Quando il picchettaggio è reato

Quando il picchettaggio è reato La sentenza per i disordini alla Fiat di Roma Quando il picchettaggio è reato Il giudice scrive nella motivazione della condanna ai tre studenti: « Il picchetto non è lecito se impedisce con l'ostruzionismo passivo o con violenze e minacce l'ingresso nell'azienda di chi non aderisce allo sciopero e vuol lavorare» (Dalla redazione romana) Roma, 23 agosto. Il diritto di « picchettaggio » e i suoi limiti nel più ampio quadro del diritto di sciopero sono stati iUustrati dai giudici del tribunale penale di Roma nella motivazione di una sentenza pronunciata contro quattro studenti. Jaroslav Novack, 24 anni, Paolo Zappelloni, 25 anni, Lucio Castellano, 22 anni, e Umberto Fascetti, diciassettenne, erano stati arrestati durante una manifestazione svoltasi il 14 maggio scorso davanti allo stabilimento romano della Fiat, in via di Porta Maggiore, e rinviati a giudizio per rispondere di violenza, resistenza e oltraggio alla polizia, che era intervenuta per disperderli, e di violenza privata ad alcuni operai. Fascetti fu prosciolto perché minore, Novack ebbe un anno, 3 mesi e 20 giorni di reclusione; Zappelloni e Castellano un anno, 3 mesi e 5 giorni. I tre, aderenti al gruppo extraparlamentare di sinistra Potere Operaio, ottennero il beneficio della condizionale perché incensurati. Motivando la sua decisione, depositata oggi in cancelleria, il tribunale, presieduto dal dott. Alberto Bernardi, spiega in 50 pagine dattiloscritte l'indirizzo seguito per dichiarare la responsabilità degli imputati. " Violenza,, « Scopo del picchetto in questione, scrive il giudice dott. Saulino che ha scritto la motivazione, a detta dei difensori e dei testi a discarico era quello di avvertire coloro che si recavano al lavoro dell'avvenuta proclamazione dello sciopero, di fare opera di proselitismo e di tentare di convincere i riottosi alla discussione. Orbene, osserva il tribunale, non v'è dubbio che i partecipanti al picchetto non si attennero a quanto sopra. Infatti si adoperarono per impedire l'ingresso ai dipendenti che intendevano lavorare, ponendo in essere atti di ostruzionismo non disgiunto da violenza fisica ». La polemica Il giudice ricorda che quella del 14 maggio scorso era un'astensione dal lavoro settoriale concernente lo straordinario ed i ritmi di lavoro. « Gli studenti erano i meno preparati per illustrare tecnicamente la motivazione dello sciopero e i meno idonei, per la loro estraneità, a galvanizzare i riottosi ». Se essi parteciparono alla manifestazione in numero preponderante rispetto ai sindacalisti ed agli attivisti, lo fecero per soddisfare l'esigenza degli organizzatori della manifestazione « di avere a disposizione, per la migliore riuscita della stessa, argomenti ben più consistenti ed efficaci del normale dialogo ». A giudizio del tribunale, legittimo fu l'intervento della polizia e legittimo l'ordùie impartito dai funzionari di sciogliere la manifestazione, poiché « la causa degli incidenti verificatisi va condotta anzitutto ad un autentico episodio di rivolta dei componenti il picchetto contro la polizia in spregio dell'ordine di scioglimento impartito dal funzionario ». Del concetto di «picchetto» e del diritto di attuarlo, il magistrato si occupa nella seconda parte della motivazione. « Qualsiasi picchetto è lecito, scrive il dott. Saulino, se inteso quale raggruppamento di persone che si limitano a fare, all'esterno dell'azienda, opera di semplice propaganda a favore dello sciopero, ancorché attuata con particolare insistenza, con la ricerca del colloquio serrato atto a convincere e con la critica, sia pure aspra e polemica, del comportamento di chi allo sciopero non intende aderire. Ciò rientrerebbe senz'altro nell'esercizio del diritto di sciopero (art. 40 della Costituzione), in quello di libera manifestazione del pensiero (art. 21 della Costituzione) e in quello di libertà di riunione (art. 17 della Costituzione) ». « Se però il picchetto, aggiunge il dott. Saulino, è preordinato all'esclusivo scopo di impedire, vuoi con il semplice ostruzionismo passivo, vuoi con quell'accompagnamento di violenze e minacce, che nell'azienda, nella quale è in atto uno sciopero, entrino i lavoratori dissidenti o avventizi (definiti tutti crumiri) per prestare la loro opera in contrasto con lo sciopero stesso, allora non vi è dubbio che non solo esso costituisce illecito civile, perché viola il diritto di libertà di lavorare, tutelato da precise norme della Costituzione, ma, nei casi in cui venga accompagnato da violenze e minacce, anche illecito penale, ricorrendo i reati sanzionati dagli articoli 610 (violenza privata) e 612 (minacce) del codice penale ». " Anarchia,, « Deve infatti tenersi presente, conclude il giudice, che lo sciopero, nel momento in cui lui accettato di diventare diritto, inevitabilmente si trova soggetto a limiti i quali, se da un lato garantiscono la legalità, dall'altro impongono un sacrificio inevitabile di libertà. Il diritto è, per sua natura, prefissione di limiti, altrimenti non vi sarebbe un ordinamento giurìdico, ma anarchia, che è negazione del diritto. Il picchettaggio ostruzionistico, specie quello violento, in quanto menomazione dell'altrui diritto al lavoro, non può essere invocato come legittimo esercizio del diritto di sciopero ». Contro la sentenza pronunciata il 26 maggio scorso, gli imputati hanno presentato appello.

Persone citate: Alberto Bernardi, Castellano, Fascetti, Jaroslav Novack, Lucio Castellano, Paolo Zappelloni, Saulino, Umberto Fascetti

Luoghi citati: Roma