Non scherzare su Robin Hood

Non scherzare su Robin Hood Non scherzare su Robin Hood (Duecent'anni di Walter Scott) Maestro di Puskin, di Manzoni, di Balzac, Walter Scott, di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita, è, |kt la maggioranza dei lettori, niente altro che uno scrittore per adolescenti, colui che ha dato vita a Robin Hood in Ivanhoe, o il soggettista di ingenui, spericolati e dispendiosi film a colori, girati per lo schermo panoramico gigante c il suono stereofonico. Le cose non stanno così. Anche se Walter Scott arrivò al pubblico, non solo italiano, nel pieno del Romanticismo, sull'onda di un successo c di una notorietà per quei tempi impensabile, così che alcuni suoi racconti d'argomento gotico ed esotico furono immediatamente ridotti per il teatro d'opera (come oggi ancora, ripetiamo, vengono ridotti per lo schermo), la sua grandezza va cercata altrove. Hugh Trcvor-Ropcr, in un bel saggio scritto in occasione di questo bicentenario, dice che Scott non dovrebbe più pagare per la corrività dei suoi imitatori c dei suoi riduttori: perché renderlo responsabile di colpe non sue? Ivanhoe ha ben poco a che vedere col film del medesimo titolo; La sposa di Lummermoor poco ha da spartire con l'omonima Luciti di Donizetti, un melodramma che è certamente un capolavoro, ma per motivi tutti diversi da quelli scottiani. Se si pensa a Walter Scott, si pensa a un medioevo di cartapesta, a scenografie di traballanti castelli, a boschi che meglio sarebbe sfrondare. Niente tli tutto questo, invece. Se c'è un Walter Scott che può giù-, stilìcarc in piccola parte immagini simili, c il suo lato minore e caduco, quei romanzi, cioè, clic scrisse dopo Ivanhoe, dopo il 1820, quando, inseguito dal bisogno di guadagnare sempre di più, perché coinvolto in una spirale di speculazioni editoriali, e per soddislarc le proprie manie di castellana grandetti-, si dette a comporre senza andare troppo |icr il sottile, a dettare pagine mediabilmente nel dimenticatoio. La grandezza di Scott va cercata nel ciclo di Waverley, in quei romanzi dove rappresentò la tragedia del passato recente della sua Scozia, vasti affreschi dove ritrasse i conflitti, le crisi, le speranze di una società votata a sicuro tramonto, che però tentava strenuamente, c con generosa caparbietà, di tenersi in vita. Walter Scott dette a tutto questo espressione di poesia. Individuò il varco che si apre tra il vecchio c il nuovo: il nuovo clic preme e di cui nulla può impedire la \ittoria |k'rchc essa c nella forza delle cose; il vecchio che non vuol morire )ierchc sa di avere dalla sua una tradizione di eroica e plastica bellezza, imparagonabile con la mediocrità che avanza. Scott è grande in questi romanzi della sua giovinezza (i sette libri del ciclo di Waverley vennero dati alle stampe tra il 1814 e il 1819), dove ha dato forma al trapasso di una minoranza linguistica e sociale, quella scozzese, da un'epoca di solennità ancora intrisa di echi medievali a un'epoca trancamente borghese, in cui i valori non sono più fondati sulla mostra del coraggio tìsico e di una adolescenziale e lirica singolarità di persone, ma sull'intelligenza e sul giusto mezzo, sul compromesso politico anche: valori da cui è esclusa qualsiasi attrazione per un irraggiungibile ideale. In ciò, Walter Scott non fu, contrariamente a quel che si creile, un romantico: in lui non c'è entusiasmo |icr qualsiasi aspetto del sublime; c'è piuttosto, verso di esso, una distaccata ironia, e. più generalmente, un'articolata sensibilità per le torme quotidiane, bori; he prosaiche, realtà. Grande realista, dunque. Egli ha aperto con i romanzi in cui appariva la Scozia sul finire del secolo XVI1 e alla metà del secolo XVI11 — una vita travagliata di ribellioni alla casa regnante degli Hannover, in difesa delle defunte idealità stuardianc —. lui aperto, dicevo, un orizzonte nuovo al romanzo europeo, quello degli uomini comuni o dell'eroe medio v, colpito e travolto dal¬ laScrestsc10noglsoSideernmsp11 cocainsuvbmcedkmmddslaslavvgrnrlqtnpsssdtpcabslmfnqsca a o ò l e a e . i y l o , a i ae a lzo a ru, si ui l'è na eie, li ui re tà ta aer, ao, al eoe al¬ la lorza storica. Non a caso Scott fu un grande ammiratore di Jane Austen: dalla sua stessa penna sappiamo che icssc Orgoglio c pregiudizio per 10 meno tre volle. Puskin si accorse di tanta novità: « La scuola nuova degli storici frinitesi si e formata sotto l'influsso del romanziere Siutt. figli fui mostrato fanti del tutto nuove, che fino allora erano rimaste loro ignote, nonostante l'esistenza del dramma storico creato da Shakespeare...*, Puskin, così, coglieva 11 parallelo più esatto, quello con Shakcs|x:arc. Scott, difatti, rinnova tecnicamente il romanzo mettendo in primo piano il dialogo, i suoi personaggi parlano come vivono, le battute clic si scambiano sono il sale del dramma, il punto in cui esso si accende ili significato. Per non dire poi clic Scott, come Shakespeare, era un legittimista, ma non cieco al punto — come non lo fu Shakespeare — di non scorgere nelle ragioni degli « usurpatori » una necessità obicttiva. Gyorgy Lukàcs, cui si deve la rinascita scottiana in questo secolo, ha scritto che la particolarità del romanziere di Waverley ha radici nel suo conservatorismo: ed è vero. Ma bisogna intendersi: è il conservatorismo di chi guarda al passato non come un bene da |k'r|)Ctuarc costi quello clic costi, ma alla luce critica del presente. In questo senso il passato è un patrimonio clic solo nella vita e nella incessante crisi della vita può trovare la sua ragion d'essere: ha bisogno di venir distrutto e rigenerato. Tanta distruzione comporta tragedia, dolore, sofferenza, ed in questa tragedia si affissa l'occhio del poeta. Nella sofferenza umana che i mutamenti della storia alimentano, egli legge la possibilità di un collettivo riscatto, sa innalzare il canto corale della pietà, c |icr questa via il romanzo diventa opera di profonda educazione. Scott aveva questa concezione della letteratura: come un qualcosa clic non potesse venir svincolato dall'esistenza, ma clic è espressione di una società viva, la quale il tempo può anche cancellare e disperdere, ma che la storia, o l'immaginazione storica, sa come preservare c tramandare a memoria. * * A questo punto insorge naturale il nome di Alessandro Manzoni. Ebbene, sappiamo quanto Manzoni intimamente soffrisse una simile concezione della storia, quanto desiderasse offrire, attraverso la storia e la sua conoscenza, una salvezza ai suoi lettori. Scott non ebbe un'altrettanto sottile e turbata consapevolezza: fu scrittore assai più disinvolto, irruente, persino incontrollalo, e la sua felicità, la sua profondità, si esprime nella naturalezza dell'invenzione, in una talvolta patetica linearità di disegno. Nei suoi romanzi, a partire da Waverley lino al bellissimo The fieurt uf Midlothian, c nel tardo Redgtitintlct (1824), incontriamo sempre un giovine inglese che, per vari motivi di viaggio, arriva in Scozia, e in virtù delle sue poco esaltanti qualità umane, proprio nel suo essere un po' mediocre e scolorito, resta coinvolto in una tragedia collettiva di cui non può essere altro che il testimone: la intende non lino in fondo, ma riesce a osservarla e patirla, e la vita intorno a lui si tinge dei colori più lividi. La sua mediocrità diventa un intallibile metro di giudizio. Ecco: all'interno di quella struttura, che può sembrare finanche acerba, Scott versa un ricchissimo sapere di società e di uomini. Degli uomini non riuscì a penetrare i viluppi delle passioni d'amore: il dramma della monaca di Monza non avrebbe inai saputo rappresentarlo, ma il primo viaggio di Renzo a Milano, il tumulto del Porno delle Grucce, quella sì che sarebbe stata materia anche sua. Walter Scott ci si svela, dunque, poeta non dell'individuale ma della massa, vero poeta della storia, c su questa strada, ma solo su questa — se la storia tu un'invenzione dell'Ottocento — grande romantico, non al modo di un Byron, ma al modo di un fortuito allievo di Cìiman Battista Vico e di Hegel. Enzo Siciliano pmfozcrsmnlctLnbsmKzcstbsCpzgutptscsmCmggehm

Luoghi citati: Milano, Monza, Scozia