Inglesi in riva all' Arno di Marziano Bernardi

Inglesi in riva all' Arno MOSTRA SUI RAPPORTI FIRENZE-GRAN BRETAGNA Inglesi in riva all' Arno In Palazzo Pitti, una serie di splendidi ritratti dal Cinquecento ai Preraffaelliti Benché nessun'altra città italiana, tranne Venezia ai tempi del console Smith, abbia esercitato sugl'inglesi un fascino così intenso come Firenze, i rapporti artisticoculturali di questa con l'Inghilterra, in un arco di tempo che va dalla seconda metà del Trecento ai giorni nostri, non hanno ancor trovato una sistemazione storica e critica in un'opera unitaria che superi la frammentarietà di saggi parziali. ) Lo conferma una specialista negli studi sulla civiltà anglo-fiorentina del Sei e Settecento, Anna Maria Crino, nell'introduzione al catalogo (ch'è poi un'eccellente monografia illustrata, ricchissima di notizie interessanti) della mostra aperta nel Palazzo Pitti di Firenze, che intitolata Firenze e l'Inghilterra riunisce 286 dipinti antichi e moderni, miniature, scaglio le, disegni, incisioni, monete e medaglie, oggetti vari dalle armi agli orologi, porcellane e libri. Meglio d'ogni altro un'opera siffatta potrebbe darcela Mario Praz, che già trattò il tema dal punto di vista letterario. E se facciamo questo nome è perché parecchi dei ritrattisti inglesi, di nascita o di elezione, che ora si vedono nel Palazzo Pitti — da Peter Lely a Richard Cosway. da William Hogarth a Joshua Reynolds, da George Romney a Johann Zoffahy — sono compresi nel delizioso libro del Praz, Scene di conversazione, che un editore in¬ telligente e coraggioso, Ugo Bozzi di Roma, ha pubblicato quest'anno proponendo a conforto di chi è sazio della confusa sperimentazione artistica attuale centinaia d'immagini incantevoli che ci piace definire (horresco referens!) « quadri che raccontano ». Ad ogni modo proprio questa mostra in riva all'Arno sarebbe adatta a fornire il materiale illustrativo al volume desiderato; e Marco Chiarini, direttore della Galleria Palatina, il quale ha avuto l'idea di ricercare nei depositi del museo i dipinti e gli oggetti d'arte inglesi per presentarli a un pùbblico raffinato, non vedrebbe dispersa la sua grossa fatica. Quanto al testo, sia la Crino, sia Mary Webster, curatrice esemplare del catalogo, non avrebbero che da sviluppare quel che si legge nelle introduzioni e nelle minuziose schede. Un uomo d'armi E allora la storia dei suddetti rapporti potrebbe cominciare col richiamo al celebre affresco di Paolo Uccello che nel duomo fiorentino rappresenta il condottiero John de Hawkwood, detto in Italia Giovanni Acuto; il quale, nato nell'Essex verso il 1320, dopo aver combattuto in Francia e campeggiato in Piemonte (dove le sue bande armate lasciarono tristo ricordo), nell'ultimo ventennio della sua vita avventurosa servi lealmente la repubblica di Firenze, da lui considerata una seconda patria. Se l'inglese Acuto si « fiorentinizzò » quale capitano di ventura, furono invece due umanisti toscani. Poggio Bracciolini ed Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II, a spingersi in Inghilterra per sete di conoscenze; e lo scultore Pietro Torrigiano, quello che ruppe il naso a Michelangelo con un pugno, si fece onore lavorando per la corte di Londra, precedendo il miniaturista Petruccio Ubaldini ed il manierista Federico Zuccari, che se non è « fiorentino » come scrive la Crino, a Firenze replicatamente dipinse e a Londra eseguì ritratti della regina Elisabetta e del conte di Leicester, il cui figlio, Robert Dudley, duca di Northumberland e conte di Warwick,. ingegnere navale, al servizio del granduca Cosimo II di Toscana ebbe parte importante nella costruzione del porto di Livorno. Appunto durante il regno di Cosimo II maggiormente si strinsero le relazioni cultura li e artistiche tra inglesi e fiorentini; e il quadro forse più prezioso della mostra — il ritratto di Richard Southwell dipinto da Hans Holbein — il granduca l'ottenne da Thomas Howard conte di Arundel, il primo dei grandi collezionisti eruditi britannici. Dal canto suo Cosimo III, ottimo conoscitore dell'arte inglese, quando fu a Londra nel 1669 si fece ritrarre dal celebre miniaturista Samuel Cooper, ed ordinò a Peter Lely vari ritratti di belle dame della corte di San Giacomo. Quattro casse di vino Iniziata da suo zio il cardinale Leopoldo, fratello di Ferdinando II, la famosa raccolta degli autoritratti, Cosimo III la incrementò con quelli del Lely, del Murray, dello Kneller (barattato, questo, dal principe con un quadro del Dolci e quattro casse di vino) e d'altri; ma le più importanti aggiunte s'eb bero in seguito, con gli auto ritratti del Reynolas, dello Zoffany, dei romantici Briggs, Brockedon, Harlow, seguace del Lawrence, quindi di Holman Hunt, Millais, Leighton, Richmond, Watts, Brangwyn, Lavery, Sargent. Si son citati alcuni Preraffaelliti, e non occorre rammentare come questo movimento abbia rinsaldato i contatti del gusto inglese, particolarmente «vittoriano», coi Primitivi toscani. Nota la Webster ch'è in quel clima che nacque la grande storia dell'arte italiana del Crowe e Cavalcasene, mentre un gruppo di pittori e scultori inglesi si stabiliva a Firenze, partecipando della vita spirituale dei Browning. Del resto in quegli anni John Ruskin continuava la sua scoperta, estetica e moralistica, del Medioevo italiano, e Ruskin significa anche le Mattinate fiorentine. Marziano Bernardi