II processo agli argini del Po un mucchio di soldi mal spesi

II processo agli argini del Po un mucchio di soldi mal spesi Un convegno a Mantova per curare il grande fiume II processo agli argini del Po un mucchio di soldi mal spesi Secondo gli studiosi, le difese alzano il « letto » e favoriscono le piene - Gli altri grossi problemi: l'inquinamento da concimi chimici, il riassetto degli affluenti - Si chiede di escludere dalla navigazione fluviale i petroli (Dal nostro inviato speciale) Mantova, 9 ottobre. Questo convegno di studio sul Po, aperto oggi a Mantova, sembra una rassegna di follie compiute in passato sotto l'etichetta di grandi c ammirate opere pubbliche. Le bonifiche padane? « Uno dei più dissennati e diseconomici disastri della storia italiana ». Gli argini tanto decantali come difesa del Polesine da nuove alluvioni? « Una pazzesca rincorsa col letto del fiume che si alza sempre più, in parte per colpa delle stesse arginature ». Sembra di ascoltare, dalle relazioni di scienziati e te¬ cnici, riuniti a Mantova dalV«Associazione amici del Po», il racconto di una lunga congiura ai danni del Po e delle popolazioni padane. Gli errori e gli attentati, ripetuti per generazioni, sono enormi e hanno costi altissimi: 117 miliardi furono spesi dopo le alluvioni del Polesine per alzare gli argini oggi messi sotto accusa e per avviare un riassetto artificiale del Delta, che sembra la premessa a nuovi disastri. Sommiamo ai miliardi spesi dallo Stato quelli perduti dalla collettività (le alluvioni causarono danni per 6 mila miliardi), poi quelli che si stimano necessari per rie- o a a i i a o , rl e oene ; uura o ien funb- o e il e quilibrare definitivamente il bacino (da 700 a .900) e arriviamo a cifre che lasciano perplessi, tanto più se si tiene conto del fatto che le cause del disastro naturale restano quasi immutate. Aggiungiamo il quadro dei danni che il Po subisce attualmente dalle industrie e dalle concentrazioni di attività umane: la dissipazione appare in tutta la sua evidenza. Il prof. Mario Fregoni. docente della facoltà di Agraria a Piacenza, ha offerto con altri studiosi un'antologia di situazioni paradossali. Il Po non riesce a smaltire le acque di piena, ma gli agricoltori stentano ad irrigare i campi perché, in condizioni I normali, l'acqua va sempre più alle industrie e domani servirà ai canali navigabili. Concimi chimici e pesticidi assorbono, ogni anno. 40 miliardi di lire nella sola Valle padana: in parte avvelenano il suolo e il fiume, in parte servono per la produzione di frutta che viene poi eliminata sotto i cingoli dei trattori. L'inquinamento chimico causa, ogni anno, all'agricoltura e all'allevamento del bestiame 8 miliardi di danni. 3 miliardi di danni alla selvaggina, 7 alla pesca. Sempre nel bacino del Po. E' possibile che tanti errori siano stati commessi e vengano ripetuti per mancanza di nozioni elementari sulla catena di conseguenze che ogni intervento dell'uomo ha sulla natura? Il presidente del Magistrato del Po, Mario Rossetti, cita un precursore dell' ecologia. Bonaventura Angeli, il quale spiegò, nel 1591, il meccanismo delle alluvioni: taglio dei boschi, colture su pendii troppo ridipi, acque troppo veloci che trascinano a valle detriti e terra intasando il letto del fiume in cui rovesciano repentinamente enormi masse d'acqua. Oggi, anziché provvedere a monte, si progettano a valle immense e costosissime vasche. Da secoli continua la spoliaziotie da monti: nel Settecento e nell'Ottocento per fare carbone di legna, poi per allargare lo spazio a coltivazioni antieconomiche. I governi sabaudi, quello fascista, infine quelli democratici, continuarono a bonificare il Delta e ad alzare gli argini. ::ze:itre i monti, gli affluenti, le piane, erano abbandonati a un uso arbitrario e casuale. Gli scienziati non vedevano nulla? I governi non avevano esperti? La domanda vale per l'insediamento di industrie lungo il Po e le modifiche del suo regime e del letto, anche per bacini artificiali sulle Alpi, preziosi fornitori di energia elettrica, ma oggi ritenuti di danno all'equilibrio del fiume. Non è sorprendente che attualmente abbondino le documentazioni sull'inquinamento del Po, mentre le fonti restano immutate? « Una odiosa caratteristica del nostro tempo non è l'ignoranza, ma la carenza di volontà. SI sa quello che si deve sapere, ma non se ne traggono le tempestive conseguenze », ha detto oggi Cesare Zavattini in un discorso affettuoso che conteneva qualche chiaro avvertimento. C'è una stanchezza mortale per i programmi teorici e per le cifre, che restano sulla carta. Dopo ogni alluvione, furono annunciati stanziamenti robusti: 120 miliardi in seguito al disastro del 1951, poi altri 120: poi 200 dopo il tremendo autunno del 1966. E altre centinaia di miliardi previsti nel piano quinquennale. Ora si apprende che solo una parte fu spesa, con destinazioni criticate. Onesta capitale di acque interne, circondata da tre laghi, col respiro del Po a due passi ed un attivo porto sul Mincio (1.350.000 tonnellate di merci), è la sede giusta per un esame della condizione del Po e del suo bacino. Somma alla posizione geografica le tradizioni di cultura fluviale. E' stato ricordato che già nel 1773 la « Reale accademia di Mantova per le scienze » aveva posto il quesito sul rapporto tra l'altezza degli argini e la gravità delle inondazioni. A quel tempo, il fiume in piena arrivava a due metri sul livello di guardia; nel 1951 il livello arrivò a 4 metri e 21 centimetri: oggi la zona di Ostiglia si trova a 6 metri sotto il fiume in piena e il deflusso delle acque è sempre più len- | to perché il letto non lui pendenza sufficiente ne! tratto terminale. « Guai a toccare i rami alla | foce del Po »; « l'arginatura non può essere aumentata all'infinito »: « non si devono costruire opere di sbarramento »; lo ripetono geografi, geologi, docenti di idraulice Ma dalle denunce al h che fare » il passo è enorme. Un preciso programma per il Po porta con sé scelte a lungo termine dell'intera Valle Padana. Ne hanno, infatti, parlato economisti c giuristi. Si dovrà pure sce¬ grcrPetPnoqdsdplatdpzpIIjLtC«rcccllegnt(tllm gliere tra un Po navigabile, regolato nel suo corso per accogliere piccole navi da carico dirette a Milano, e un Po turistico, dalle rive verdi e dalle acque pulite. Queste scelte programmatiche si riflettono sull'intera Padania: nuove concentrazioni di industrie e di abitanti, oppure riordinamento di quelle esistenti? E la parte dell'agricoltura? Tutto è inscindibile dalla vita del grande fiume. Se la coltura dei pioppi avesse nuovo impulso. l'Italia risparmerebbe, ogni anno, 400 miliardi per importazione di legname e pasta di legno, assicurando, al tempo stesso, la naturale protezione delle rive. Il gruppo di studio del prof. Berbenni. idrologo di | Pavia. Ita portato al convegno un lungo rapporto sulla salvaguardia dell'ecosistema padano. Contiene i risultati dell'indagine sull'inquinamento chimico, di cui avevamo già parlato su La Stampa e una serie di proposte concrete. Tra le altre: riassetto degli affluenti del Po. rimboschimento delle zone montaite, divieto di taglio di boschi anche nelle zone alpine di interesse sciistico, limitazione dell'attività delle raffinerie, sviluppo del verde anche nei parchi alpini. Un architetto. Cesare Mercaudino, fa proposte non discordi, chiedendo di escludere il traffico dei petroli dal Po reso navigabile. Mario Fazio

Persone citate: Berbenni, Bonaventura Angeli, Cesare Zavattini, Mario Fazio, Mario Fregoni, Mario Rossetti

Luoghi citati: Italia, Mantova, Milano, Ostiglia, Pavia, Piacenza