attesa. Ma l'avvenimento rimane nei confini d'una importante manifestazione artistica. Con il simbolico ingresso, invece, lui vivente, nel tempio del Louvre, dove lo stesso Cézanne tardò tanto ad entrare dopo la morte, il proteiforme Picasso diviene, come è stato scritto da un giornale parigino, un « monumento storico ». E come certi monumenti sui quali, nel corso dei secoli, sì sono impressi i segni profondi e magnifici delle civiltà più diverse, così Picasso, per straordinario e forse unico dono, in sé assomma le forze ideali in maggior contrasto: l'ordine e la rivoluzione, la continuità e la distruzione: e tutto ciò contemporaneamente, per irrefrenabili impulsi opposti. Lo si deve ripetere: Picasso monumento storico. Marziano Bernardi