I testi ignoti dell'undicenne Leopardi poesie e compiti segnati di genio di Guido Piovene

I testi ignoti dell'undicenne Leopardi poesie e compiti segnati di genio Dal 21 ottobre, ogni giovedì « La Stampa » dedicherà due pagine speciali alla pubblicazione dei testi leopardiani inediti, poesie e prose, con il commento di Guido Piovene e di Maria Corti I testi ignoti dell'undicenne Leopardi poesie e compiti segnati di genio di GUIDO PIOVENE Mìlleottocciitonove, mìlleotlocentodieci, undici e dodici anni: l'età in cui Giacomo Leopardi scrisse le poesie e le prose che noi stiamo per pubblicare, presentate da Maria Corti. Se ricordiamo fin dalle prime righe questi dati anagrafici, non è per sottintendere che, per quanto geniale, si tratta sempre d'un bambino. Il bambino Leopardi non accetta indulgenze. Il nostro è piuttosto mi invito a leggere i suoi scritti meno a freddo di quanto potrebbe suggerire la vernice scolastica, sotto cui sono riparati. Con essi ha inizio una vicenda dove, nel giro di pochi anni, si brucia e si consuma in lui il « mondo antico » delle « grandi illusioni », comprese quelle religiose, a cui dedica tanti componimenti nei suoi esordi. E subito dopo si apre il mondo lucido e infelice del vero. Siamo alle soglie del periodo di studi e di esercizi, in crescendo, senza una sosta, che si protrasse in tutti gli anni dell'adolescenza, c trovò una sosta forzata quando Leopardi giunse ai diciannove anni, con la prima gravissima crisi della sua salute. Usciva da quel tirocinio già poeta e filosofo, una cima di erudizione, vero « miracol di natura » come lo giudicò il Giordani, dotto in lingue antiche e moderne, ma quasi distrutto nel tisico. Tra i passi in cui se ne lamenta, il più celebre è quello di una lettera al Giordani (1818): « In somma io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi s'andava formando e mi si doveva assodare la complessione. E mi sono rovinato infelicemente e senza rimedio per tutta la vita... ». Gli scritti che noi pubblichiamo, in cui maturità e cultura sono già straordinarie, rappresentano il prologo di una vicenda passionale, benché si svolga confinata tra le carte ed i libri. Prima ancora di cominciare a vivere nel senso comune del termine, senza eroismi appariscenti, nel chiuso di una biblioteca e in una cittadina di provincia sorda, tra gli impacci di una religione bigotta che nella madre diventava crudele, spinto da una passione tanto forte da sopraffare le inclinazioni dell'infanzia, il giovanissimo Leopardi si sacrificava ul suo genio. Nelle pagine che seguiranno, Maria Corti dice benissimo, si vede « il mirabile avvìo di una formazione che nella sostanza rimase solitaria », malgrado la presenza del padre e dei maestri. Obbediva solo a se stesso nel fare immensamente di più di quanto un maestro gli potesse richiedere; era sua l'ossessione per cui, al termine di un foglio scritto, mentre aspettava che la polvere si asciugasse sull'inchiostro, imparava a memoria alcune parole di greco. furono gli anni più felici della sua vita, o almeno quelli in cui conobbe in modo più lungo e continuo l'unica felicità che giudicò più lardi possibile benché illusoria: quella portata dall'attesa e dalla speranza di un bette. Se è vero, come scrisse negli anni maturi, che il mondo degli antichi aveva la potenza di nutrire in se stesso le illusioni che danno un valore all'esistenza umana, mentre il mondo di noi moderni Ita la disperazione della chiarezza, potremmo dire clic nel suo « studio matto e disperatissimo » Leopardi era come un antico sorretto da illusioni vivificanti. Era destinato a soffrire sulla propria persona, come in uno scorcio del tempo, il trapasso da un mondo all'altro. La sua passione era esclusiva; credeva ancora che la gloria esistesse, e si imponeva fatiche improbe per averla. Per sua testimonianza in un appunto autobiografico, questo della gloria era l'unico pensiero non interamente dissolto nemmeno dai deliri del primo amore. Sappiamo tutto quello che pensò della gloria nella maturità. Ma ora siamo ancora al bambino che entra in una serie d'anni di ossessione studiosa, gettato giorno e notte a pensare e a scrivere obbedendo a un bisogno e a una speranza che la gente mediocre potrebbe chiamare pazzia. Cosi queste pugine, anche le più scolastiche o accademiche, assorbono tutto il suo essere, occultano un grande disegno, hanno sotto sotto il calore della dedizione completa che caratterizza il genio. Sugli argomenti e sui testi separatamente, potremo soffermarci mano mano che usciranno. Ora vorremmo suggerire soltanto un criterio nel leggerli. Un lettore di oggi, trovandosi davanti le prime prove inedite eli un poeta grandissimo, potrebbe anche aspettarsi qualcosa di diverso dalla sua spontaneità infantile Magari, vagamente, anche sapendo che è impossibile, qualcosa dì assomigliante a un Rimbelliti arrivato con grande anticipo in terra papalina. Non troverà niente di simile, e nessuna folgorazione, ite associazioni inattese d'idee e d'immagini, né aggettivi inconsueti. E nemmeno una bizzarria, o un atto di rivolta, per quanto larvata, contro la tradizione e le convenzioni di scuola. Forse possiamo già scoprire alcune predilezioni fantastiche durate per tutta la vita (e le vedremo), ma nessuno dei grandi temi leopardiani si presenta nemmeno in germe. E non potrebbe esserci, non soltanto perché Leopardi ha undici-dodici anni, ma anche perché quei temi nascono tutti dalla fine delle illusioni e delle fedi. In quanto alla formazione tradizionale, non si pensi a un Leopardi represso dalla disciplina e dalla censura. Si può arguire, anche in questi primi scritti, specialmente dalla qualità e dal mimerò delle letture già compiute, come si preparasse nel bambino Leopardi, in barba ai suoi insegnanti, la libertà di pensiero clic acquistò più tardi; ma, per quanto riguarda l'educazione lei- (Continua nella pagina seguente)

Persone citate: Giacomo Leopardi, Leopardi, Maria Corti, Maria Corti I