L'opera di Strawinsky eseguita da suo figlio di Massimo Mila

L'opera di Strawinsky eseguita da suo figlio Il Festival musicale di Venezia L'opera di Strawinsky eseguita da suo figlio 11 concerto del Quartetto Italiano e l'orchestra della radio francese - Intermezzo esotico coi balletti di Giava (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 16 settembre. « Dal passato prossimo al futuro », tale l'insegna a cui si ispira questo 34" Festival di musica contemporanea della Biennale. Il passato prossimo è, ovviamente, Strawinsky, la cui spoglia qui a Venezia riposa e alla cui presenza non dimenticabile la Biennale intende prestare omaggio, riascoltando alcune delle sue opere meno famose, « acconto a quelle degli autori maggiori nate durante gli anni della sua vita ». In realtà, questi « autori maggiori » sono scelti fra gli espressionisti viennesi (ma Hindemith e Bartok avrebbero molto da dire in un panorama ambientale intorno a Strawinsky), ed essendo da questa rassegna esclusi i capolavori strawinskyani più noti, accade spesso che il confronto si svolga su terreno sfavorevole al festeggiato. Cosi è accaduto ieri, per esempio, nel bel concerto tenuto alla scuola di San Rocco dal mirabile Quartetto Italiano, dove la poca produzione strawinskyana per quartetto d'archi (i Tre pezzi del 1914, il Concertino del 1920 e un brevissimo Doppio canone del 1959) sfigurava alquanto accanto alla squisita fioritura quartettistica di Anton Webern. Oltre ai Cinque movimenti op. 5, alle Sei bagattelle op. 9 e al Quartetto op. 28, i bravissimi concertisti presentarono due pagine postume, risalenti al 1905, di gusto romantico e di scrittura perfettamente tonale, che nella loro malinconia postbrahmsiana possono dare una idea lusinghiera del personaggio Webern anche a chi per avventura fosse allergico al linguaggio della musica moderna. Bel concerto, s'è detto, vivamente applaudito da un pubblico abbastanza numeroso. E per altro avversato da numerose contrarietà: intermezzo ossessionante di campane, una corda saltata a Borciani, ostentata uscita dalla sala, in gran dispetto, di Heinzaclaus Metzger, il critico tedesco che di Webern si considera il vicario in terra. Un omaggio pieno, senza confronti imbarazzanti, fu quello rivolto a suo padre dal pianista Sulima Strawinsky (dotato, tra l'altro, d'una rassomiglianza impressionante con l'augusto genitore). Ier l'altro, in un concerto mattutino alle Sale Apollinee della Fenice, gremitissimo di pubblico, ha presentato praticamente l'integrale della produzione pianistica paterna, con esecuzioni sobrie e musicali, ovviamente autorevoli, della Serenata (1925), di Les cinq doigts (1921), della Sonata (1924), cosi gravida di destini nella storia della musica moderna, delle due pagine leggere di Piano rag music (1919) e di Tango (1940). A questi classici il concertista aggiunse due curiosi Studi giovanili, che sembrano parafrasi, rispettivamente, di Chopin e di Liszt, e una propria trascrizione dello Scherzo e bercelise dall'C/ceetto di fuoco, terminando applauditissimo con quei Trois mouvements de Petrouchka, che in verità sarebbe meglio lasciare a quei pochi sestogradisti del virtuosismo acrobatico in grado di affrontarli felicemente. L'altra sera fummo chiamati alla Fenice per un intermezzo esotico fornito dai « Balletti e musicisti di Sunda », cioè un saggio del gamelan di Giava. Si tratta però del gamelan degung, con sette soli strumenti, per lo più lamine dolcemente vibranti, su scala diatonica o pentatonica: un gentile gamelan da camera, praticato nel distretto occidentale di Sunda, che non possiede le risonanti attrattive delle imponenti polifonie di campane in uso nel gamelan classico della regione centrale di Giava. Le concezioni teatrali, per marionette e ombre cinesi, sono assai semplici. Evidentemente il teatro giavanese aspetta ancora, non diciamo il suo Shakespeare, ma semplicemente il suo Scribe; le lamentose cantilene vocali impiegano microintervalli sconosciuti ai tintinnanti strumenti del gamelan; le danze sono l'elemento di maggior attrattiva, col movimento squisito delle mani in una specie di costante circolarità dall'esterno all'interno. I quindici artisti indonesiani furono applauditi corr simpatia da un pubblico un po' assonnalo. Ben altrimenti scaltriti ed efficienti ospiti i membri dell'Orchestra filarmonica dell'O.r.t.f., cioè della Radio francese, un complesso quanto mai esperto e rotto alle insidie della musica contemporanea. Bisognava vedere con quale tranquilla indifferenza professionale eseguirono ieri sera, sotto la direzione di Marius Constant, le catastrofiche esplosioni di Nomos gamma, di Iannis Xenakis, uno di quegli esperimenti di circolazione del suono per linee concentriche, che al compositore ed architetto greco erano riusciti meglio col primo saggio di Terretekhtor. L'orchestra è ripartita in quattro gruppi, in cerchio, il doa gbesufito1plug1pcnCfosnnlanocnnseS direttore sta in mezzo, il pub olico ò teoricamente invitato a circolare in mezzo ai leggìi (per questo il concerto ebbe luogo nell'ampia superfi eie della Basilica dei Frari, sulle ossa di Monteverdi ). Prima di questo fragoroso finale il pubblico aveva molto applaudito Lovecraft op. 13 di Claude Ballif, un compositore francese tenuto a lungo in una specie di inspiegabile quarantena. Scritto nel 1955, Lovecraft giungeva appena ieri sera alla prima esecuzione nella versione originale per grande orchestra. Consiste principalmente d'un formidabile crescendo orchestrale, di bella linea ascensionale, racchiuso tra due sezioni più raccolte e calme. Il lavoro, definito una Sympho ny-Uction, vuol essere un omaggio allo scrittore americano J.'P. Lovecraft, che noi non abbiamo il bene di co noscere. La parte del « passato prossimo », in questo concerto, era rappresentata dall'Ode di Strawinsky e da L'Ascensìon di Messiaen. L'Ode fu composta nel 1943, in memoria di Natalia Kussevitzkl, mo glie del grande direttore d'orchestra. Il termine di « com posizione », che tanto spiaceva a Goethe, torna qui a proposito, perché il lavoro consta di tre parti dove le divertenti e movimentate avventure sonore della ecloga, già scritta in precedenza per un film andato a monte di Orson Welles, ci stanno come i cavoli a merenda in mezzo alle severe polifonie di fiati dell'eulogia e dell'epitaffio, reminiscenti delle arcaiche Symphonies pour instruments à vent, in memoria di Debussy. Le « Quattro meditazioni sinfoniche » de L'Ascension mostrano un Messiaen venticinquenne, non ancora punto da ambizioni di caposcuola, impegnato a mettere insieme ben sonanti poemi sinfonici d'estrazione franckiana con un'abilità professionale ed una musicalità paragonabili a quelle che aveva esibito da noi un Respighi. Massimo Mila

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