Albertini in Piemonte (A Parella nel centenario della nascita) di Carlo CasalegnoLuigi Albertini

Albertini in Piemonte (A Parella nel centenario della nascita) Albertini in Piemonte (A Parella nel centenario della nascita) Dei tre creatori e maestri del giornalismo italiano moderno, Allredo Frassati era di pochissimi anni il decano: .nacque nel 1868; Alberto Bergamini c Luigi Albertini, di cui ricorre oggi il centenario, nel 1871. Albertini Iti il primo a scomparire, nel 1941, mentre Frassati e Bergamini gli sopravvissero d'un ventennio; ma la loro carriera giornalistica si apri e si chiuse negli stessi anni. Albertini c Frassati entrarono sul finire dell'Ottocento al Corriere della Sera ed alla Gazzetta Piemontese-Stampa e ne divennero i capi assoluti nel 1900, Bergamini prese nel 1901 la direzione del Giornale d'Italia; tutti e tre furono cacciati dai loro giornali nel momento in cui Mussolini (1923-75) consolidò la sua dittatura. Muovendo da posizioni assai diverse, e dopo oltre ventanni di concorrenza e di polemiche, si trovarono per la prima volta concordi nel rifiuto del fascismo, in Senato c fuori. * * A queste coincidenze cronologiche e somiglianze di carriera, non casuali, potremmo aggiungere altri punti d'incontro, come il fatto che Albertini esordì nel giornalismo facendo il corrispondente della Gazzetta Piemontese e Bergamini si formò come giornalista nella redazione del Corriere prima di essere chiamato da Sonni no a dirigere il nuovo Giornale d'Italia. Ma tra Frassati ed Albertini si osserva un intreccio di legami assai più importanti di quei dati esterni, così che ne potremmo scrivere, senza forzature, le « vite parallele »; e non soltanto perche furono i creatori dei due più grandi quotidiani d'Italia, i protagonisti d'una memorabile battaglia politica e giornalistica. Erano due giovani di robusta personalità e di torte ambizione, con « la volontà tenace e pugnace di primeggiare », persino con qualche somiglianza fisica nelle figure diritte e severe, arrivati dalla provincia nelle due grandi città del Nord durante gli anni del decollo industriale italiano, e risoluti a cercare una strada diversa dalle tradizioni familiari. Sensibili a quanto di nuovo si preparava durante il tramonto grigio e tormentato dell'età umbertina, avvertirono entrambi la necessità di respirare aria europea (Frassati seguì l'Università in Germania, Albertini passò un anno a Londra) e l'importanza di studiare seriamente i problemi economici c sociali. Tutt'allro che marxisti, e poco inclini alla demagogia, passarono addirittura per « socialisti » e Albertini, al tempo di Bava Beccaris, fu visto come un sovversivo da certa borghesia milanese più fiduciosa nel cannone che nella libertà. Giunti sui trent'anni a capo di quotidiani affermati ma vecchiotti, impegnarono tutte le loro forze per trasformarli in grosse aziende industriali secondo i migliori esempi dell'Occidente, e sfruttare il successo per condurre con autorità, indipendenza e prestigio nazionale la loro battaglia politica. Scelsero strade diverse, probabilmente legate anche ai caratteri diversi delle loro città: Frassati il liberalismo democratico, radicale, giolittiano, su posizioni che potremmo definire di centro-sinistra; Albertini seguì una posizione più « moderata », che il suo avversario Salvemini definì « un maschio liberalismo conservatore all'inglese ». Sulle aperture politiche e sociali di Giolitti, sull'intervento del 1915, sulla politica di guerra, sulle agitazioni del primo dopoguerra il contrasto arrivò sino al conflitto personale: li riconciliò soltanto la vittoria del fascismo. Ma ce un elemento lontano dalla politica, dall'ideologia, dalla lunga e diretta rivalità professionale, c tuttavia non meno interessante, che accosta ancora di più le vite parallele di Albertini e di Frassati: gli stretti legami 'con il Piemonte. Per il biellese Frassati erano un fatto di sangue, di nascita; per il marchigiano Albertini erano una scelta, forse un'inclinazione del carattere, certo la conseguenza felice di intensi affetti familiari e di fedeli amicizie. Alberto Albertini, nella biografia del fratello che scrisse durante l'occupazione tedesca c pubblicò nell'immediato dopoguerra, si rammarica di non aver mai chiesto a Luigi perché a ventun anni avesse la-' sciato l'Università di Bologna per laurearsi a l'orino. Tante ragioni — le ristrettezze economiche dopo una lunga agiatezza per il fallimento della azienda familiare, le gravi responsabilità che gli erano cadute sulle spalle con la morte del padre c dello zio, l'attaccamento alla madre ctl ai fratelli ancora bambini, l'amore del mare — dovevano tenerlo vicino alla casa di Ancona; scelse invece il Piemonte, c vi trasferì la famiglia che nella nostra città, nel grigio quartiere tra corso Vittorio e via Ccrnaia, si sentiva in esilio. Possiamo rischiare soltanto due congetture, che le indicazioni offerte dal fratello rendono verosimili: il desiderio d'un taglio netto con la tradizione familiare, la ricerca d'una via tutta nuova dopo il trauma del fallimento, ch'era sentito allora come una vergogna, o l'interesse per la famosa scuola economica di Torino. Nel Laboratorio di Economia fu allievo di Cognetti de Martiis c condiscepolo di Luigi Einaudi, che diverrà per mezzo secolo suo amico c collaboratore; sul Giornale degli economisti del maestro pubblicò la sua tesi di laurea, « La questione delle otto ore di lavoro»; per quella dotta rivista incominciò a preparare un saggio sulla disoccupazione: uno dei motivi che nel 1894-95 lo portarono a Londra, per ricerche nel British Museum ed un contatto diretto con la più avanzata società industriale europea. Fu in quella occasione che amici torinesi lo introdussero nel giornalismo. Luigi Roux, padrone e direttore della Gazzetta Piemontese, gli propose di mandare corrispondenze tlall'Inghilterra per consentirgli una visita più lunga; un giovane attaché d'ambasciata dell'aristocrazia subalpina lo presentò a Moberly Bell, l'autorevole factotum del Times, il modello che Albertini si propose di seguire quando, cinque anni dopo, ebbe in mano il Corriere. A Torino, se facciamo i conti, s'era fermato ben poco: un anno da studente, un altro alla ricerca della sua strada nell'incertezza tra carriera universitaria, avvocatura e giornalismo, qualche mese tra il ritorno da Londra e la chiamata di Euigt Luzzatti a Roma.per dirigere la rivista Credito e coopcrazione ( un'esperienza tanto utile quanto breve, perche le due personalità non erano fatte per intendersi). Ma altri legami lo riportarono presto in Piemonte. Nell'autunno del '99 fu invitato nella villa di Laveno, insieme con i Giacosa, da uno dei proprietari del Corne¬ re; conobbe Piera, secondogenita dello scrittore ch'era tra gli astri del teatro italiano, se ne innamorò e la sposò sei mesi dopo a Parella (Giovanni Verga era tra i testimoni). Per quarantanni questo « rustico borgo del bel Canavesc » fu la residenza prediletta, ed il clan Giacosa la sua più grande famiglia, in un intrecciarsi fitto e complicato di parentele, di affetti sereni c solidi attraverso ogni prova, ed un puntuale accorrere di amici eminenti e fedeli. E' risaputo: sul loggiato della vecchia casa Giacosa, a Collcrctto Parella, si leggono ancora le hrme di tanti visitatori celebri e diversi, da Fogazzaro a Cadorna; e l'album di famiglia di Nina Ruffini, amorosa custode d'un secolo di memorie, e un Gotha della « intelligenza » non soltanto italiana ma europea, con ritratti e manoscritti dalla Duse a Tolstoj, da Zola a D'Annunzio c Toscanini. Ma forse non c facile, oggi, ricostruire le dimensioni e gli animi del mondo che il fascino e la fama di Giuseppe Giacosa, il prestigio c il carattere di suo genero raccolsero attorno al piccolo paese canavesano: prima nella casa avita del commediografo, poi nella villa di Albertini: una bella casa d'agiata borghesia, sorta tra alberi e vigne quasi per un contrasto non premeditato accanto al vecchio castello nobiliare. Dei celebri amici, D'Annunzio era lorsc il visitatore meno assiduo; Fogazzaro, Verga, De Amicis erano compagni Icdcli ili Giacosa; Pascoli scrisse per la sua morte una lirica assai nota ( Così! così! la tua Parella - hi casa tua, In tuo Muria. - Così la morte e bella: - non è partire, è non andar più via); Arrigo Boito era di casa, il suo studio ed i suoi manoscritti sono ancora nella villa Albertini; Francesco Rulfini era Ira gii intimi, anche per legame di parentela. Con il passare degli anni, la politica ebbe maggior spazio della letteratura nei frequentatori ili Partila: Benedetto Croce, Einaudi, Slorza, Amendola... Alcune amicizie nuove nacquero da incontri di villeggiatura in un altro paese che ebbe un suo rilievo nella vita sociale piemontese, Gressoney: come i rapporti con gli Agnelli, divenuti assai stretti proprio nel tempo in cui Luigi Albertini era più sospetto al regime, e gli agenti controllavano i visitatori. Se i fascisti non l'avessero ucciso, lorse anche Piero Gobetti sarebbe stato uno degli assidui di Parella: uno scambio ili lettere alla line ilei '25 rivela uualc inattesa amicizia stesse nascendo tra due personaggi così lontani per età c carattere. Quando fu costretto a lasciare il Corriere, Albertini non si ritirò nella sua villa canavesana: non era temperamento da chiudersi in campagna e, dicono gli intimi, « l'inglese di ghiaccio », malgrado un fondo puritano, l'autodisciplina severa, l'apparente distacco, era un mediterraneo attratto dal Sud (bambino sognava avventure in mare, adulto preferiva Napoli ad ogni altra città). Ma a Parella trascorreva molti mesi. Dal suo studio all'ultimo piano nella villa, austero e disadorno come una vecchia sala di redazione, con due tavoli nudi, una lunga libreria spoglia, un telefono, aveva diretto il giornale nei periodi di vacanza. Strappato al lavoro quotidiano, nella stessa stanza silenziosa scrisse le sue memorie politiche ed il vasto saggio sulle origini della prima guerra mondiale: valido studio storico, ma anche difesa appassionata di una linea che, a ragione od a torto, aveva seguito con rigida coerenza ed assoluta onestà. Dalle pareti tutte di vetro, lunghe e basse, si vedono la dolce valle d'Ivrea, lo sfondo azzurro della Serra, il grande giardino dov'egli aveva imparato, con insospettata dolcezza. « l'arte d'essere nonno ». Morì nella sua casa romana, ma volle essere sepolto in questa terra: suggello d'un legame profondo, ultimo ritorno al Piemonte. Carlo Casalegno ll senatore Luigi Albertini nella sua villa canavesana