Troppe sfumature in questo azzurro di Giovanni Arpino

Troppe sfumature in questo azzurro Valcareggi tra ragione e alibi Troppe sfumature in questo azzurro Una proposta all'inglese: la Federcalcio faccia incontrare in una partita vera «senatori» e «under» Una benevola credenza afferma che ciascuno di noi è protetto dal suo angelo custode. Ebbene, don Ferruccio Valcareggi, privilegiato tra i comuni mortali, di angeli custodi ne ha due: quello che lo fortifica durante e dopo una vittoria, quello che 10 giustifica e contribuisce a dargli ragione dopo una sconfitta. Miracolato dai suoi « quattro grandi » (Riva e Boninsegna. Mazzola e Benetti) a San Siro, il nostro commissario ritrova prontamente al suo fianco i trasformisti della critica sportiva, ohe inneggiano a lui proprio per la sconfitta subita dagli « azzurrini » a Vàxjb. E così lo « chef » delle squadre nazionali su un piatto raccoglie i punti necessari, sull'altro tesaurizza opinioni e fiducia prò domo sua. Poveri « azzurrini », fratelli cadetti e quindi sfortunati, come impongono le retrive concezioni d'un'aristocrazia ormai passata di moda! Nessuno osa dire a don Ferruccio che le quattro pappine di Vàxjò sono paragonabili alle arance di Cagliari. Nessuno inquadra il problema di politica sportiva in omaggio alla quale l'intero torneo degli « Under 23 » è anch'esso una formula in rodaggio, con tante sospettose buche sul suo cammino. E soprattutto nessuno ha 11 fegato di esaminare gli errori dello stesso commissario, vincente in casa e sconfitto fuori. Perché errori, e madornali, ne ha commessi tanti con i suoi « azzurrini »: spostando uomini secondo piani cervellotici (chi è terzino diventa mediano di spinta, chi è abituato a muoversi lungo la linea d'ala finisce centravanti, chi è solito giocare a sinistra è allineato a destra, chi nella sua squadra è ancora riserva, in Nazionale eccolo deputato a difficili compiti di mezzala, e via discorrendo...), considerandoli al massimo un serbatoio di forze cui attingere nel momento opportuno, un'accolita di stinchi pregiati visti non come un assieme armonico, cioè una squadra, ma un ripostiglio di attrezzi che saranno utili solo più tardi. Vaxjb come Cagliari e la sua pioggia di arance, ma certo: qui sta il concetto e la misura di paragone. I ragazzi spediti in Svezia avranno certo tante colpe, ma tutte controbilanciate da errori dei « superiori », che quasi si rappacificano nel vederli bruciare in partite condotte sotto il segno dell'orgasmo inevitabile e della nullità tattica. E con questa sproporzione di giudizio: la Nazionale maggiore può permettersi di sbagliare (da Lisbona a Toluca, da Dublino a Berna p. Firenze a Cagliari) perché intorno a lei il fuoco degli affetti pubblici contribuisce sempre a estreme rinascenze, mentre le Nazionali minori, dalla « Under » al pateracchio della Lega visto a Torino, devono sottostare alla critica più implacabile, ad un fuoco di fila di stroncature. Certo, i giovani non hanno esperienza. Lapalissiano anche per Valcareggi. Però devono e possono fabbricarsela a contatto con chi esperienza ha. Causio che gioca con Mazzola probabilmente sarebbe diverso da un Causio che gioca con Pulici, uno stilista come Sala sarebbe da vedersi in « dialogo » con Riva. I giovani che debbono maturare si raffinano, imparano e crescono proprio se introdotti in un ambiente misto, non se li si obbliga a recitare un identico e fioco copione tra di loro. Quando si parlava di ringiovanire la Nazionale maggiore, si intendeva chiara- mente indicare quei due-tre, forse quattro uomini ormai logori, da sostituire con urgenza. E' entrato un Benetti, ma non si è provato Burgnich libero, non si è trovato un terzino, non si è aggiunto un altro panzer al centrocampo. E Anastasi sull'ala è un'ipotesi che potrebbe ripigliare consistenza, un'ipotesi di oltre un anno fa, mai sperimentata a dovere. E' così che s'è perso tempo, facendo saitare qualche valvola e tenendone altre nel cassetto. E adesso si ricuoce la stanca minestra del Valcareggi che ha sempre ragione. In un'assurda Querelle sui vecchi e giovani, pirandelliana più che mai. Mentre una buona famiglia — si sa — non può sopravvivere che in giusta commistione di anziani e ragazzi. Così la critica in cerca di argomenti si è subito ritrovata tra le mani le « fumanti Colt » contro i reduci di Vaxjo, in un duello impari solo perché non voleva individuare il suo maggior bersaglio. Mentre a noi piacerebbe vederla una partita vera, tra la Nazionale adulta e quella più giovane. Ci piacerebbe proprio — secondo il costume inglese — assistere a novanta minuti di allenamento tiratissimo con relativo premio o medaglia-ricordo finale, osservare uomini e manovre, stendere pagelle di merito, paragonare reparti secondo opposti pregi o difetti. La federazione può farci un pensierino: l'affetto che il pubblico tributa ai suoi Azzurri contribuirebbe a lanciare una partita milionaria, ed anche criticamente valida (per noi, se non per lo « chef »). Avendo presenti queste ragioni, raccogliamo i gol di Vàxjò e deponiamoli (pur spartendone l'amara lezione) sul piatto dei frutti che adorna la mensa di don Ferruccio. Al quale noi auguriamo di vincere su tutti i fronti. Ma deve tener presente un dato: e cioè che mai, da tanti anni, il calcio italiano ha messo all'onore del mondo una pattuglia così ricca di nomi buoni come oggi. Buoni nomi per squadre possibili, non per insalate miste senza olio e pepe. Buoni nomi e ottimi stinchi anche se la specializzazione in football sforna professionisti che nascono e vivono in quel fazzoletto di terreno, chi correndo su quella tal linea, chi impostandosi in quei soli metri quadrati: specializzazione abnorme, ma fondamento reale e non scavalcabile quando si deve costruire un « undici i). Una specializzazione alla quale possono sfuggire solo atleti di classe luminosa, come ha dimostrato Mazzola all'ala, un settore dove da secoli (si fa per dire) nessuno era più abituato a spedire una palla, condizionati dai famosi « ritorni in proprio » di Domenghini. Il miracolismo calcistico non ci riguarda, bensì lo studio e la volontà di affrontare e risolvere precisi problemi. C'è voluto più di un anno (e maree di inchiostri) per far disputare novanta minuti in azzurro a Porthos Romeo Benetti. Anche questo è un segno. Non vorremmo che tra sette mesi o tre anni l'amletico don Ferruccio, dilaniato dal problema (quasi risolto, se si inventano gli schemi) dell'ala destra o di certi vuoti a centrocampo, avesse un lampo di puro genio: riscoprendo un certo Domingo. Scommettiamo che riceverebbe applausi? Giovanni Arpino Pietro Anastasi

Luoghi citati: Berna, Cagliari, Dublino, Firenze, Lisbona, Svezia, Toluca, Torino