I quaderni di Giacomo

I quaderni di Giacomo I quaderni di Giacomo di MARIA CORTI « Non credo che si possa citare esempio di vero poeta il quale non abbia cominciato a poetare da giovanetto »; così Giacomo Leopardi scriveva a Pietro Giordani nell'aprile del 1817. Pur tuttavia, gli inizi dell'attività poetica leopardiana appaiono oggi a noi ugualmente eccezionali per varie ragioni: intanto risulta conturbante il fatto che a più di centotrenta anni dalla morte del poeta i suoi primi scritti, di cui alcuni assai belli, siano ancora in gran parte inediti. Custoditi gelosamente a Recanali nella biblioteca di famiglia dai conti Leopardi, essi vedranno per la prima volta la luce sulle pagine di questo giornale (in attesa dell'edizione critica che chi scrive prepara per l'editore Bompiani). Una ragione di stupore viene dalla precocità del poetare leopardiano: un'impegnata, struggente elaborazione lirica e prosastica che ci riporta agli anni 1809 e 1810, quando il poeta (nato nel 1798) aveva undici e dodici anni, l'età che dalla natura parrebbe deputata a giocjii fascinosi e a rapide letture. Inoltre, quello che ancora stupisce è la quan- tità di scritti che affiora dal Fondo recanatese, documento di un'infanzia sublimemente certosina, per la quale tornano alla mente le confidenze l'atte da Carlo Leopardi, fratello del poeta, nel 1845 a Prospero Viani: «Certo nessuno è stato testimonio del suo affaticarsi più di me, che, avendo sempre nella prima età dormito nella stessa camera con lui. lo vedeva, svegliandomi nella notte tardissima, in ginocchio avanti il tavolino per potere scrivere fino all'ultimo momento col lume che si spegneva ». E, di rimbalzo, qualche precisazione del poeta stesso nello « Zibaldone » o in « Appunti e ricordi »: « Dai 10 ai 21 anni io mi sono ristretto meco stesso a meditare e scrivere e studiare i libri e le cose »; « Seppi leggere ed amai leggere assai presto »; « Mio desiderio sommo di gloria da piccolo, manifesto in ogni cosa ». Ma chi lo avviò al primo incontro coi libri, lo guidò alle scelte nella grande biblioteca paterna? Ci fa veramente piacere leggere fra le testimonianze raccolte dal Viani questa frase: « Gli studi incominciò indipendentemente dai precettori in età di 10 anni »; mirabile avvìo di una formazione che nella sostanza rimase solitaria. Comunque, primo maestro gli fu don Giuseppe Torres, ex gesuita messicano, rifugiato a Recanati, il quale era già stato maestro del padre Monaldo: poi subentrò don Sebastiano Sanchini, a cui il Leopardi dedicò nel 1810 dei versi martelliani, un'anacreontica, una « Lettera Bernesca Ditirambica » in occasione del cambiamento d'ora delle lezioni; in subordine don Vincenzo Diotallevi (forse «. il buon pedante gelido » evocato nella «Dimenticanza» del 1811): l'insegnamento impartito da tali maestri, la guida paterna, l'ambiente conservatore e provinciale marchigiano crearono intorno al fanciullo prodigio un'atmosfera di cultura assai tradizionalista e del tutto atemporale, che ovviamente lasciò segni di sé nelle esercitazioni scolastiche, presenti fra le Carte inedite, e in alcune scelte tematiche dei testi creativi. La pubblicazione di questi inediti, che non chiamerei puerili salvo nel senso etimologico latino della parola, in quanto la precocità del genio non lo consente, è di capitale importanza a intendere le fasi di sviluppo della personalità leopardiana: i suoi inizi sono già segnati dal destino artistico, il fanciullo ha spontaneamente scelto negli anni 1809 e 1810 la poesia; con il 1S11 si desta in lui l'affannosa ricerca del sapere di tipo filosofico, filologico ed erudito, cominciano i « sette anni di studio matto e disperatissimo » di cui egli parla al Giordani nella lettera del 2 marzo 1818 e riguardo ai quali è estremamente importante un suo commento in « Appunti e ricordi »: « Mia avversione per la poesia, modo onde ne ritornai e palpabile operazione della natura nel dirigere ciascuno al suo genio ». Parole che si illuminano da sé: non solo il poeta ritroverà per forza di natura la strada intravista da fanciullo, ma le apparenti contraddizioni giovanili sono la rappresentazione embrionale di quel conflitto interno al Leopardi tra il fascino dell'immaginazione lirica e il richiamo dell'esattezza razionale, che il critico Sergio Solmi definì « le facce apparentemente inconciliabili del suo spirito ». Se, dunque, questi testi giovanili fossero rimasti ancora a lungo avvolti nell'ombra dell'inedito, veramente ci mancherebbero i primi anelli di una preziosa catena. Ed eccoci a una sommaria presentazione dei testi inediti degli anni 1809 e 1810. Si deve premettere che il Leopardi stesso ne confezionò un preciso elenco con rispettive date, intitolato: « Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi - Reclinati », manoscritto autografo acquistato da una Commissione governativa ed edito in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle Carte Napoletane (Firenze, Le Monnier, 190b). Purtroppo, qualcuno dei testi ivi elencati è a tutt'oggi introvabile. Ma già prima il Piergili e qualche altro di quei valorosi eruditi di fine Ottocento erano arrivati a fiutare gli inediti, ad averli fra le mani, a dame alle stampe l'elenco e persino testi isolati. L'aspetto esterno degli inediti è delizioso: i vari manoscritti sono contenuti per lo più in quadernetti con copertine a volte colorate, a volte composte a penna dal Leopardi stesso in modo da riprodurre disegni geometrici o floreali tipici delle stampe dell'epoca: un lavoro preciso e meticoloso cui corrisponde, nell'interno, una scrittura assai pulita, ordinalissima che potrebbe, in moderna chiave psicanalitica, far pensare a (Continua nella pagina seguente)

Persone citate: Carlo Leopardi, Giacomo Leopardi, Giuseppe Torres, Monnier, Sebastiano Sanchini, Sergio Solmi, Viani, Vincenzo Diotallevi

Luoghi citati: Firenze, Prospero Viani, Recanati