Controllare l'energia di fusione è come addomesticare le Stelle di Bruno Ghibaudi

Controllare l'energia di fusione è come addomesticare le Stelle Il punto sulle attuali conoscenze nucleari a Ginevra Controllare l'energia di fusione è come addomesticare le Stelle Un giorno potremo piegare alle nostre necessità i complessi fenomeni che avvengono negli astri e nella bomba all'idrogeno, ma la meta appare ancora lontana - Una data prevedibile, il Duemila (Nostro servizio particolare) Ginevra, 13 settembre. E' probabile che entro una quindicina d'anni l'uomo avrà scoperto il modo per controllare e sfruttare pacificamente l'energia di fusione, costruendo il primo reattore di questo tipo. Ci vorranno però almeno trent'anni prima che le centrali elettronucleari a fusione possano diventare operative. Questa è una delle più importanti conclusioni sulla quale si sono trovati d'accordo i quattromila scienziati e tecnici atomici riuniti per la quarta conferenza internazionale sull'impiego pacifico dell'energia nucleare. La reazione di fusione avviene quando nuclei d'idrogeno pesante (deuterio o trizio, cioè il secondo e il terzo isotopo dell'idrogeno) fondono insieme due a due per dare origine ad atomi di elio. Affinché essa avvenga è necessario che i nuclei siano proiettati l'uno contro l'altro, in condizioni particolari, da una forza tanto grande da superare la forza elettrica repulsiva dovuta alla carica dei nuclei. Per provocare urti di suffi¬ ciente violenza bisogna riscaldare gli isotopi d'idrogeno a temperature elevatissime (intorno ai 100 milioni di gradi centigradi) per un tempo sufficientemente lungo, dopodiché la reazione di fusione termonucleare si autosostiene. I problemi che stanno alla base dell'utilizzazione pacifica della reazione di fusione sono perciò di doppia natura: da una parte si tratta di far raggiungere al gas questa elevatissima temperatura, dall'altra si tratta di mantenere per un tempo lungo a piacere le condizioni di autosostentamento. Bottiglie magnetiche Il combustibile può essere facilmente ricavato dall'acqua di mare. Il consumo di combustibile si aggirerà sul trentesimo di milligrammo di idrogeno per ogni chilowattora fornito. Un reattore a fusione che alimenti una centrale elettronucleare da 10 milioni di chilowatt, sufficiente cioè per una città grande come lo sarà Roma fra vent'anni, consumerà appena un chilo di deuterio e un chilo di trizio al giorno. Un reattore a fusione dovrebbe però lavorare sull'idrogeno pesante trasformato preventivamente in plasma. Il plasma, definito anche « quarto stato della materia » (dopo i tre stati solido, liquido e gassoso), non è altro che un gas a temperatura estremamente elevata, formato da un miscuglio di atomi, di elettroni e di ioni (questi ultimi sono atomi a cui è stato aggiunto o strappato artificialmente qualche elettrone e che perciò non sono più « elettricamente neutri » ma possiedono una carica positiva o negativa). Prima proprietà del plasma è quella di essese conduttore di elettricità e di risultare sensibile ai campi elettrici e a quelli magnetici, che diventano gli strumenti adatti a maneggiarlo. I problemi pratici connessi alla fusione termonucleare sono enormemente complessi. Una volta creato il plasma di deuterio o di trizio si tratta di riscaldarlo ulteriormente mediante scariche elettriche e di impedire — con l'aiuto di opportuni campi elettromagnetici — che esso venga a contatto con le pareti dei recipienti destinati a contenerlo: nessun materiale riuscirebbe a resistere senza fondersi a temperature tanto elevate. D'altra parte, anche se resistesse, il contatto con una parete più fredda contribuirebbe a raffreddare il plasma, mettendo in forse la prosecuzione della reazione. Recipienti di questo tipo vengono denominati « bottiglie magnetiche », e in pratica non sono che zone di spazio circondate da un intensissimo campo magnetico, che agisce sulle particelle cariche del plasma respingendole lontano dalle pareti e confinandole verso l'interno del recipiente per un tempo detto « di confinamento ». I tentativi già fatti in questo campo si chiamano Stellarator, Astron Tokamak, Spherator e molti altri ancora. Impiego del laser Questi frammenti di sole in bottiglia sono già stati creati in laboratorio e con moltissimi sforzi, ma per ora i risultati sono labili. Un plasma di caratteristiche adeguate a questi usi non ha ancora potuto essere conservato per tempi superiori al centesimo di secondo: appeI na viene imprigionato nella I bottiglia e ulteriormente scaldato, il plasma diventa sede di fenomeni magnetici tanto ) intensi da opporsi vittoriosai mente al campo magnetico i che forma la bottiglia e da | sfuggire in tutte le direzioni. Gli studi attuali tendono perciò a perfezionare le bottiglie magnetiche e a conoscere meglio le proprietà del plasma, in modo da arrivare a tenerlo imprigionato per un tempo via via maggiore. «Fino a qualche anno fa eravamo piuttosto pessimisti perché si riteneva che la turbolenza e l'instabilità del plasma non potessero essere eliminate — ci ha spiegato il professor B. Lehnert, presidente della divisione di fisica del plasma della Società europea di fisica — e pensavamo addirittura che esistesse un limite teorico nella durata del confinamento dì un plasma al di là del quale non arebbe mai stato possibile andare. E poiché la reazione di fusione diventa possibile solo quando si riesce ad ottenere un plasma sufficientemente denso e che rimane confinato per un certo periodo, eravamo tutti piuttosto scettici sulle possibilità di realizzare in pratica un reattore a fusione. Studi ed esperienze successive ci hanno invece permesso di superare molti ostacoli e di ottenere risultati quanto mai incoraggianti ». Nel fare la sintesi delle relazioni presentate, il fisico sovietico M. D. Millionshikov ha spiegato che le ricerche attuali sono orientate in due direzioni diverse. Gli scienziati che seguono la prima mirano ad ottenere plasmi a bassa densità (dell'ordine del decimillesimo d'atmosfera) e a mantenerli per tempi abbastanza lunghi (dell'ordine dei secondi). A questo fine le bottiglie magnetiche di forma chiusa, toroidale, si stanno dimostrando particolarmente adatte. Nella seconda direzione è stato invece possibile procedere con l'aiuto delle tecnologie più recenti. Si tratta cioè di depositare sul plasma ad alta densità (addirittura molto vicino allo stato solido) una grandissima quantità di calore in un tempo brevissimo (dell'ordine del milionesimo di secondo). Molto promettenti, al riguardo, si stanno rivelando le ricerche condotte con i laser. Il procedimento consiste nel preparare un bersaglio solido formato da un miscuglio di deuterio e di trizio solidificati a bassissima temperatura, e di folgorarlo con un raggio laser, che in un attimo trasforma il solido in plasma ad alta densità per una breve durata. Ottenuto il plasma, si tratta di conservarlo per un tempo sufficientemente lungo. E questo è un altro aspetto non ancora risolto del problema. Problemi della stessa natura sorgono poi quando si tratta di estrarre il calore così prodotto e trasformarlo in elettricità, Bruno Ghibaudi

Persone citate: Lehnert

Luoghi citati: Ginevra, Roma