Quali sono le difficoltà del dialogo di Arrigo Levi

Quali sono le difficoltà del dialogo Industrie e sindacati: parlano Trentin, Cuttica e Isalberti Quali sono le difficoltà del dialogo Trentin: «Nessun negoziato che programmi in qualche modo il rinnovo dei contratti nel '72» - Cuttica: «Se migliorassimo le infrastrutture civili, migliorerebbe anche l'atmosfera in fabbrica » - Isalberti: « Smettiamo di parlare di conflittualità permanente » Roma, 15 ottobre. « Non ho mai pensato allo sciopero — mi dice Bruno Trentin, segretario generale della Fioin — come a una ginnastica necessaria ». Alla Fiat, l'avvocato Umberto Cuttica, direttore del personale, ini dice: « C'è qualche cambiamento nel rapporto imprenditori-sindacati. E' cambiato l'atteggiamento un po' degli uni e un po' degli altri, nel senso che siamo reciprocamente più esperti ». Alla Pirelli, l'ingegner Gianfranco Isalberti afferma: «Io credo che si debba cominciare a parlare di contrattualità permanente, e smetterla di parlare di conflittualità permanente ». L'esigenza di avviare un nuovo dialogo tra imprenditori e lavoratori, in questo momento di acuta crisi economica, non è sentita soltanto al vertice, tra i dirigenti centrali della Confindustria e quelli delle confederazioni sindacali, ma anche nelle federazioni e nelle aziende. Dice Isalberti: «La conflittualità permanente non può portare altre die a conseguenze dannose per tutti. E' giusto che si dialoghi e si contratti, non che si voglia danneggiare l'altra parte. E' giusto che i lavoratori facciano valere la loro forza contrattuale, ma non si può supporre che siano sempre in posizione di conflitto con l'imprenditore». E Cuttica: «Quello che è certo è che non si può andare avanti come negli ultimi anni». E' stato il ministro del Lavoro, Donat-Cattin, che ha avvertito per primo, qualche settimana fa, che l'economia italiana «non è in grado di affrontare un secondo autunno caldo». I contratti nazionali, il cui rinnovo provocò, nel '69, così duri contrasti, scadranno giusto fra un anno. Non è dunque troppo presto per cominciare a gettare le basi di un rapporto nuovo tra le due parti: non soltanto in funzione «anticongiunturale», ma anche in vista dell'appuntamento contrattuale dell'autunno 1972. Questo è il problema vero: ma per ora il carico dei timori e dei sospetti è tale che quando si solleva questa prospettiva si hanno reazioni negative da parte sindacale, di cautela da parte imprenditoriale. « Senza troppa fretta » Dice Umberto Cuttica: «Non. bisogna avere troppa fretta di istituzionalizzare il nuovo dialogo in uno schema rigido, per non soffocarlo». Trentin respinge decisamente «un negoziato rivolto ad anticipare o programmare in qualche modo i risultati del rinnovo contrattuale del '72 ». Sottolinea che « l'autunno caldo era stato sì previsto e preparato ma non programmato a freddo», e così smentisce, implicitamente, che pos¬ sano esservi piani anticipati per un'altra stagione contrattuale «calda»; ma neppure vuol prendere in anticipo degli impegni, e sostiene che «il disarmo a livello aziendale» non può essere la soluzione dei problemi. Mi è parso di sentire in Trentin anche qualche diffidenza verso un negoziato a livello 'confederale che scavalcasse le responsabilità dirette delle federazioni. Trentin, come già Lama, non nega che «un certo tipo di azione rivendicativa abbia costituito un fattore di rigidità nella struttura industriale italiana, tale che poteva certamente accentuare gli squilibri esistenti». Dice il segretario della Fiom: «Non abbiamo nascosto la mano che tirava il sasso. Ma pensiamo che, ponendo questi problemi, abbiamo anche stimolato gli industriali a maggiore fantasia e capacità d'innovazione: si tratta di disintossicare l'industria italiana dalle sue cattive abitudini». Trentin ritiene che una certa dose di «conflittualità» debba sempre esserci in una società industriale: anche, per ipotesi, in una società socialista autogestita. Anche in questo caso dovrebbero esistere cioè i sindacati, i quali rappresentano «l'altra anima dell'industria». Neppure gli imprenditori, beninteso, sostengono che la vita di un Paese industriale dovrebbe svolgersi senza con¬ flitti: ma il vero problema è il grado e l'intensità dei contrasti sociali. Il fatto è che in nessun'altra libera società industriale la «conflittualità» è così acuta, gli sprechi cosi alti. Negli ultimi dieci anni l'Italia ha perso 165 milioni di giornate per scioperi, contro due milioni e mezzo in Germania e 29 in Francia. La competitività della nostra industria ne soffre. Anche nei primi sei mesi di quest'anno l'Italia ha perso 6,6 milioni di giornate di lavoro per scioperi, contro 3,8 in Francia e 198 mila in Germania. E' vero che quelli sono Paesi dove c'è più benessere, dove i servizi civili e sociali funzionano meglio, dove esistono quindi tensioni minori: ma per quanto tempo ancora gli italiani potranno continuare a gestire la loro società industriale, a «gestire la conflittualità», in modo cosi costoso? « Sprechi ci sono » Trentin non nega, mi sembra, che il problema esiste: «Gli sprechi — dice — ci sono perché questa è una società che si sta trasformando e che subisce traumi piuttosto profondi». Ma ritiene che gli «sprechi» (ossia i conflitti più acuti, gli scioperi, eccetera), siano dovuti soprattutto «all'incapacità degli industriali di studiare soluzioni con un disegno di lungo respiro». Ritiene illusoria una tregua sindacale in Italia, anche come e espediente temporaneo in questa crisi; è però pronto ad ammettere che «quando c'è una possibilità di dialogo il sindacato non la deve mai rifiutare, anzi, in molti casi la deve ricercare, perché a voler meno scioperi siamo i primi noi». Come Lama, anche Trentin respinge l'invito di Giolitti a una «programmazione concordata» delle rivendicazioni salariali; «è il sindacato — dice — che deve Arrigo Levi (Continua a pagina 2 in terza colonna)

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