Le banche e l'industria di Ironie alia nuova crisi

Le banche e l'industria di Ironie alia nuova crisi Interviste di banchieri e imprenditori Le banche e l'industria di Ironie alia nuova crisi Agnelli: L'attuale situazione comporta a brevissima scadenza un aumento della concorrenza e della competitività sui mercati non americani, in particolare su quelli europei - Urgente, secondo il presidente della Fiat, che i « Sei » e Londra stabiliscano un programma comune a e i e i , o e e a l ai t n i. i ee. e a(Nostro servizio particolare) Roma, 25 agosto. Sulle decisioni delle principali banche centrali europee, alcuni dati e pareri sono stati fomiti al settimanale L'Espresso da- « Bancor », pseudonimo sotto il quale pare certo si celi il governatore della Banca d'Italia, Guido Carli. Tra l'altro si stima che « presumibilmente il nuovo margine della sterlina e della lira verso il dollaro sarà del 3 per cento ». Nell'intervista al settimanale, « Bancor » dice di temere che la Francia non muterà le posizioni già espresse. Tuttavia, tra i sei paesi del Mec sarebbe ugualmente concordato un obiettivo finale, che è quello « di non consentire al dollaro nessun particolare privilegio nel futuro assetto monetario ». « Difficile, ma non impossibile » è definita la prospettiva di autorizzare le banche centrali a intervenire sul mercato valutario non solo nei confronti del dollaro, ma anche delle altre monete. In questo modo « il ruolo del dollaro come moneta d'intervento all'interno della Comunità risulterebbe comunque notevolmente diminuito. Tutto ciò in attesa che nasca la moneta unica europea ». Lo stesso settimanale pubblica l'opinione del presidente della Fiat sulle misure monetarie e fiscali americane. Giovanni Agnelli afferma: « Nel 1970 gli Stati Uniti hanno importato oltre un milione e 200 mila automobili. Ciò significa (calcolando un prezzo unitario di 1.350 dollari per macchina) un valore complessivo di oltre 1 miliardo e 600 milioni di dollari: mille miliardi di lire in cifra tonda. Il presidente Nizon. ha ora imposto, su queste importazioni, un dazio del 10 per cento: 100 miliardi di lire che qualcuno deve pagare. Sembra da escludere che questo onere possa essere incluso nei prezzi di vendita e quindi che venga fatto pagare ai consumatori americani, che sono protetti dal blocco dei prezzi, e che troverebbero prodotti americani a prezzi più convenienti. « Questa situazione, e facile prevederlo, significa a brevissima scadenza un aumento della concorrenza e della combattività sui mercati non statunitensi, e in particolare su quelli europei: la produzione deve essere collocata da qualche parte. In Europa anzi, oltre alla maggiore aggressività dei produttori penalizzati, potremmo assistere a un tentativo di maggior penetrazione da parte delle industrie automobilistiche americane, avvantaggiate dagli sgravi fiscali e dalle agevolazioni per investimenti decretati da Nixon. « La vittima principale della nuova politica di Nixon — prosegue Agnelli — dovrebbe essere il Giappone: gli Stati Uniti sono preoccupati del dilagare delle esportazioni di Tokio nel loro paese, che hanno contribuito in misura determinante alla formazione del disavanzo della bilancia dei pagamenti. Quest'anno, per la prima volta dal 1893, sarà in deficit negli Usa anche la bilancia commerciale. «L'andamento della Borsa di Tokio e le reazioni degli industriali giapponesi ai provvedimenti del governo Nixon, dimostrano che il Giappone ha incassato un duro colpo. Se lo yen verrà rivalutato, è possibile che gli Stati Uniti rinuncino a proseguire la politica protezionistica che hanno avviato: potrebbe quanto meno cadere la tassa sulle importazioni. mlatrdinMLcapzcsacmctlPrscssgclsvoptsrd1 « Giappone a parte — afferma il presidente della Fiat — la situazione in cui si stanno trovando un po' tutti i paesi dell'area europea dovrebbe indurre almeno i governi del Mercato Comune, e quello di Londra, a presentarsi uniti e con un programma comune alle inevitabili discussioni sui problemi monetari internazionali. « Le ultime proposte della commissione di Bruxelles mi sembra siano obiettivamente accettabili da tutti i Paesi: cambi fissi tra le monete comunitarie per le transazioni correnti, oscillazione congiunta nei confronti del dollaro, libertà di azione per ogni Paese per quanto riguarda il regime di cambio a cui assoggettare i movimenti di capitale. «La decisione di Nixon, sebbene unilaterale, tutto sommato non può essere giunta come un fulmine a ciel sereno: soltanto tre valute — la sterlina, il franco svizzero e il dollaro — avevano una parità effettiva in oro. Tutte le altre valute importanti del mondo occidentale avevano una parità fissata in dollari. Le riserve auree di Fort Knox erano inadeguate a coprire la circola- zione dì dollari nel mondo. Di fatto già da tempo — conclude Agnelli — si viveva in un regime di "dollar standard ": l'oro era quasi soltanto una maschera», g. m.